NON SI RIDE!
di
Paolo Vincenti
La
satira troppo feroce, portata alle estreme conseguenze, può risultare sgradita.
Quand’essa tocca alcuni argomenti davvero delicati può rivelarsi di cattivo
gusto. Infatti chi parla sempre celiando, chi si burla di tutto e di tutti,
finisce che non ha più credibilità, quando parla seriamente. A forza di
scherzare, fa la fine del pastorello che gridava “al lupo al pupo”. Oltre a
questo, a chi fa satira possono occorrere degli incidenti di percorso. Così è
successo qualche giorno fa ai noti comici televisivi Pio e Amedeo nella loro
trasmissione “Felicissima sera”, grande successo di Canale 5. Essi sono stati
coperti di insulti ed improperi per aver fatto battute sessiste e razziste nei
confronti di gay, lesbiche e transessuali. Purtroppo l’argomento è di scottante
attualità perché questo nostro Paese non ha ancora sviluppato validi antigeni
contro l’omofobia ed epiteti come “ricchione” o “frocio” fanno accapponare la
pelle perché richiamano immediatamente odio e violenza, quelli subiti dal
popolo Lgbt per via del loro orientamento sessuale. Felice sarebbe un Paese nel
quale si potesse scherzare e appellare a cuor leggero un omosessuale con simili
epiteti come si fa con un calvo quando lo si definisce “capellone”, senza che
ne venga un’offesa al glabro, il quale anzi ne ride per primo. O ancora, come
si fa nei piccoli paesi di provincia in cui tante persone sono appellate con il
soprannome della propria famiglia, la cosiddetta ‘nciurita, che diventa motivo di sorriso e anzi complicità e
rinnovata simpatia con la persona con la quale si ha evidentemente grande
famigliarità. In effetti non è così. Far ridere fa bene, ma non ad ogni costo.
Pensiamo a quello che è successo qualche anno fa alla rivista francese “Charlie
Hebdò” con la sua sgradevole vignetta sul terremoto italiano del Lazio. Molti
si sono risentiti, tutti hanno condannato la sfrontatezza e il cattivo gusto
dei vignettisti francesi. Un coro unanime di “buuu” ha accompagnato la loro
trovata. Nell’immagine,
intitolata «Séisme à l’italienne» («Terremoto all’italiana»), le vittime del
terremoto che ha sconvolto il nostro Paese venivano paragonate a tre piatti
tipici della nostra cultura: «Penne all’arrabbiata», illustrato con un uomo
sporco di sangue; «Penne gratinate», con una superstite coperta di polvere;
mentre le lasagne erano strati di pasta alternati ai corpi rimasti sotto le
macerie. I disegnatori di Charlie Hebdo, che hanno conosciuto una
insperata popolarità dopo l’attentato del gennaio 2015 da parte dell’Isis, hanno
utilizzato quella gratuita sebbene sanguinosa pubblicità per spararla più
grossa. Infatti, prima dell’attentato, ben pochi conoscevano la rivista
satirica fuori dalla Francia, ed anche in patria il numero delle vendite non
era esaltante. Cattivo gusto per cattivo gusto, allora, i vignettisti francesi
avrebbero dovuto fare un monumento ai loro colleghi trucidati, recante come
epigrafe una vignetta che raffigurasse la rivista intrisa di sangue con i corpi
dei morti a panino fra le pagine e la dicitura: “satira alla francese”.
“Effettivamente si tratta di spazzatura, senza alcuna utilità”, scriveva Robert McLiam
Wilson, collaboratore della stessa Charlie, “è uno schiaffo in faccia, una provocazione crudele
e insensibile. Non raggiunge alcuno scopo qualsivoglia, politico, polemico o
morale. È un gigantesco nulla, un vuoto sgradevole e inutile”. E poi si
chiedeva “à quoi ça sert?”, che sarebbe la versione francese del
latino “cui prodest?” A che serve? A
chi reca vantaggio? Vero che alcuni
comici non riescono a piegare la propria inclinazione alle ragioni di
convenienza e decoro e far tacere la propria natura di sbeffeggiatori e
irriverenti. Sappiamo bene che a volte le situazioni più banali e ordinarie
possono far nascere il riso e ancor di più le occasioni solenni, le cerimonie
istituzionali, gli eventi dolorosi. Un funerale può cagionare un attacco
insopprimibile di ridarella, specie ai più cinici e cuordipietra. Così un
episodio discriminatorio nei confronti delle classi più deboli o di soggetti svantaggiati
può offrire il destro alla satira più bassa per strappare il riso con una
battuta facile. In questo caso, però, la satira, oltre a far indignare tutti,
manca della sua stessa ragion d’essere, l’ironia, lo sberleffo, e la rete
stavolta, proprio il popolo dei social che determina oggi il successo dei
personaggi mediatici, si è dissociato da Pio e Amedeo, ha preso le distanze.
Questi maledici spiriti dello sghignazzo tanto oltrepassano il segno che
finiscono per essere ridicoli ed osteggiati da quegli stessi che poco prima
ridevano delle loro malignità. In effetti, se tutto è risibile, anche la
battuta infelice, la gag non riuscita, lo sono. Per paradosso, proprio perché è
una battuta che non va a segno, essa è banale, scontata, cretina, allora suscita
il riso, anzi meglio lo sghignazzo; si ride di chi non fa ridere, si schernisce
il ridicolo, lo si sbertuccia, canzona. Sberteggiamo allora i due comici
pugliesi!