L’ARCHIVIO DI VIA NOTO
di Angelo
Gaccione
In via Noto ci dovete andare apposta perché
nulla vi segnala che lì, al numero 6, c’è un distaccamento dell’Università degli studi di Milano e precisamente il Dipartimento dei Beni Culturali e
Ambientali. La via Ripamonti, la più lunga via della città, se la lascia sulla
destra là dove un tempo i tram facevano capolinea girandovi attorno. Su una
vecchia foto in bianco e nero degli anni Sessanta, l’isolato che da tempo
esibisce l’insegna “Osteria SPQ” preceduta dall’immagine di una forchetta,
portava ancora incisa la scritta Ristorante Rondò, a confermare il giro
che i tram compivano per ritornare verso il centro della città. In parte
campagna, in parte sede di opifici, la Ripamonti è andata via via affollandosi
di abitazioni lungo i due suoi fianchi, come se in mezzo al posto della strada
vi scorresse un fiume. E si è trasformata ben presto in un vero e proprio
affollato quartiere a forte insediamento operaio. Tutto questo prima dei
radicali mutamenti avvenuti a seguito delle dismissioni industriali e che
continuano a cambiarle il volto. Da
fuori la sede universitaria si confonde con edifici piuttosto anonimi.
Eppure, in questo luogo è ospitato uno dei beni culturali più
prestigiosi che la nostra città può vantare, un bene che dà lustro non solo a
Milano, ma alla cultura intera. Si tratta del Centro Apice, l’acronico
sintetizza un nome piuttosto lungo scritto per esteso: Archivio della Parola
dell’Immagine e della Comunicazione Editoriale. A volerlo nel 2002 era stato lo
storico Enrico Paolo Guido Decleva che dell’Università degli Studi era stato
docente e per oltre un decennio (dal 2001 al 2012) anche rettore. Una triade
coadiuva la dottoressa Claudia Piergigli nella direzione, mentre la presidenza
è retta dalla professoressa Lodovica Braida. Un Consiglio direttivo di
indirizzo valuta le acquisizioni e sovrintende a convegni, seminari, mostre,
pubblicazioni e quant’altro attiene alle attività del Centro. Centro che è
dotato anche di un deposito sotterraneo e di un caveau per la custodia dei suoi
preziosi materiali; quest’ultimo tenuto a temperatura costante per permettere
un’ottimale conservazione del patrimonio.
Via Noto in una foto del 1965
Ma
vediamo in dettaglio le motivazioni che hanno dato origine alla sua creazione.
“Concepito come polo di ricerca multidisciplinare sulla cultura dell’età
moderna e contemporanea, a metà tra un archivio e una biblioteca, Apice
conserva tra i suoi scaffali materiali quali le carte personali di scrittori e
artisti contemporanei, gli archivi di case editrici e le biblioteche di
collezionisti privati. La conservazione del patrimonio archivistico e librario
è accompagnata dalla sua valorizzazione per stimolarne lo studio e la ricerca.
Uno degli strumenti principali con cui il Centro raggiunge questo scopo è la
produzione e diffusione di alcune pubblicazioni, tra cui i Quaderni di Apice,
le Strenne di Ateneo, gli atti delle giornate di studio e la newsletter. Nel
corso degli anni, Apice ha partecipato a numerosi convegni organizzati
dall’Università degli Studi di Milano dedicati ai grandi protagonisti della
nostra cultura. I materiali conservati, infine, sono stati dati in prestito per
la realizzazione di mostre in musei e palazzi d’esposizione quali il Museo del Novecento di Milano, il Palazzo Reale di Milano, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, la Biblioteca Classense di Ravenna e tanti altri.
Inizialmente costituito da un primo nucleo di fondi bibliografici già posseduti dall’Università e da una serie di nuove raccolte acquistate,
donate o ricevute in comodato, il centro è caratterizzato da un’impostazione
multidisciplinare che abbraccia ambiti quali la letteratura, l’arte, il
teatro”. Ma col tempo gli ambiti si sono allargati ad altre istanze espressive
(fotografia, giornalismo ecc.) e il suo patrimonio è ulteriormente cresciuto,
tanto che i fondi librari e archivistici sono arrivati a settanta.
Via Noto in una foto del 1965 |