BUON RIPOSO A TUTTE E TUTTI
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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
lunedì 31 luglio 2023
MELVILLE E IL CASSONETTO DELL’IMMONDIZIA
di Angelo Gaccione
Cesare Pavese
Parlando di Herman
Melville, e in particolare del racconto Benito Cereno, in un lontano
scritto del 1932, Cesare Pavese sottolinea il clima di indifferenza e di
avversione del pubblico nei confronti dell’autore di Moby Dick. La magia
era svanita man mano che la sua prosa si era allontanata dall’esotismo, lo
stile si era fatto più “pregnante” e la materia aveva imboccato strade nuove e
più ardite. La critica non sarà da meno e oscillerà fra silenzio, avversione e
stroncature. Finiva così l’illusione del narratore di guadagnare con la
scrittura “il pane per sé e per la sua famiglia”. Il passaggio di Pavese è
impietoso: “(…) accadeva che toccasse ai lettori e ai recensori il compito di
ricordargli che la società non da nulla per nulla e che chi vuole essere
acclamato deve in sostanza divertirla o viziarla” [‘Melville, i miti di Moby
Dick e Benito Cereno’].
Questo scritto è stato ora riproposto nel volume Cesare
Pavese il mito, curato da Marcello Veneziani per la casa editrice Vallecchi
di Firenze. Credo che ad ogni scrittore degno di tale nome dovrebbe interessare
questa puntuta sottolineatura di Pavese e meditarla. Assecondare il gusto del pubblico
fino a viziarlo, costituisce, a mio modesto parere, un tradimento. Un tradimento
per la sua coscienza morale, la sola a cui uno scrittore scrupoloso deve
obbedire. Da tempo, oramai, il novantanove per cento di quello che ancora
definiamo letteratura, ha preso una pericolosa deriva. Da un lato il pubblico
viene viziato e saziato fino alla bulimia, dall’altro si sono fatti sempre più
stretti e invalicabili gli anfratti, già molto accidentati, per quei pochissimi
che non vogliono né vellicare i gusti deteriori del pubblico, né provocare
offesa alla propria coscienza morale di scrittori.
Herman Melville
in un ritratto di Joseph O. Eaton
Non c’è figura pubblica (vale per ogni ambito delle
professioni e per ogni ambito dell’intrattenimento), che non possa contare sulla
benevolenza del potere mediatico e sui suoi circuiti di diffusione di massa – variamente
connotati – a cui non venga spalancata la porta dell’editoria “maggiore”. È divenuto
così pervasivo, invadente, e forse inarrestabile, questo processo, che una
marea di titoli inutili e mediocri sommerge il poco di buono in circolazione e
lo soffoca. Una foresta fitta e intricata, che raramente lascia scampo a qualche
“cespuglio” dalla forma e dal pensiero dissonanti, che tenta disperatamente di far
capolino dalla sterpaglia. Il prodotto stesso (così si parla del libro
negli ambienti del commercio) ha finito per perdere di autorevolezza, ed è
scomparsa quell’aura di rispetto che lo aveva per secoli e secoli
contraddistinto. Si dirà: la società di massa ha bisogno di prodotti di massa.
Il consumismo è basato sulla merce, anche su merci deteriori, ed il libro è una
merce come un’altra soggetta al consumo e al cassonetto dell’immondizia.
Potevano bastare le televisioni per questo, gli
stadi, i festival di San Remo, i rotocalchi, i talk show. Ma così stanno le
cose e bisogna prenderne atto.
Tenete duro voi scrittori dignitosi e marginali,
non concedete un centimetro al nemico. Lo so, dovete farvi largo avanzando con
il pugnale ben serrato fra i denti, ma non vi è dato altro, se non volete
finire nel cassonetto della spazzatura.
in un ritratto di Joseph O. Eaton
VASSALLI
di Luigi Mazzella
Moine, salamelecchi e svenevolezze diplomatiche: oggi si ubbidisce
così!
Ciò che
era consentito ai Romani, egemoni nel Mediterraneo (che con
scarso understatement proclamavano: mare nostrum) dev’essere
vietato ai loro epigoni attuali, gli Italiani. Questi, infatti, lasciatisi
infinocchiare dal digrignar di mascelle di un maestro elementare di Predappio,
Benito Mussolini, si erano fatti coinvolgere, successivamente e dopo
avventure africane di tipo coloniale, in una guerra suicida iniziata da un
imbianchino di Vienna, Adolph Hitler e avevano dovuto arrendersi senza
condizioni agli alleati anglo-americani ottanta anni fa circa. Memori di un
detto anch’esso romano (Vae victis: guai ai vinti), gli Alleati
avevano imposto la presenza nel Trattato di pace di una clausola che
vietava ogni ipotesi di crescita economica incontrollabile di un Paese
sconfitto. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata convocata, in
buona sostanza, a Washington per essere redarguita, tra affettazioni “complimentose”
e giudizi vagamente elogiativi, per avere, sinora, omesso di rinunciare agli
scambi commerciali con la Cina, potenzialmente forieri di imprevedibili
incrementi economici, previsti nel patto sottoscritto da Giuseppe Conte e denominato
“Via della Seta” (ancora una volta, in ricordo degli antichi scambi di
merci dell’epoca romana).
Il
suo “signorsì” è stato pronunciate tra le consuete moine e svenevolezze
pseudo-diplomatiche cui ci stanno abituando i suoi incontri internazionali,
ma
la sostanza, a dispetto dei “salamelecchi”, è stata quella dell’ennesimo atto
di sottomissione agli ordini di Biden. D’altronde, l’idea che il massimo
rappresentante del suo governo, si tenga mano nella mano e sorrida
maliziosamente con lo sguardo rivolto (necessariamente) dal basso verso
l’alto, a chi le impartisca comandi, piace enormemente a un
popolo, come il nostro, la cui tendenza al servilismo complimentoso è
nota fin dai tempi di padre Dante (Ahi serva Italia… e quel che segue). E,
nel Paese, la stampa che sosteneva orgogliosamente di aver fatto
dell’antifascismo una religione, dà prova di essere stata anche capace di una
repentina abiura!
IL COLONIALISMO FRANCESE È
FINITO
di Franco Continolo
Il giudizio di Romano
Prodi sul colpo di stato in Niger è molto chiaro: è la fine definitiva del
colonialismo francese. C’è un altro episodio che rafforza questo giudizio:
nei giorni scorsi, con un referendum, il Mali ha abolito il francese come lingua
ufficiale. Il primo nodo che dovrà sciogliere la giunta insediatasi a Niamey è
la presenza militare straniera: oltre ai francesi ci sono 300 italiani, che non
dovrebbero costituire un problema visto che non si capisce cosa siano andati a
fare, e più di mille americani - come fa notare Dave DeCamp, da quando ci sono
gli americani gli episodi di terrorismo nell’Africa centrale si sono
moltiplicati per mille (a conferma della teoria che l’obiettivo di Washington è
destabilizzare). Prodi conclude l’editoriale auspicando che l’UE prenda esempio
dalla Russia, e convochi un vertice con i leader africani. Per l’ex presidente
del Consiglio sembra che basti un po’ di buona volontà per
avere successo. In realtà il fallimento del recente vertice con i paesi
della dell’America Latina dimostra che la buona volontà e la promessa di
investimenti non bastano. Per essere credibili occorre prima di tutto smettere
di raccontare balle, e di pretendere di avere qualcosa da insegnare - vedi la
democrazia, i valori e altre fantasie; poi rompere con l’imperialismo passato e
presente - quest’ultimo a rimorchio di Washington. L’esempio è la Russia
che pur partendo avvantaggiata – essa può infatti rivendicare di
non avere avuto colonie in Africa, e di essere l’erede dell’Unione Sovietica,
il cui sostegno ai movimenti di liberazione è riconosciuto - offre ai leader
africani l’idea di un ordine internazionale più equo, quindi multipolare: in
altre parole, l’idea di un concerto di imperi - tra i quali l’Unione Africana,
la cui realizzazione viene incoraggiata – che è la condizione necessaria
affinché le Nazioni Unite non finiscano, come oggi, sottomesse alla potenza
egemone. Questo è il messaggio che Putin ha ripetuto in tutte le lingue, e
che i leader africani sembrano avere apprezzato. Il vertice di San
Pietroburgo ha visto anche una presenza inusuale, Kirill, il
patriarca della Chiesa Ortodossa. È stato il suo un intervento utile,
opportuno? Si può immaginare utile a Putin, a fini interni; ma opportuno? Qui i
dubbi nascono dalla difficoltà di delineare con precisione i confini tra
religione e politica; ciò che si può dire però con sufficiente certezza è che
quando la religione e la politica si lasciano tentare dalla retorica dei
valori, entrambe finiscono fuori strada, ma forse più la religione della
politica. I valori sono anche quella nebbia che consente, per esempio, ai
governanti italiani di occultare, o di vendere come libere scelte, le
imposizioni di Washington. Lo ricorda Alberto Negri a proposito della
ridicola pretesa della Meloni di riproporsi nelle vesti di Enrico Mattei. La
Meloni è infatti una serva come i Draghi, i Renzi, i Letta e le Schlein, ma va
aggiunto - repetita iuvant - con l’aggravante di rappresentare
un movimento che si è distinto per fare il lavoro sporco per conto
dell’occupante, prima i tedeschi, poi gli americani.
REFERENDUM E GUERRA
Gabriella Galzio pone una
questione molto seria a proposito del fallimento del Referendum contro l’invio
di armi in Ucraina e bisognerà fare un’autocritica severa. Anche se chi come
noi non ha nulla da rimproverarsi (personalmente ho messo a
disposizione “Odissea”, ho preso parte ai banchetti di Milano e sfilato ai
cortei anche in condizioni di salute precarie). Ma il fallimento ha le
sue ragioni e bisognerà interrogarsi pubblicamente e senza ambiguità.
Caro Angelo,
sono appena venuta a sapere dell’esito
negativo della raccolta firme per i referendum contro l’invio di armi in
Ucraina, cui senz’altro ha concorso il silenziamento dei media di regime; ciò
nonostante mi sono cadute le braccia leggendo l’analisi di questa assenza da
parte dei cittadini: giovani, pacifisti, parrocchie, M5S... assenti! Il papa
non è “riuscito” a mobilitare le parrocchie, Conte si schiera contro l’invio di
armi in Parlamento, ma poi non “riesce” a mobilitare iscritti (133.664 all’agosto
2022) e simpatizzanti (eredi di una tradizione radicale della democrazia
diretta)... e i pacifisti? Quanti sono i pacifisti? E quelli dei sondaggi dati
oltre il 50%? E i giovani? Le giovani larve, prime ad essere sbattute al fronte
in caso di guerra? Possibile che viviamo in un mondo di smidollati? Se non
esercitiamo quei pochi istituti di democrazia diretta, peraltro in questioni
cruciali come pace o guerra, tanto vale consegnarci a qualunque regime voglia
esautorarci. Altro che cittadini sovrani, sudditi, ecco quello che sono,
quelli che potevano firmare e non l’hanno fatto.
Gabriella Galzio
domenica 30 luglio 2023
VA TUTTO PER IL MEGLIO!
di Associazione di volontariato Idra
Adesso
è ufficiale: a Firenze, città delle alluvioni, il progetto bendato della Tav
riparte senza neppure un piano di emergenza. Lo scrive a Idra il comando provinciale dei Vigili del Fuoco. Ma è solo l’ennesima
indecenza: altro che ‘settimana che rimarrà nella storia’! Idra documenta un inquietante concorso di silenzi, omissioni e
responsabilità. Con posta elettronica certificata, il comandante provinciale
dei Vigili del Fuoco di Firenze risponde a un quesito posto invano da mesi a
tutte le istituzioni competenti (Comune, Regione, Autorità di bacino, Prefettura,
Osservatorio Ambientale): dov’è il ‘Piano di emergenza’? Nel caso di
Firenze, questo strumento assume un particolare rilievo, tenuto conto che
l’inserimento e l’esercizio dell’opera sono previsti in un contesto urbano,
fortemente antropizzato, e che la vulnerabilità idrogeologica della città* è storicamente
attestata e drammaticamente confermata dall’alluvione nel 1966 del fiume Arno e
da quella nel 1992 dei torrenti Mugnone e Terzolle (nella cui area di
esondazione sono peraltro ubicati la stazione sotterranea AV e parte dei
tunnel): di qui la necessità, l’urgenza e la improcrastinabilità di uno
strumento di prevenzione come il Piano di emergenza che per i due tunnel di
6.444 metri consideri anche il rischio esondazione.
Del resto, lo stesso Decreto Ministeriale 28 ottobre
2005 - Sicurezza nelle gallerie ferroviarie prevede all’art. 1, comma 2, che
“le gallerie ferroviarie
devono essere progettate, costruite, sottoposte a manutenzione ed esercite in
maniera da assicurare adeguati livelli di sicurezza agli utenti, ai lavoratori
e agli incaricati delle operazioni di soccorso”.
E specifica: “Il piano di
emergenza deve essere proposto fin dalla fase di progettazione”.
C’è
chi non ha dato alcun riscontro, come il prefetto, l’assessore regionale alle Infrastrutture e l’Autorità di bacino. Chi – ad
attestare la qualità del vino – ha presentato la generica certificazione
dell’oste. Il direttore generale del Comune ‘rassicura’ allegando le poche
righe di conforto del progettista, le Ferrovie, che dopo oltre un ventennio di
impasse hanno meritoriamente assunto - va detto - la responsabilità della
rivisitazione del progetto e dell’alta sorveglianza sulla sua esecuzione,
affidata finalmente a una stazione appaltante invece che a un contraente
generale controllore-controllato, dopo il fallimento consecutivo delle grandi
cordate guidate da Coopsette e Condotte.
“Relativamente al progetto, agli atti di questo Comando - scrive dunque a Idra
il comandante provinciale dei Vigili del Fuoco Marisa Cesario - non
risulta ancora essere stata depositata alcuna documentazione, tanto ai sensi
del DPR 151/2011, quanto ai sensi del D.M. 28/10/2005”. E opportunamente chiosa: “Il decreto ministeriale
28/10/2005 ‘Sicurezza nelle gallerie ferroviarie’
trova applicazione alle gallerie ferroviarie di lunghezza superiore a 1000 m,
prevedendo l’adozione di un piano di emergenza fin dalle fasi progettuali”. Ma intanto qualcuno festeggia per
i lavori già avviati.
Della
‘project review’ effettuata in questi
ultimi anni dalla neonata costola Infrarail delle Ferrovie nulla del resto trapela,
se non in via ancora informale attraverso i colloqui accordati da Rfi a Idra, l’associazione ecologista che dal
1994 monitora i progetti e i lavori della TAV in Toscana, e che per questo è
stata iscritta come parte civile nel procedimento penale a carico del consorzio costruttore del pericoloso
passaggio appenninico in galleria monotubo fra Vaglia e Bologna, e come parte ad adiuvandum nel procedimento contabile
con cui la Corte dei Conti ha acclarato la colpa grave degli amministratori regionali del tempo (Vannino Chiti e Claudio Martini fra
gli altri) e dei responsabili ministeriali centrali. Paradossalmente, è con
Rete Ferroviaria Italiana infatti che Idra
intrattiene dal 2019 gli unici rapporti fruttuosi di interlocuzione, fino a
ricevere l'invito il 15 maggio scorso alla presentazione di Iris, la nuova penultima
fresa (l’ultima arriverebbe infatti più tardi, ed entrerebbe in servizio quando
Iris avrà percorso metà strada, raggiungendo da Campo di Marte la soglia dello
scavo per la stazione Foster, in via Circondaria). Abbottonatissimo, invece,
Palazzo Vecchio, che peraltro guida lo strumento dell’Osservatorio Ambientale,
ricostituito da qualche mese, esprimendone la presidenza nella persona del direttore
generale del Comune Giacomo Parenti. Nel corso dell’ audizione ottenuta da Idra per mezz’ora e in
via telematica dopo mesi di attesa, l’ing. Parenti ha dispensato garanzie di
trasparenza sul progetto esecutivo da parte del Comune, annunciando che è
pubblicato sulla pagina web dell’Ufficio Nodo. Ma lì si trova il progetto vecchio, risalente al primo decennio del secolo, siglato Nodavia!
Eppure l’ing. Vincenzo Macello, in sede di audizione presso le commissioni
consiliari Terza e Sesta di Palazzo Vecchio, ha dichiarato per Rfi che il link al
progetto rivisitato è a disposizione di Palazzo Vecchio dal 6 giugno!
Non
ha inteso rispondere, invece, il presidente-direttore Parenti, alle altre
domande poste dall’associazione all’Osservatorio Ambientale, perché rivolte a
un soggetto definito non competente nelle materie sollevate, ancorché vi siano presenti
con un proprio rappresentante tutte le autorità, locali e centrali, e due
organi di supporto tecnico, l’ARPAT e l’Autorità di bacino. Così che l’audizione
si è risolta in continue interruzioni degli interrogativi proposti
dall’associazione, alla quale però è stata accordata la possibilità di inviare
un elenco scritto che riceverà risposta.
Idra l’ha trasmesso qualche giorno fa a tutti i componenti dell’Osservatorio, ma anche al Comune di Firenze, perché ciascuno possa fornire le notizie attese sulla scorta delle proprie competenze. Per doverosa conoscenza, il cahier è stato inviato al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, dato che anche fotograficamente vi si documenta l'altro grande corno della nuova vergogna Tav a Firenze: l’ammaloramento idraulico del giovane ‘scavalco AV di Rifredi’, il Lotto 1 del progetto, a pochi anni dalla sua realizzazione e inaugurazione. Incomprensibilmente, la segnalazione di Idra presso l’Osservatorio ambientale è stata troncata ancora una volta da una dichiarazione di incompetenza da parte del presidente Parenti: persino l’impatto della falda con l’opera viene considerato infatti non di interesse dell’organo collegiale istituito dal Ministero dell’Ambiente! Pretesto (ma in realtà un’aggravante), la circostanza che a descrivere le conseguenze della cattiva progettazione sull’esecuzione del manufatto sia stata la Commissione di collaudo tecnico-amministrativo, l’organismo pubblico che - nominato due anni dopo la fine della realizzazione dell’opera -quel collaudo ha appunto negato. “Non è competenza dell’Osservatorio andare a verificare il collaudo di una galleria che è stata eseguita”, così ha chiuso seccamente il discorso il direttore Parenti.
Nel
frattempo, naturalmente, Idra prosegue
nel proprio percorso di attenzione a tutti i lati del problema, come suggerito a suo tempo dal presidente dell'Anac Raffaele Cantone. È stata avanzata
presso Rfi un’istanza di accesso agli atti della Commissione di collaudo (istanza
ancora in fase di valutazione da parte dell’ufficio legale di Rete Ferroviaria)
e la richiesta di effettuare un sopralluogo alla galleria dello scavalco con un
proprio esperto. Di più: Idra ha
chiesto di essere audita in Consiglio regionale e in Consiglio comunale, e alle
rispettive Commissioni competenti propone di ascoltare anche la fonte delle
notizie sullo scavalco, già comparse lo scorso agosto 2022 sugli organi di informazione cittadini, ma
misteriosamente cadute nel dimenticatoio, nonostante l’annunciata apertura di un fascicolo per danno erariale da parte della Corte dei Conti.
La
‘settimana che rimarrà nella storia’, celebrata dal presidente della giunta
regionale toscana Eugenio Giani (non nuovo a dichiarazioni enfatiche, e spesso
incline - anche in questi giorni - alle inesattezze o all’approssimazione nell’informazione
istituzionale), si chiude dunque con due spade di Damocle sui primi dieci metri
di scavo (che, per quel che s’è capito, sono in realtà quelli indispensabili a montare
dietro la testa della fresa tutto il resto, inclusa la componente che asporta
lo smarino), prova della perdurante sciatteria con cui si programma a Firenze
la realizzazione dell’intervento osannato come “in assoluto il più
importante dal dopoguerra a oggi”,
con “la stazione nuova, la stazione sotterranea, a 15 metri, che riemerge, proprio in
Via Circondaria, dove ci sarà verde, parcheggi, scambio di bus, un vero e
proprio cambio urbanistico di Firenze”.
Ma chi gestirà, e come, questo intervento che “sposterà il baricentro
della città da quello che oggi significava Santa Maria Novella a circa un
chilometro più verso nord ovest” non
è dato sapere. Del tavolo tecnico fra Rfi, Comune e Regione istituito anche per
definire le sistemazioni esterne alla nuova stazione non si vedono risultati,
conclusioni, neppure carte intermedie… Ma è prudente partire col carro davanti
ai buoi? E manifestare un così scarso rispetto per il diritto all’informazione
dei cittadini?
Nota
*
“Dalla fine del XII secolo al 1966 si sono
susseguite sicuramente, a Firenze, ben 42 piene e inondazioni. Di portata
diversa dal punto di vista dei danni arrecati: in primo luogo, eccezionali i
veri e propri diluvi del 1333, del 1557 e ultimo quello tragico del 1966,
probabilmente superiore a tutti; rovinose furono tuttavia anche le piene del
1171, del 1289,
de1 1547, del 1589, del 1740, del 1758 e del 1844, che giunsero ad
inondare buona parte della città di Firenze” (Leonardo Rombai, “Ambiente
Arno”, 2005).
AMIANTO
AD ACRI
Questa garbata
lettera inviata anche a noi di “Odissea” è stata spedita da Milano, via email,
al sindaco di Acri, alla sua Segreteria e ai rappresentanti dei Comitati Beni
Comuni e Liberi Cittadini, a seguito dello scritto apparso su “Odissea” mercoledì
26 luglio scorso. Non ha bisogno di commenti, e ci auguriamo che autorità e
cittadini si liberino al più presto dell’amianto sparso sul loro territorio. Li
invitiamo a vigilare, a non disperdere tali manufatti sul loro territorio in
maniera irresponsabile, e soprattutto a raccoglierlo e smaltirlo legalmente e
in sicurezza. Ne va della loro stessa incolumità.
Chi
scrive, fa riferimento a sua moglie, Teresa Martinelli, deceduta per
mesotelioma pleurico nell’ ottobre 2015. Malattia provocata da una fibra di
amianto inseritasi nei polmoni. Teresa, assistente sociale, collaboratrice del
Centro anti violenza contro le donne dell’Ospedale Mangiagalli, facente parte
del gruppo medico-infermieristico che per primo, in Milano, cercò di
attualizzare la legge Basaglia sui manicomi, fosse viva, non avrebbe problemi
ad accettare che parli di un suo problema. Problema che purtroppo ha
riguardato anche altri e potrebbe riguardare anche altri ancora, se certe
situazioni non venissero affrontate per tempo. Lo dico senza alterigia con la
consapevolezza che mi sto rivolgendo a persone che penso desiderino per sé e i
loro cari, una vita decente senza problemi, almeno, di salute. C’è la
possibilità tecnica di bloccare le fibre di amianto. È stata impiegata in tante
parti d’Italia e potrebbe avvenire anche ad Acri, nell’ interesse generale di
istituzioni e cittadini. Spero possa accadere. Non nascondo il mio rispetto per
chi parla di questi problemi anche se, ovviamente, non sono i soli della vita.
Giuseppe Bruzzone
NON VOGLIO
TACERE
Nuova traduzione in lingua
francese con traduzione italiana a fronte di un’autoantologia del poeta veneto
Ferruccio Brugnaro pubblicata dalle Edizioni Inclinaison con il titolo Je ne
veux pas me taire di Parthenay.
Tradotte da Jean-Luc Lamouille per un totale
di 190 pagine euro 15, il volume contiene alcune delle più note poesie di
Brugnaro. Continua l’attenzione dell’editoria e della critica internazionale
verso la produzione di questo poeta che non ha mai derogato dalla sua caparbia
ostinata scelta in favore dei lavoratori e contro lo sfruttamento, della
protezione della natura, della pace, dei diritti di tutti ad una vita di
giustizia e di dignità umana collettiva.
CASA BIANCA E COLONIE
“Il presidente Biden ha
ricevuto alla Casa Bianca
la presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
trattenendola a lungo in un cordiale e
paterno soliloquio…”
Il Petragallensis
*
APOCALISSE
Appreso che le lancette dell’orologio dell’apocalisse
nucleare
sono state fissate a meno di sette minuti,
i segretari dei partiti italiani hanno
chiesto e ottenuto
di fare slittare la fine del mondo a dopo
le prossime elezioni.
Il Petragallensis
*
STOLTI
L’uomo fa tutto in barba alla Terra.
E questa reagisce facendogli pelo e
contropelo.
Il Sannicolensis
sabato 29 luglio 2023
LA BIBLIOTECA
DI BASSANI
di Angelo Gaccione
Giorgio Bassani
Vorrei
partire dalla scatola: un parallelepipedo dalle misure 30 x 40 per un volume di
13 x 21, un vero spreco di alberi e di energia per riciclarla. Da quando a
occuparsi di distribuire sono arrivati colossi come Amazon e compagnia,
l’involucro che ti viene recapitato è venti volte più grande dell’oggetto
spedito. In tempi di crisi ambientale e sommersi come siamo dai rifiuti si
dovrebbe evitarlo, ma tant’è. Il libro però è prezioso, almeno per gli
studiosi, perché fare la mappatura di una biblioteca composta da migliaia di
volumi non è uno scherzo. E poi si tratta della biblioteca personale di uno
scrittore, di Giorgio Bassani. A sobbarcarsi la fatica è stata Angela Siciliano
che all’autore ferrarese dedica da tempo molte delle sue ricerche. A pubblicarlo, per un totale di 392 pagine sotto
il titolo: Catalogo della biblioteca di Giorgio Bassani (euro 30), è
stato l’editore Giorgio Pozzi di Ravenna, seppure con il patrocinio e il
contributo della Fondazione che porta il nome dello scrittore. Come scrive in
una breve premessa la figlia Paola: “La biblioteca di Giorgio Bassani ha un
significato unico: non ne documenta solo gli interessi, gli incontri, il percorso
culturale, ma anche la testimonianza del suo rapporto assoluto con l’oggetto
libro”. Non so se questo vale per tutti coloro i quali mettono assieme nel
corso della loro vita una biblioteca personale. Di sicuro è stato così per un
bibliofilo come lo scrittore Beppe Pontiggia, e lo è stato certamente per il
critico Carlo Bo. La marea di libri che invadeva la sua casa (forse il timore
che i suoi pavimenti potessero sprofondare e seppellirci assieme non è del
tutto estraneo all’idea del mio racconto “Il libro della staffa” compreso nella
raccolta: Sonata in due movimenti, in cui perderà la vita il maestro
che aveva tentato disperatamente di donare i suoi libri alla Biblioteca della
città, perché i pavimenti erano a rischio) in parte, come per Bassani, significava
interessi, incontri, scoperte, amicizie, percorso spirituale, lavoro critico, ma
in parte accumulo casuale, arbitrario, spurio. Ne riceveva da ogni dove, da
autori ed editori fra i più diversi, e dunque separare il grano dal loglio non è
mai impresa facile. Questo avviene per tutti coloro che di libri vivono,
scrivono, si interessano, e per uno scrittore in modo particolare.
Dunque, ha
fatto bene Angela Siciliano a seguire il percorso della biblioteca smembrata, e
anche un po’ dispersa, di Bassani, a seguito dell’ignobile vicenda razziale: da
Ferrara a Roma a Parigi. Quella già corposa ereditata dai suoi avi e che
Bassani ha sostanziosamente rimpinguato a partire dal dopoguerra in poi, e
quella postuma ricongiunta, devo dirlo, con favorevole fortuna, dopo la sua
scomparsa. Hanno contribuito in molti a questa ricongiunzione e bisogna dar
loro merito. Posso immaginare (e Siciliano ce lo fa avvertire nella sua lunga
introduzione) lo stato d’animo dello scrittore quando, dovendosi spostare a
Roma, si troverà completamente privato dei suoi amati libri. Del resto: “Non c’è casa
più povera di una casa senza libri”. Per chi scrive, i libri non sono
semplici strumenti di consultazione; la loro muta presenza intorno al suo
tavolo di lavoro, o i dorsi allineati come ubbidienti soldati nelle scansie,
sono un faro e un monito: “Ricordati come non devi scrivere! – lo
ammoniscono; ricordati perché devi scrivere – gli ripetono”. E lui
conosce bene quelle voci, il senso del loro ammonimento, l’imperativo etico da
cui non deve derogare, ecco perché ci sono titoli e autori che devono trovarsi
lì, attorno a lui, dentro la sua stanza. Non tutte le voci parlano e dialogano
con lui, ma alcune sì; e non correggono soltanto la traiettoria del suo
sguardo, non alimentano il puro esercizio del suo stile. No, vanno più a fondo,
modificano le sue vite. Perché uno scrittore degno di questo nome, di vite ne ha
molte di più di quanto si possa immaginare; e quando uno di questi scrittori
muore, non muore un uomo solo, non scompare una sola idea, non perdiamo un solo
sentimento. Muore una civiltà intera, perdiamo un mondo.
SIAMO A RISCHIO ESTINZIONE
Buongiorno
amici di “Odissea”, avevo insieme al mio amico Angelo Gaccione, prima ancora di
questa tempesta su Milano, del caldo estremo, degli incendi delle alluvioni in
tutte i casi, micidiali, esortato disperatamente i governi e tutte le
istituzioni a cambiare rotta. Agire sulle cause e mitigare gli effetti.
Intervenire sulle cause della crisi climatica, riducendo progressivamente il
consumo di fossili, coinvolgendo le popolazioni che ora più che mai “vedono in
faccia la morte”. Ho esortato disperatamente le istituzioni e le popolazioni a
porre fine alla guerra in Ucraina, che non può avere un vincitore. Si deve
ripartire dagli accordi di Minsk 2. Altrimenti la opzione nucleare è “sul
tavolo”. Il governo attuale fa precedere, sia che si tratti di clima che di
guerra, l’aggettivo fanatici a ogni discorso saggio. Le due spade di
Damocle, crisi climatica e opzione nucleare, più della minaccia proverbiale, si
sono già conficcate nel corpo della vita del nostro Unico e Bellissimo Pianeta.
Stiamo trascinando nella morte animali e piante, incolpevoli vittime, mentre la
scomparsa dei Sapiens non sarebbe pianta da nessuno. Se rimanesse vita
direbbero come già dicono in molti: “I Sapiens sono e sono stati la più grande
sciagura che si è abbattuta sulla terra, dopo la grande glaciazione di 700
milioni di anni fa”. Il terribile giudizio si sta spostando da quello che
facciamo a quello che siamo. Molti antropologi ritengono l’uomo irredimibile,
quindi la marcia verso l’abisso non è più evitabile. Può darsi che la vita
rinascerà: “Ma noi non ci saremo”, come recita la canzone premonitrice
di Guccini cantata dai Nomadi di più di 50 anni fa. Peccato, forse il più
grande rimpianto di noi su noi stessi, sarà: “Eravamo arrivati ad essere gli
esseri più geniali mai esistiti, ma abbiamo segato stupidamente il ramo su cui
eravamo seduti”.
Anche
la stragrande maggioranza dell’umanità povera è incolpevole.
Alla
fine, i veri colpevoli sono i signori del potere - e non solo politico - i
quali fanno il loro comodo usando trucchi e menzogne. Faccio un altro
disperato appello: “Signori del potere, sappiate che neanche voi e i vostri
discendenti vi salverete! Popoli poveri e incolpevoli, voi che siete vittime di
questa politica suicida esigete il cambiamento! Mobilitiamoci! Siamo e saremo
con voi, come voi. Cordiali saluti a tutti.
Francesco
Saverio Lanza
venerdì 28 luglio 2023
DIFENDIAMO IL “CARRARO”
Pista in abbandono
Pista in abbandono |
Come sapete, il Carraro è stato il principale luogo di accoglienza, aggregazione e crescita per migliaia di giovani della zona Sud della città. È chiuso da cinque anni per riqualificazioni che, da progetto, avrebbero richiesto un anno. Nel marzo 2022 l'Assessore disse che il centro sportivo sarebbe stato riaperto a giugno (2022), che poi divenne settembre, poi novembre, poi la primavera del 2023. A primavera ha detto che il Carraro sarebbe stato riaperto dopo i 160 giorni (6 mesi) necessari per i collaudi: vale a dire verso l'ottobre prossimo. Siamo a fine luglio e con gli amici di Ritorno al Carraro abbiamo rilevato la situazione che esponiamo, ampiamente peggiore di quella prima che il Carraro fosse chiuso per "riqualificazioni". Hanno rifatto l'impianto elettrico, e lo vediamo perché le luci sono accese giorno e notte da almeno due settimane, hanno messo a posto spogliatoi e riscaldamento, ed è un peccato, perché non ospiteranno giovani, dato che non c'è una sola struttura sportiva che sia utilizzabile: pista da rifare, campo di calcio in erba da rifare, tennis coperti nei quali piove dentro appena piove e con impianto di riscaldamento vecchio e fermo da cinque anni, tennis all'aperto smontato e inutilizzabile, recinzioni Ovest e del calcetto da rifare.
Pista con erbacce
Una parete di arrampicata esterna e inutile (50.000 € buttati) e altri errori nei lavori fatti. Non è stato curato il verde e gli alberi, che sarebbero un bene prezioso, stanno distruggendo la recinzione, attaccano le strutture sportive, ed ora si è costretti a tagliarli. Tutto ciò è "filato liscio", nel silenzio delle forze politiche che governano la città e di quelle che sono all'opposizione, degli amministratori (con rare eccezioni in Municipio 5). Le Olimpiadi sulla neve hanno la priorità: "the Games must go on", ma in questa città essi appaiono offensivi per i cittadini di una metropoli con pochi impianti sportivi, dei quali molti sono vecchi e malridotti, dove si chiudono le piscine estive. Più che una riqualificazione sembra che sia stata portata avanti una politica di distruzione di un bene pubblico di grande importanza per i giovani. Il gruppo di società sportive di "Ritorno al Carraro" (16 società, 3.500 giovani), con lo sport ha sempre svolto un lavoro sociale primario e l'assenza del loro "luogo di lavoro" per cinque anni ha provocato pesanti ripercussioni sui nostri quartieri.
Pista allo sfascio
Mille promesse di tempi rapidi disattese, lavori fatti male e
con numerosi errori, mai ascoltate le competenze delle società che
costantemente hanno inviato proposte per evitare quegli errori, costi
saliti vertiginosamente: dal 1.967.000 € iniziali siamo a 6.440.000 € (compreso
il rifacimento del palazzetto, incendiato due anni fa, che con i soldi del PNRR
terminerà entro il gennaio 2026). Quanti milioni occorreranno per mettere a
posto tutto, ammesso che il Comune voglia farlo? I lavori del primo lotto -
escluso il palazzetto, che è un intervento aggiunto - sono terminati a marzo,
ma si protrae l'abbandono del centro sportivo da parte del Comune e il clima fa
il suo "lavoro", mette a nudo errori, superficialità, disinteresse e
carenze. Il Carraro dovrà tornare ai cittadini e per questo vi
chiediamo di mantenere l'attenzione su questo bene comune, di diffondere la
situazione che di volta in volta Ritorno al Carraro comunicherà alla
stampa che sta dalla parte dei cittadini, alle associazioni, ai cittadini. Vi
ringraziamo per il sostegno. Per Ritorno al Carraro.
Luciano Bagoli
I MASSACRATORI DI ALBERI
Anpi Crescenzago
esprime solidarietà e condivide la battaglia del Comitato Baiamonti Verde
Comune e di tante associazioni e comitati di cittadinanza attiva perché, su
quella piccola area verde e alberata e dedicata alla vittima della ’ndrangheta
Lea Garofalo, non si costruisca la terza “piramide” e rimanga giardino
pubblico. Non si usi la Resistenza come foglia di fico per l’ennesima
cementificazione e speculazione edilizia: il Museo della Resistenza può trovare
sede adeguata in uno degli edifici storici di Milano, come il Museo del
Risorgimento o alla Loggia dei Mercanti già sacrario dei Martiri della
Libertà, resistenti e partigiani vittime della barbarie nazifascista.
Comitato Sezione Anpi Crescenzago
Giuseppe Natale, presidente della
Sezione
LA POESIA
di
Julia Pikalova
Julia Pikalova
Incendi
bruciano boschi e città
conservatori musei
intorno come al solito
folla di fannulloni e babbei
un’orda di blogger incapaci
orde di follower curiosi
bruciano boschi e città
bruciano inermi e orgogliosi
il mio globo azzurro in fiamme
come porpora si stende
sto di guardia e mi appare
una parola al fuoco resistente
non una fesseria del blogger
né le ciglia malaccorte –
ma il secondo volume refrattario
delle anime morte*
Nota
* Gogol' bruciò il manoscritto
del secondo volume del suo celebre romanzo, ma Bulgakov ha scritto: “i
manoscritti non bruciano” (N.d.T.)
[Traduzione: Paolo Statuti]
Julia Pikalova |
ASTENSIONISTI DI TUTTO L’OCCIDENTE UNITEVI!
di Luigi Mazzella
È vero
che gli Italiani che continuano a frequentare le urne elettorali, cambiando
radicalmente le regole della cosiddetta “democrazia”, hanno smarrito l’idea
della “maggioranza”, qualificando tale una “minoranza” che appaia meno
“minoranza” delle altre e spingendola, con marchingegni vari, a governare
il Paese. È vero che la “maggioranza” degli Italiani, lungi dallo scomparire
dalle lande dello Stivale, ha cominciato a rifugiarsi nell’astensione dal voto
e ad approfittare della diffusione di Internet per far conoscere il suo
mugugno di insoddisfazione, mostrando senza veli la sua disaffezione dalla
vita politica. È vero tutto questo ma è anche indubitabile che la frammentazione dei
partiti in minoranze sedicenti in conflitto sta conducendo, paradossalmente (?)
alla nascita in Italia di un pensiero politico unico che affonda le sue radici
nella comune visionarietà religiosa e ideologica, maturata nel corso di oltre
due millenni. E “valga il vero!” scrivevano negli atti processuali i
nostri “nonni” dediti al giure! Che cosa differenzia, infatti, il bellicismo antirusso
e filoamericano della Schlein da quello della Meloni? Non sono entrambe
“pulzelle” che amano le armature “virili” e fanno a gara per conquistare,
ambedue, il sorriso di consenso che trapela dagli occhi di Joe Biden
sempre più socchiusi per non vedere gli scenari agghiaccianti che sta creando
nel mondo? Che cosa differenzia, ancora, il “pauperismo” pensoso di Elly, nostalgica
dei comunisti d’antan della falce e martello, da quello di Giorgia,
memore dei miti sociali della Repubblica di Salò e dei “fasci di
combattimento”, sempre in gara nella ricerca affannosa di sussidi o redditi
minimi per la sopravvivenza, di salari ridotti di varia entità,
di flat-tax per poveri e titolari di paghe da fame, di cunei fiscali
variamente appuntiti? Nel mezzo dello scontro-incontro tra le due “pulzelle”
si stende la stagnante palude del cosiddetto Centro i cui leader ormai
hanno capito che parlare di alternative di centro-sinistra o di
centro-destra è “vuota ciarla” e che l’unico problema per loro è quello di
fuggire e trovare accoglienza a destra o a manca. Agli Italiani, non compromessi
da interessate scelte partitiche, resta da constatare che le due “pulzelle”
sono entrambe “fanatizzate” (id est: rese fanatiche) dal Verbo
Statunitense volto a impedire all’Italia e a tutti i Paesi Europei, soprattutto
se usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, di crescere economicamente. Nessuna
delle due rifiuta la camicia di Nesso pazientemente creata dall’Unione
Europea dell’Euro e di Maastricht e ognuna di esse accetta l’esclusione
(imposta e coatta) di rapporti del Vecchio Continente con i Paesi Arabi,
con la Russia, con la Cina e con tutto il resto del mondo non egemonizzato da
Wall Street e alla City. Una volta escluse le canalizzazioni che assumono
imprevedibilmente le cosiddette assistenze finanziarie, per loro natura
incontrollabili, è difficile escludere che possa ormai presentarsi alle porte
degli Italiani il partito unico dei figli riuniti di Hegel, entrambi amati da
“mamma-America” che li valorizza alternativamente o congiuntamente, in
base alla convenienza per i propri interessi. Si tratta indirettamente di un
riconoscimento postumo a Benito Mussolini che aveva capito che passare dal
socialismo al fascismo per ottenere il consenso di industriali ed agrari
equivalesse sostanzialmente a creare una Repubblica cosiddetta sociale (di
Salò) dopo la delusione ricevuta dai ricchi, per avere il supporto dei
poveri. Rispetto ai tempi felici di Bartali e Coppi, gli Italiani dovranno
solo scegliere, per loro sfortuna, tra Elly e Giorgia.
OGGI IN SPAGNA DOMANI IN ITALIA
di
Franco Astengo e Felice Besostri
Contro le previsioni di
molti ed ancor di più degli auspici di altri, ma potenti insospettabili, non
solo il PSOE non è stato strabattuto, ma ha anche migliorato rispetto alle ultime
elezioni regionali. Con una più alta partecipazione elettorale il PSOE sarebbe
stato il primo partito.
Il titolo richiama la famosa parola d’ordine “Oggi qui, domani in
Italia", pronunciata da Carlo Rosselli a Radio Barcellona, il 13 novembre
1936, perché se alle europee del 2024 avessimo un risultato analogo della
sommatoria di Pd e di tutto ciò che sta alla sua sinistra, pari a quello del
solo PSOE (31,70%) potrebbe essere un principio di vittoria, anzi di rivincita
nel 2027. La sinistra spagnola, che sembrava messa malissimo, è comunque sempre
stata meglio di quella italiana a partire dalle prime elezioni, nel 1994, con
il maggioritario del Mattarellum. La partecipazione è stata del 70,18%,
quasi 4 punti percentuali in più delle ultime italiane e superiore del 2% delle
precedenti del novembre 2019, ma sempre 5 punti percentuali sotto a
quell’aprile 2019.
Il PSOE 7.760.970 (31,70%) voti aumenta i seggi che aveva alle precedenti
elezioni, ma non è più il primo partito per l’avanzata del PP 8.091.840
(33,05%) voti, che lo supera di 330.870 voti, ma è lontano dalla maggioranza
assoluta, non in termini numerici (- 7 seggi) ma politici, anche con VOX, che
con una perdita di 623.235 resta il terzo Partito (12,39%) sia pure di poco
rispetto a SUMAR (12,31%). Nell'analisi dell'avanzata del PPE va anche tenuto presente la "sparizione" di Ciudadanos: i
voti già appartenenti al gruppo centrista -liberale hanno sicuramente
rappresentato la maggior riserva di caccia del PP. avendo messo a disposizione 1.650.318 voti ottenuti nel novembre 2019, dove
aveva già comunque fatto registrare una forte flessione rispetto alla prima
tornata elettorale svoltasi in quello stesso anno. Al di fuori dei 4 partiti
nel Congresso dei Deputati, ci sono solo formazioni autonomiste se non
indipendentiste, come i catalani di Jxcat-Junts i cui 7 seggi sarebbero giusti
giusti quelli necessari per far raggiungere ai 169 di PP 136 più i 33 di Vox la
soglia fatidica della maggioranza assoluta. Impossibile perché VOX è esplosa nei
consensi elettorali, nel 2016 aveva lo 0,20% e 47.182 voti, come reazione
all’indipendentismo catalano e al referendum del 1° ottobre 2017
celebrato nonostante l’annullamento del Tribunale Costituzionale. Un richiamo
all’unità dei Partiti spagnoli del PPE non basterebbe, perché il PNV ha solo 6
seggi ed è altrettanto inviso, ricambiato, al centralismo franchista di VOX. Se
non si trova una maggioranza di 176 voti si tornerà a votare entro l’anno o al
più tardi nel gennaio del 2024 e a quelle elezioni l’unica alternativa è un
accordo PP-PSOE in nome dell’Europa. Questo è il trappolone, che si sta
preparando per l’alleanza di sinistra a guida socialista.
La prospettiva non va abbandonata se vogliamo coltivare una speranza di un cambiamento verso una società più libera, giusta e eguale, che è la ragione per la quale la prima l’Internazionale Operaia e Socialista è nata nella seconda metà del XIX secolo in questa nostra Europa e che è anche la ragione per continuare nel processo di integrazione europea. Si attribuisce a Slavoj Žižek la battuta che c’è il rischio che finisca prima l’umanità del capitalismo, ma il legame tra il futuro dell’umanità e l’ordinamento economico e sociale esiste, anche se anticapitalismo, internazionalismo e antimilitarismo non sono più tratti essenziali dei partiti di sinistra, come lo erano fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Tuttavia senza idee e programmi per un cambiamento radicale dello sviluppo non si potrà far fronte all’emergenza planetaria mondiale, quindi, al futuro dell’umanità. La scelta della sinistra spagnola di un percorso di unità nella diversità se avrà successo sarà un modello, come invece non è stata Syriza in Grecia, che ottenne l’egemonia ma in competizione con i partiti della sinistra storica socialista (Pasok) e comunista (KKE), il primo ne è uscito distrutto ed è stata colpevolmente non sostenuta nella difficoltà del debito, che sarebbe costato meno all’Europa e al popolo greco, assumerne collettivamente la difesa, piuttosto che sottoporla all’austerità della Troika (Commissione Europea-Bce-Fmi). L’alleanza tra il PSOE e le formazioni alla sua sinistra esce più forte, perché più coesa grazie a Yolanda Diaz. La sconfitta di Pablo Iglesias, omonimo del fondatore del PSOE nel 1879, il secondo partito socialdemocratico dopo quello tedesco, ha permesso di superare quello che era l’obiettivo primario di Podemos, il sorpasso (parola d’ordine in italiano) perseguito nelle elezioni anticipate del 2015 (PSOE 5.545.315, 22,00%- Podemos 5.212.711, 20,68%) e 2016 (PSOE 5.443.846, 22,63% - Unidos Podemos 5.087.538, 21,15%).
Purtroppo a partire dallo scioglimento della
Seconda Internazionale non c’è più un luogo nel quale la sinistra possa
discutere, confrontarsi e anche dividersi sulle sue strategie. Gli stessi partiti socialdemocratici,
socialisti e laburisti, che avevano ricostruito un’Internazionale Socialista
nel 1951 a Francoforte in piena Guerra Fredda, non hanno più un’organizzazione
unitaria, quella che a partire dal Congresso di Ginevra del 1976 era stata protagonista
della distensione, della lotta al colonialismo e all’apartheid
sud-africano e al riequilibrio dei rapporti Nord Sud, con Willi Brandt e
Olof-Palme, come del primo dialogo israeliano-palestinese. Per
quanto riguarda l’Italia ne faceva parte tutta la sinistra storica dal PSI al
PDS, poi DS. Sotto l’impulso di Third Way britanniche e Neue Mitte tedesche e
la formazione del PD e una fascinazione di Bill Clinton l’Internazionale
Socialista venne abbandonata da tedeschi, socialdemocratici scandinavi, austriaci
(il PD uscì persino dal PSE finché non divento anche democratico progressista),
con la conseguente crisi politica, organizzativa e finanziaria. Ora il nuovo
Presidente è lo stesso Sanchez protagonista della rinascita del PSOE. In
generale, l’internazionalismo non è più pratica della sinistra nelle sue varie incarnazioni,
sostituita dal suo surrogato l’europeismo generico, che al massimo può essere
compassionevole verso i poveri e difensore delle minoranze di genere,
discriminate anche in paesi sviluppati o teocratici.
L’assenza di una visione internazionale, che non
può prescindere dallo sviluppo e la riduzione delle diseguaglianze, la
maggioranza dell’umanità non ha l’accesso a beni primari quali l’acqua
potabile, le cure sanitarie di base e l’istruzione elementare, sta sviluppando
in luogo della solidarietà planetaria cooperativa la sindrome della fortezza
assediata in Europa e nei suoi singoli Stati.
In luogo di un’Europa soggetto attivo per un mondo multipolare e solidale si sta rafforzando anche a causa del regime autocratico putiniano russo un europeismo-nordatlantico. Non ci sono le condizioni per una politica di difesa e sicurezza della UE, finché vige l’art. 42 TUE, che può essere modificato solo all’unanimità, ma una posizione paritaria effettiva nella Nato è una decisione politica, che può essere almeno chiesta. I paesi che dettavano la politica europea quando l’Europa era di 15 membri erano 4, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, i primi due anche membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e potenze nucleari. L’asse franco-tedesco è stato un fattore costante di stabilità di indirizzo. Con lo sconsiderato allargamento a Est voluto dalla Commissione presieduta da Prodi, sotto la spinta di interessi economici e geostrategici, non si può più ignorare il peso complessivo degli Stati già membri del Comecon e del Patto di Varsavia, raggruppati nel Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e i Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) più 70 milioni di abitanti, già vittime del condizionamento dell’ex U.R.S.S. Purtroppo la SPD non esprime più una leadership europea come quella Brandt o di Schmidt, i partiti del Semaforo sono tutti superati nei sondaggi da AfD e la Francia con il passaggio dalla guida socialista a quella macronista non può ispirare politiche di sinistra. La Svezia è passata ad una guida di destra nazionalista. Il PD finora non è stato in grado di rappresentare le migliori tradizioni del PCI e del PSI storici quando erano stabilmente il secondo e il terzo partito e i suoi leader erano autorevoli a livello internazionale. Affrontiamo le elezioni europee con una legge del 1979 di cui non si vogliono affrontare i nodi di contrarietà al Trattato di Lisbona in punti qualificanti, limitandosi a piatire una riduzione della soglia dal 4% al 3% o per mettere in sicurezza Italia Viva al 2%. Insieme PD e M5S hanno poco più del solo PSOE e non hanno una visione comune delle politiche europee. Tuttavia i segnali della Spagna sono positivi e le elezioni europee del 2024 saranno precedute da test molto importanti come quello olandese e quello polacco ma sono anche anticipate rispetto a quelle federali tedesche del 2025 e alle legislative e presidenziali francesi del 2027, che precederanno nello stesso anno quelle italiane, sempre che non siano entrambe anticipate. Pertanto saranno quelle europee ad indicare le tendenze per i successivi appuntamenti. Se al PSOE non riesce sulla base di un suo progetto federale a superare il separatismo e l’indipendentismo e a raccogliere tutti i gruppi regionalisti non subendo i condizionamenti di far governare il PP con una sua astensione saranno anche le nuove elezioni spagnole ad anticipare quelle europee. Una ragione in più per concludere “Oggi in Spagna, domani in Europa”.
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