Narrativa
L’INSUBORDINATO
di
Angelo Gaccione
Graziano Mantiloni
Ogni qual volta si affronta un
libro di narrativa bisogna tenere a mente le parole del padre della psicanalisi
Sigmund Freud: “L’arte è il regno intermedio fra la realtà che frustra i
desideri e la fantasia che li appaga”. Basta sostituire al sostantivo generico
arte, quello più specifico di narrativa. Non sfugge a questa verità
il recentissimo romanzo dello scrittore grossetano Graziano Mantiloni: L’insubordinato.
Per un autore come Mantiloni, disarmista convinto come me, come me amico di
Cassola di cui cura persino un sito, la fantasia non poteva non virare verso un
esito di aperta insubordinazione. È una insubordinazione doverosa quella del
protagonista del romanzo di Mantiloni: si chiama Ludovico Tassini, è un giovane
soldato di 28 anni di origine toscana e di professione fa il sarto. Il gesto
gli costerà la vita, ma non lo degraderà a bestia disumana, anzi, il rifiuto di
sparare ad un commilitone, così come gli era stato ordinato da un superiore, lo
rende ai nostri occhi ammirevole e ne proviamo simpatia. Tassini era stato
scelto a caso, come a caso erano stati scelti i soldati da fucilare, a seguito
di una decimazione per punirli di aver ripiegato in ritirata durante un
rovinoso assalto nemico. Avevano osato mettersi in salvo per sfuggire alla
carneficina. Era il 1° ottobre del 1917 e l’uomo, sposato appena da tre anni, pagherà
con la morte l’ardire di aver buttato il fucile per terra affermando che non
avrebbe “sparato a un fratello”, come ci informa una pagina di
diario del fotografo milanese Arnaldo Foti. Ma andiamo con ordine. Nel romanzo
Ludovico Tassini in realtà è un “resuscitato”, un personaggio “fantasma” di cui
non si sa nulla. Tutto ruota intorno alla sua figura, ma lui non c’è, non può agire.
“Torna in vita” grazie alla caparbia determinazione di Ludovica Venturini,
insegnante sessantenne che, all’indomani della morte della nonna Emma Luini,
rovistando fra le sue umili “cose”, si imbatte in un pacchetto legato con lo
spago. Un ritaglio di una foto di un giovane militare sullo sfondo di un
panorama montano innevato e alcune cartoline firmate Ludovico, il nome
del padre che sua nonna non aveva mai conosciuto, compaiono sorprendentemente
da quell’involto. Erano del bisnonno di cui Ludovica portava il nome, l’uomo
che la guerra aveva cancellato e sul cui conto non possedeva né ricordi, né
aneddoti. La nonna non gliene aveva mai parlato e lei, ora che non c’era più, si
era pentita di non averle fatte tutte le domande che ora le venivano in mente
davanti a quelle cartoline e a quella foto del giovane militare così
amorevolmente custodite. Nessun dubbio che fosse il suo bisnonno, ma perché di
lui non si parlava mai? Com’era possibile che quella vita fosse definitivamente
evaporata? Da questo momento in poi Ludovica inizia la sua indagine,
determinata com’è a seguire ogni minimo indizio che possa metterla sulle tracce
del misterioso antenato. Provvidenzialmente torna a fare irruzione nella vita
di Ludovica Venturini un vecchio collega di scuola: il docente di matematica e
fisica Lorenzo Mencioni con cui in passato c’era stata una fugace relazione
fisica, più che sentimentale. Mencioni sarà determinante per le indagini di
Ludovica e nonostante la sua impacciata timidezza, (anzi, forse proprio per
questo), e la sua devozione a una donna che non ha mai dimenticato, il lettore
riesce a simpatizzare molto di più con lui che con la contorta psicologia un
po’ nevrotica di Ludovica.
Graziano Mantiloni |
G. Mantiloni
Un romanzo non si racconta, com’è ovvio. Posso però accennarvi
di un paio di sedute spiritiche, di un viaggio sulle Dolomiti fino al monte
Castellazzo dove verrà individuato lo sfondo della fotografia che ritraeva il
bisnonno, e di un altro a Milano dove miracolosamente Ludovica verrà in
possesso di rotoli di pellicole di un prezioso archivio fotografico. Le tessere
del puzzle vanno a ricomporsi fino all’esito finale; fino al recupero delle
fotocopie di un libro conservato in una biblioteca anch’essa di Milano: autore
Arnaldo Foti, fotografo. È lui che ha lasciato tracce nel suo diario di guerra
di Ludovico Tassini e della dinamica della sua morte per mano del capitano Del
Tagliente, ed è lui l’autore della foto che la nonna di Ludovica aveva fino
alla morte custodito. Un gesto eroico quello di Tassini, e Ludovica può andarne
fiera. Ma cosa avremmo fatto noi al suo posto? Il romanzo di Mantiloni ci
interroga indirettamente anche su questo: avremmo obbedito agli ordini e ucciso
degli innocenti o ci saremmo rifiutati rischiando l’insubordinazione e la morte
come Tassini? Non dimentichiamo che nel corso della Prima guerra mondiale (il
periodo della vicenda di Tassini) furono comminate 750 condanne a morte per
insubordinazione, senza contare quelle eseguite senza alcun processo (come
prescrivevano le ordinanze militari), e senza contare gli atti di
autolesionismo. Il numero dei soldati che si auto-mutilavano usando mezzi e
metodi fra i più invalidanti, e persino ricorrendo al gesto estremo del
suicidio, è stato molto alto. Incutere paura con la decimazione era il solo
modo per le autorità militari di impedire renitenza, ammutinamento e fughe.
Fughe da quella che in diverse occasioni ho definito la Grande macelleria.
Il lettore apprenderà che la rimozione della memoria del
giovane fante (il suo nome non iscritto neppure nell’elenco dei caduti o dei
dispersi) era stata una scelta deliberata. La damnatio memorie doveva
occultare il rifiuto di un comando ingiusto e l’ingiusto assassinio che ne era
seguito. Ora che tutto era riemerso come da un gorgo profondo, la sua memoria
poteva essere riabilitata se non nello spazio pubblico, almeno in quello
privato di Ludovica.
Naturalmente non è il semplice accumulo dei fatti a rendere
attraente una storia narrata, ma il modo come il narratore la conduce,
l’abilità descrittiva, il clima sentimentale e poetico che sa creare e così
via. Mantiloni ha una buona mano e il romanzo si serve di tutta questa perizia
creativa. Un solo avvertimento: se vi capita di venire a Milano non cercate né
piazza Sperandio né largo Sperandio (la doppia connotazione è una svista
dell’autore, un peccato veniale) perché semplicemente non esistono. Ma come ho
detto aprendo questa nota, la fantasia dell’autore non si piega ai ricatti
della realtà.
La copertina del libro
Graziano
Mantiloni
L’insubordinato
Youcanprint
Ed. 2021
Pagg.
170 € 14,00
Con
una nota di Federico Migliorati
La copertina del libro |