L’EDUCAZIONE
LINGUISTICA
di Nicola Santagada
Tutti concordano sulla necessità di privilegiare, nella scuola, l’educazione
linguistica, in quanto strumento indispensabile per l’apprendimento e per la
comunicazione. La lingua che si apprende è quella materna, che si compone di
parole e di elementari strutturazioni sintattiche. Se la madre userà un
lessico appropriato, contestualizzato e ben strutturato dal punto di vista
sintattico si creeranno le premesse per dotare non solo di strumenti
comunicativi il bambino, ma anche di strumenti di apprendimento. La lingua si
apprende per imitazione, indicando, inizialmente, ciò che cade sotto i sensi.
Id est, ciò è
diventa l’approccio ideale per l’acquisizione di parole, che non solo formano il
vocabolario di ognuno, ma sono strumento di ulteriore conoscenza. Conosciuto il
cane, osservando i suoi comportamenti, anche da solo, il bambino desume una
serie di conoscenze, in quanto la parola è lievito di conoscenza.
Quindi, il
modo giusto per imparare è osservare il reale, avvalendosi dei sensi. Dice,
giustamente, San Tommaso: “nihil est in intellectu quod prius non fuerit in
sensu”. Non si acquisirà il concetto di bruciare, se uno non si brucia.
Nell’età
anteriore all’adolescenza, prevale la conoscenza del concreto, per cui bisogna
presentare prima il superbo e, poi, la superbia, prima l’altero,
successivamente, l’alterigia; dall’arrogante si perviene all’arroganza,
dal presuntuoso alla presunzione.
Anche quando
si indicano parole di per sé astratte, come: simbolo, sema (da
cui: semantica), signum/segno bisogna avere la capacità del creatore
di parole di indicare sempre un concreto, che, in questo caso, l’id est è
il grembo materno. Quel grembo ha acquisito la forza espressiva del gesto comunicativo,
che, di per sé, significa. Pertanto, non ci sono parole difficili e
parole facili, c’è la parola da suggerire nel giusto contesto. Allora, la
famiglia e la scuola dell’infanzia giocano una funzione molto importante per
l’apprendimento della cosiddetta lingua materna.
Un bambino di
18 mesi non solo decodifica un messaggio, ma riesce a produrre messaggi, ad
organizzare una sintassi comunicativa. Questo è sicuramente possibile se il piccolo
percepisce intorno a sé sicurezza affettiva.
Con la lingua
materna si trasmette tutta la cultura stratificata nel corso dei secoli da
parte di un popolo. Infatti, la lingua materna dà identità culturale e, quindi,
fornisce uno strumento indispensabile, per definire io sono.
Superata la
fase del concreto, si costruirà, con consapevolezza, l’astratto che è l’essenza
della logica. Un ragazzo, di qualsiasi ordine scolastico, che non riesce a
riconoscere le cosiddette parti del discorso, difetta di strumenti cognitivi,
così come difetta di strumenti logici chi non distingue un verbo attivo da un
verbo passivo. La lingua italiana si avvale di tre grandiosi innesti culturali:
greco, latino, italico, che comprende, quest’ultimo, quanto lievitato dalla
cultura classica e da quella cristiana. Rinunciare al greco e al latino
significa rinunciare alla nostra identità culturale, così come rinunciare alla
lingua materna. La parola, che è memoria storica, deve parlare e deve
essere colta nel suo divenire. La parola, però, vale, soprattutto, per il
significato che ha acquisito, hic et nunc, conservando, però, tutte le
stratificazioni letterarie.
Allora
dovremo studiare tutti il latino e il greco? No, decisamente!
Gli
insegnanti di lingua italiana, di storia, di filosofia dovrebbero possedere le
lingue classiche, per conservare ed incrementare il patrimonio culturale, che può
divenire, come continuum, solo se questa memoria non s’interrompe.
Ottimi
sussidi per tutti gli studenti potrebbero essere i vocabolari etimologici, che
devono aiutare gli alunni a cogliere il significato nel suo germinare. Su
questa strada si sono fatti ottimi passi in avanti, anche se, talvolta, pur di
attribuire un antenato illustre, si risale al suono e non al significato.