MIGRAZIONE
E LAVORO /3
di Giorgio
Riolo
1. Noi, com’è
noto, siamo alle prese con la cosiddetta “Fortezza Europa”. Con i barconi, con
la “rotta mediterranea”, con la “rotta balcanica”, con la vergogna del campo
dell’isola di Lesbo (problema europeo, non della sola Grecia), con la vergogna
del campo di Lipa in Bosnia ecc.
Con la vergogna,
solo come esempi ultimi di una lunga serie di naufragi, della strage di
migranti affogati al largo di Cutro in Calabria nel febbraio scorso e della
strage di migranti affogati al largo del Peloponneso (Grecia) in giugno.
Ma occorre
allargare il discorso, occorre allargare l’orizzonte. La migrazione
preponderante nel pianeta è quella Sud-Sud. Secondo alcune stime in questi
quattro decenni di neoliberismo (i “quaranta gloriosi” per il capitalismo
neoliberista) in Asia, Africa e America Latina si sono spostate circa un
miliardo di persone. Anche come semplice classica espulsione dalle campagne di
manodopera a causa della rovina della “piccola agricoltura famigliare di
sussistenza”, in presenza dello agrobusiness (agricoltura altamente
meccanizzata e con largo uso di prodotti chimici, monocolture ecc.) e a causa
dei cambiamenti climatici ecc.
Per quanto
riguarda i cambiamenti climatici, ricordiamo solo un evento. Nell’agosto 2022
le disastrose piogge monsoniche, dopo tre mesi di caldo torrido e di siccità
(temperatura costante sui 40 gradi), in Pakistan hanno causato alluvioni
distruttive. 1.000 morti e soprattutto 33 milioni di sfollati, su una
popolazione che ammonta a circa 230 milioni. Altra spinta per molti di tentare
la via della migrazione.
La conseguenza è
la cosiddetta esplosione urbana, con i “quartieri informali”, in realtà una
vera “bidonvillizzazione del mondo” (Samir Amin). Molte città nel Sud Globale
presentano enormi slums, favelas, bidonvilles ecc. Lagos,
Nairobi, Il Cairo, San Paolo, Rio De Janeiro, Città del Messico, Manila,
Mumbai, Calcutta, solo per citarne qualcuna. L’invivibilità in queste
condizioni (acqua contaminata, mancanza di fogne, disoccupazione, promiscuità
ecc.) costringe parte di questi inurbati a tentare la via della migrazione
verso il Nord Globale.
2. Un solo
esempio, come modello a cui fare riferimento. Noi in Europa consideriamo la
“rotta mediterranea” e la “rotta balcanica”. Ma un’altra rotta è continuamente
attiva e alimentata da esseri umani disperati. Si tratta della “rotta
orientale”. L’Etiopia è in rapido sviluppo. Questo sviluppo, come spesso
avviene nelle periferie del mondo, investe soprattutto le città. In presenza di
grandi investimenti di capitali cinesi, in primo luogo, ma anche di capitali
sauditi, per infrastrutture, fabbriche, ferrovie, strade, linee elettriche,
telefoniche, internet ecc. Le campagne invece soffrono. Come in generale
l’intero Corno d’Africa nel quale non piove da vari anni e che la grande
siccità miete vittime in greggi, armenti ed esseri umani a migliaia.
Migliaia di
disperati si mettono in cammino per cercare fortuna altrove. Ogni giorno a
Obock, nel piccolo stato di Gibuti, circa 2.000 persone con i soliti barconi di
fortuna attraversano il Golfo di Aden e giungono nel prospiciente Yemen.
Nessuno conta quanti vengono inghiottiti dal mare. Chi scampa alla morte e
giunge nello Yemen viene ammassato in veri e propri campi di concentramento,
come avviene in Libia, dove sono vessati, maltrattati, abusati. Trafficanti
yemeniti li portano in Arabia Saudita dove vengono adoperati come manodopera
semischiava a disposizione di imprese e di quegli affaristi sauditi,
considerati gentiluomini in Occidente e in Italia per ovvie ragioni di
opportunismo economico e geopolitico.
Si tratta di circa
300/400 mila lavoratori etiopi. Periodicamente 100 mila di loro vengono espulsi
e rimpatriati in Etiopia. Il loro posto viene preso dai nuovi arrivi di
emigrati etiopi e del Corno d’Africa con salari ancora più bassi e con meno diritti.
Si può ipotizzare che in realtà vi sia un tacito accordo o un accordo segreto
tra Etiopia e Arabia Saudita per questo turpe commercio. Carne umana a fronte
di investimenti sauditi. In ciò noi italiani abbiamo una lunga esperienza.
Alcuni casi storici
come casi di studio.
a. Si diceva prima
gli Usa. Paese, come Argentina, Brasile, Uruguay ecc., d’immigrazione per
eccellenza.
Tra il 1820 e il
1914 45 milioni di europei sono emigrati nelle Americhe. Di questi ben 36
milioni negli Usa. Le ondate delle varie popolazioni ivi immigrate andarono a
formare le gerarchie che caratterizzarono in parte la morfologia sociale
all’interno del paese. Così avviene in molti paesi. Come è stato nel caso della
Germania, nell’esperienza dei migranti italiani con turchi, spagnoli,
portoghesi, jugoslavi ecc. tra anni cinquanta e anni settanta.
Negli Usa, le
ondate sono state di irlandesi, di tedeschi, di scandinavi dopo il 1848 e, tra
fine Ottocento e inizi del Novecento, le ondate di cinesi, di italiani, di
emigrati dall’Est europeo, compresi molti ebrei per sfuggire a persecuzioni e
ai tristi pogrom, sistematici e sanguinosi.
b. Cina. La
popolosa Cina è il paese che nella storia ha contribuito maggiormente al
fenomeno migratorio. Nella seconda metà dell’Ottocento milioni di contadini
poveri, soprattutto della parte meridionale del paese, a causa delle due odiose
guerre dell’oppio e della rivolta dei Taiping, sono emigrati in Indocina, in
Malesia, in Indonesia, a Singapore e nelle Americhe, Nord e Sud. Da qui le molte
e numerose comunità cinesi della diaspora.
Negli Usa, i
cinesi, i famosi coolies (sia indiani che cinesi), vennero impiegati
come manovali, minatori ecc. per la costruzione di ferrovie, di strade, di
infrastrutture in generale, a sostituire i neri-negri dopo l’abolizione della
schiavitù.
c. Svizzera. In
Svizzera il 26% della popolazione è straniera o di origine straniera. Questo
paese non può fare a meno di questi stranieri nelle varie attività produttive e
del lavoro di numerosi lavoratori transfrontalieri, molti dei quali sono
italiani.
Malgrado ciò
periodicamente si tengono referendum per limitare la presenza degli stranieri.
In questi referendum regolarmente vince il no. Servono questi referendum
tuttavia per mantenere una sovrastruttura, una ideologia, una pressione, una
ostilità fino al razzismo e alla xenofobia. È un deterrente antropologico,
culturale e politico.
Il retroterra è
nel segno del “mi servi, ti uso, ti sfrutto, ma non sei gradito”.
d. Germania. Sulla
emigrazione italiana in Germania si dovrebbe parlare a lungo. Sono tristemente
famose le baracche che ospitavano precariamente, tra anni sessanta e settanta,
i tanti lavoratori italiani. Le varie ondate di greci, spagnoli, jugoslavi,
portoghesi, di turchi, di curdi e dopo il 1989 le varie ondate provenienti
dall’Europa dell’Est completano il quadro tedesco.
La Germania ci
serve anche come comparazione con l’Italia a proposito di programmazione.
L’Italia essendo notoriamente incapace di programmare e di pianificare. Non
solo “carattere nazionale”, ma soprattutto carattere peculiare del capitalismo
italiota.
Lo aveva
anticipato a suo tempo, dal 2010 in avanti, l’ex ministro degli interni della
Cdu Thomas De Maiziére, nel governo di Angela Merkel. “La Germania nel prossimo
decennio ha bisogno di 10 milioni di lavoratori stranieri, e molti di questi
debbono essere qualificati”. L’ingegnere siriano molto preparato e profugo di
guerra viene accolto volentieri… Le ragioni sono presto dette:
1. Progressivo e
irreversibile calo demografico e invecchiamento della popolazione tedesca.
Molto simile al caso italiano.
2. Ampie
disponibilità finanziarie e quindi necessità di investimenti e di allargamento
della base produttiva. Oggi ciò reso problematico a causa della guerra in
corso. Concepita anche come allineamento dell’Europa e rottura della possibile
intesa Europa-Russia. Con il ruolo subalterno, nella guerra
Usa-Nato-Ucraina-Russia, della Germania e dell’Europa tutta e con il fine
conseguito dagli Usa di condizionare l’economia tedesca, compreso l’affaire
del gas russo a prezzo molto favorevole per il capitalismo tedesco. Sabotaggio
del North Stream compreso. Il concorrente capitalistico tedesco è stato messo
in difficoltà dagli Usa.
3. Per tenere
relativamente bassi i salari. Questo fine naturalmente taciuto dal ministro. È
implicito.