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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
lunedì 31 marzo 2025
L’EUROPA DELLA GUERRA
di Luigi Mazzella
L’Unione Europea è nata per la
pace non per la guerra!
Questa volta comincio con una domanda:
È un “Italiano” osservante della Costituzione chi, rifacendosi a un brocardo
latino di dubbia coerenza logica, afferma si vis pacem para bellum?
La mia risposta è no! È solo un “furbetto” che cerca di eludere il
sano principio del “ripudio assoluto della guerra” sancito dalla nostra Carta
fondamentale con infantili giochi di parole. Si può mai imporre, infatti, di
ripugnare il bellum e volere la pacem e
convincere al tempo stesso chi dovrebbe “repellere” il conflitto armato a prepararlo?
Altra domanda: Può dirsi vero “Europeista” chi
ignora, volutamente a causa di una devianza psichica che lo induce
all’aggressività e alla violenza, che il patto dell’Unione Europea fu stretto
per garantire agli abitanti del vecchio Continente una pace duratura,
senza limiti di tempo, dopo che ben due guerre mondiali erano scoppiate in
Europa? La mia risposta è ancora no! Si tratta anche in questo caso
di persone affette da turbe psichiche che inducono a ignorare che l’Unione
Europea è stata creata precipuamente per promuovere la pace e la stabilità nel
Vecchio Continente e per fare sì che tale impegno si estendesse a tutto il
mondo.
Terza domanda: Costituzione italiana e Creazione
dell’Unione Europea c’entrano qualcosa per giustificare un riarmo di
tutto punto, per schierare battaglioni di giovani destinati a morire, per
allineare su rampe ad hoc missili e bombe distruttive al fine,
falsamente proclamato, di voler perseguire la pace? Dico no e
aggiungo: “falsamente”, non a caso. Ad appoggiare, con l’invio di armi e di
aiuti a Zelensky, la guerra ucraina contro la Russia, l’Europa è stata
motivata dalla versione sui fatti data dagli Stati Uniti di Biden
(con l’appoggio della Cia del Pentagono ma tale narrazione è stata poi smentita
clamorosamente dagli stessi Nordamericani con la contestuale denuncia di una
crescita del nazifascismo a Kiev volto, tra l’altro, a massacrare una quantità
enorme di filo russi e russofoni nelle zone ucraine di confine.
Domanda ulteriore: che cosa induce il francese
Macron, la teutonica Ursula Albrecht Von der Leyen e il britannico Starmer a
rendersi promotori di una sorta di “crociata” del Terzo Millennio contro i Russi
che a giudizio degli alleati Americani sarebbero stati unicamente denigrati da
una propaganda costruita ad arte?
Conclusione: Chi si sente “italiano”, dotato di
sano raziocinio, privo di istinti aggressivi inconsciamente nutriti, ed “europeista”
per amore di pace e di esistenziale serenità non può che ripudiare (come suol
dirsi, senza se e senza ma) ogni guerra e considerare l’Unione una delle più
grandi realizzazioni della storia moderna per mantenere la pace. Oggi,
quindi, non può dirsi soddisfatto del “riarmo” annunciato dalla teutonica
Commissaria di Bruxelles e purtroppo votato dalla maggioranza degli ex
pacifisti del vecchio Continente di sinistra, di centro e di destra (salva
l’eccezione di Orban). In queste condizioni, a fronte del vile attentato ai propositi
istituzionali di pace perpetrati con la volontà (chiaramente) manifestata di
dotarsi di armi distruttive di massa, un europeista per così dire “di prima e
vera maniera” non può che uscire allo scoperto e isolare, con comportamenti
inequivoci, gli Stati che, più di altri, hanno sempre fomentato
guerre in Europa.
Perorazione finale, conseguente: Francia,
Germania, Inghilterra continuino a seminare zizzania tra i popoli e a
promuovere guerre. Gli Stati veramente pacifisti si tengano lontani dallo
sposare tesi propagandistiche elaborate da spie e generali di quei tre Paesi e
dichiarino senza remore la loro neutralità, anche ammettendo apertamente di
essere stati spudoratamente ingannati. L’Europa deve restare lontana dalla
guerra, entità incompatibile; come avevano sperato i suoi Padri fondatori.
domenica 30 marzo 2025
DISTURBARE I MANOVRATORI
di Luigi Mazzella
Panem et circenses, ma anche pace e neutralità
Dopo più di duemila
anni di battaglie in nome di pretese verità assolute, religiose o ideologiche
(rivelate rispettivamente da presunti rappresentanti sulla Terra di divinità
celesti o escogitate da sedicenti Maestri del pensiero); dopo oltre venti
secoli di false fandonie su fatti alterati (se non più supposti che reali) di
storia o di cronaca; dopo il crollo clamoroso di utopie fantasiose e
irrealizzabili (e comunque mai realizzate o disastrosamente attuate con
violenza da tirannie feroci e sanguinarie, dopo l’accertata
incapacità di fumisterie diplomatiche a incidere nei rapporti internazionali, dopo
tutto ciò, la gente comune, la cosiddetta massa amorfa dei governati, in
Occidente (forse) e in Italia (di certo) sembra sul punto di dire: basta!
Il che non significa che i quidam
de populo, risvegliatisi da un ottundente torpore, pretendano un
cambiamento che sostituisca una rotta ideale invece di un'altra: no! La loro
scelta è quella di “lasciar fare” sempre di più ai cosiddetti “addetti ai
lavori” (id est: gli uomini dediti alla politica).
E ciò per effetto non di certo per una
ritrovata fiducia nelle loro capacità di governo (che diventano
sempre più basse e sconcertanti) quanto per il fatto che, dopo aver concionato
di finti e irraggiungibili obiettivi, si sono accordati tutti (appartenenti ai
cosiddetti poli di sinistra, di centro, e di destra) a garantire alla “plebe”,
come ai tempi di Giovenale a Roma, solo panem (sotto
forma di bonus, sussidi, redditi variamente denominati, agevolazioni,
benefici) et circenses (festival di vario tipo, manifestazioni
sportive, agonistiche e persino, con gusto macabro, meste e
ripetutissime commemorazioni di eventi tragici).
L’uniformità dell’offerta politica
consentirà, certamente, ai rappresentanti del popolo (da eleggere al
Parlamento e al Governo del Paese) di non dover più dare prova e dimostrazione
di falsi buonismi, di risparmiarsi di dichiarare ipocritamente inavvertite
solidarietà di tipo umano, sociale o geopolitico, ma essi non potranno
liberarsi dal peso di osservare scrupolosamente un’altra massima del pensiero
romano: salus rei publicae suprema lex est.
Il che significa che in un
frangente drammatico qual’ è quello che stiamo vivendo in questi giorni nella
nostra “nei secoli martoriata Europa” (con redivivi Napoleoni desiderosi di
altre Waterloo, di “eredi” ariani di più ampio numero rispetto, ai tedeschi
smaniosi di armarsi nuovamente di tutto punto per aggredire la
Russia con il rischio di ripetere “i nefasti” della seconda guerra mondiale,
con inglesi, nostalgici masochisti dell’epiteto di “perfida Albione”,
largamente usato in Francia fin dal secolo XVII) è all’ Italia che
essi dovranno innanzitutto pensare come “lex suprema”, superiore a ogni altro
impegno internazionalmente assunto.
Suggerimento: un
ritorno al sistema proporzionale di votazione favorirebbe la scelta dei partner
di governo in momenti difficili come quello attuale, dove è in gioco la
sopravvivenza del Paese. Allo stato, i pazzi e i sanguinari sono presenti
in tutte le “coalizioni” (di destra, di sinistra e di centro) previste
dall’attuale, osceno sistema elettivo, che possiamo definire “maggioritario per
la minoranza meno minoranza”.
A cambiare una legge elettorale non ci
vuole molto. Occorre, però, non porre indugio e fare presto per isolare in
un unico ghetto (come quelli “anti pestilenziali” di epoche remote) tutte
quelle forze che vogliono la rovina del Paese, ingigantendo pericoli
inesistenti. Se a votare saranno tutti i pacifisti presenti in Parlamento la
maggioranza necessaria dovrebbe esserci. E per le votazioni si potrebbe sperare
in un radicale ridimensionamento degli astensionisti (pacifisti delusi dalla
presenza di guerrafondai, manifesti o mascherati, in ogni coalizione). Per
il resto, parafrasando con un mutamento il titolo di un noto film: “L’Europa
può attendere!” Per “rovinarsi” c’è sempre tempo!
CITTADINI SENZA
PAROLA
di Laura
Margherita Volante

Laura Margherita Volante
Dal macro al micro-potere sociale
Ancona. Giovedì 27
marzo 2025 alle ore 16.30, nell'incrocio da via Maggini e via della Montagnola,
del quartiere Pinocchio di Ancona, alla guida della mia auto con precedenza,
a velocità rallentata per immettersi nel centro abitato, ho subito un sinistro
con forte impatto con un’altra auto che mi tagliava il passo. Nonostante la
frenata, con gomme nuove e invernali essendo il manto bagnato per la pioggia,
lo scontro è stato forte con dolore al torace spalla e collo. La giovane alla
guida della sua Polo mi è venuta a chiedere scusa, molto dispiaciuta.
Spaventata e dolorante in mezzo alla viabilità e sotto pioggia battente, ho
chiamato i vigili urbani per i rilevamenti del caso. In un secondo momento è
intervenuta anche la polizia stradale. Dai comportamenti dei soccorritori di
Stato, ho poi realizzato di non essere stata soggetto di diritto ma oggetto e
neppure di assistenza. Infatti nessuno ha chiesto come stavo e se avevo bisogno
di un bicchiere d’acqua. Con disinvoltura non mi si dava la possibilità di
spiegare sia il fatto sia il mio stato d'animo, anzi bisognava stare agli
ordini e in fretta dare generalità libretto di circolazione, ecc. La procedura
burocratica senza mezzi termini era prevalente alla persona, vittima del
sinistro. Telefonai al 118, data la resistenza dei vigili a farlo, per avere
prestazione sanitaria. Purtroppo ho rifiutato di andare al Pronto Soccorso per
una radiografia, poiché dovendo affrontare il giorno seguente intervento
chirurgico all’occhio sinistro, temevo di rimanere bloccata al Pronto Soccorso
stesso. Terminate le procedure di circa due ore in una situazione
caotica, ho ringraziato dicendo alle forze dell’ordine che fui docente di
Cultura generale per graduatoria presso il Centro di Polizia Stradale di
Cesena, anni in cui la Polizia fu smilitarizzata per diventare civile. In tale
circostanza diedi a giovani allievi, di circa la mia età un tema dal titolo: “Poliziotto
senza divisa: cittadino tra i cittadini”. Ho aggiunto infine, con i miei
saluti che il loro lavoro al servizio dei cittadini è molto
prezioso. Quando poi ho visto in un video il Presidente del Consiglio,
signora Giorgia Meloni, ridere mentre il deputato della Repubblica italiana
Antonio Conte alla Camera faceva il suo intervento, ho capito che tra macro
e micro-potere corre buon sangue. Infatti delegittimare
un esponente del Parlamento autorizza a fare altrettanto, anche a chi dovrebbe
servire lo Stato nel rispetto di regole civili, come chiaro esempio anti
democratico. Cosa ci dobbiamo aspettare noi cittadini, soggetti di diritto
o oggetti di ludibrio senza diritto di parola?

sabato 29 marzo 2025
L’ITALIA DEI
CONFLITTI PERMANENTI
di Luigi Mazzella

Alessandro Orsini
Il professore
Alessandro Orsini, esperto di politica internazionale, dice in tono pacato e
quasi dimesso, cose terribili sul pericolo di una terza guerra mondiale che
dovrebbero preoccupare gli Italiani: almeno quelli che non seguono pecorilmente
le farneticazioni dell’esagitato Calenda. Di recente il
politologo ha detto che la Russia di Putin, in un conflitto armato con
l’Europa, distruggerebbe l’Italia in un istante. Se la previsione non ha
sconvolto nessuno è solo perché si ritiene difficile ipotizzare un possibile
interesse della Russia a prendersi una parte dello Stivale. Né è pensabile che
Giorgia Meloni, pur essendo riuscita a dissotterrare l’ascia di guerra di
Giovanna d’Arco (in un empito di trasporto per Joe Biden che, a differenza di
Romano Prodi, i capelli delle donne non li strappa ma li bacia), compia anche
il prodigio di ricostituire i battaglioni del Duce (quelli “della morte, creati
per la vita”), dando, per giunta, un dispiacere al suo nuovo amico
Donald. Diciamo, oltretutto, che in rapporto alle invasioni, è stata
l’Italia a invadere la Russia insieme agli antenati di Ursula Von der Leyen e
non viceversa. Il professore Orsini, da uomo saggio e
avveduto non ha neppure ipotizzato un conflitto con gli Anglosassoni che,
oltretutto avendoci già distrutto una volta, sia pur senza usare le
bombe atomiche (utilizzate a Hiroshima e a Nagasaki), oggi, con le ogive
nucleari, lo farebbero in un battibaleno. Al professore
Orsini suggerirei, da apprendista della materia, di appuntare piuttosto la
sua attenzione di persona competente al minacciato “riarmo” dei Paese Europei,
che rappresenta, a mio giudizio, il vero pericolo di un
coinvolgimento bellico dell’Italia. E ciò per
una serie di ragioni che elenco:


Basta armi
1) I due
conflitti mondiali precedenti della Storia sono entrambi sorti in Europa,
anche se poi hanno coinvolto altri Paesi.
2) L’Europa con
le tre religioni monoteiste importate nei suoi territori è diventata come una
sorta di appendice del Medio-Oriente da sempre ritenuto un vero “focolaio” di
guerre, perennemente acceso.
3) In più:
sulla base delle uguali farneticazioni dualistiche di un filosofo, Platone,
distruttore implacabile della “razionalissima” filosofia sofista e
pre-socratica, ha favorito la crescita di due cancri politici, il nazifascismo
e il socialcomunismo che ha esportato fuori dai suoi confini, con grave danno
per le popolazioni che hanno ceduto a quel canto di malefiche “sirene”.
4) L’Italia è
ritenuta “il giardino d’Europa”, per le sue bellezze paesaggistiche e
artistiche, oltre che per il suo clima ed è invidiata non di certo da Paesi
lontani ma da quelli ad essa più vicini se non confinanti.
5) Non a
caso tutte le mutilazioni del proprio territorio che essa
ha subìto sono state la conseguenza di guerre perse con Paesi Europei:
Nizza, Savoia, Corsica, Istria, Carso, Quarnaro, gran parte cioè della Venezia
Giulia, Malta (con le sue molteplici, storiche vicissitudini).

Orbene, con una
Francia che dice di voler mostrare i “muscoli” e parla delle sue ogive
nucleari, con un’Inghilterra che con Starmer ripropone l’immagine del suo Paese
come quella di un inferocito pit-bull e con la Germania di Ursula Albrecht Von
der Leyen & co. che minaccia di trasformare in attività produttiva di carri
armati e missili la sua poderosa industria automobilistica, personalmente non
riuscirei ad avere sonni tranquilli. Sta di fatto, però, che il riarmo
europeo è passato con il solo voto contrario dell’ungherese Orban.
L’Italia ha
votato a favore ma nella coalizione di centro-destra, solo Salvini e la
Lega sono contro. Meloni dice di essere “tra color che son sospesi” ma
vota sì. Tajani, dopo avere verosimilmente condiviso la scelta degli
eredi Berlusconi di cedere Mediaset alla sinistra è più per il sì che per il
no.
A sinistra è
contraria la Schlein che ha contro, però, la metà del partito Democratico,
rimasto non interamente fedele ai loro omonimi e al Deep State, statunitensi;
non vogliono il riarmo europeo Conte e il Movimento 5 Stelle; al
Centro, Calenda e Renzi delirano, invece, per averlo anche
se per diverse, disomogenee frustrazioni.
Conclusione: L’Italia
continua a essere il Paese dalle divisioni più profonde. I contrasti non
sono più tra i tanti “Staterelli” pre-risorgimentali ma tra le massime autorità
pubbliche e tra gli aderenti (o simpatizzanti) degli stessi schieramenti
politici nella loro totalità. Gli hippies con i loro fiori nei cannoni sono
scomparsi e gli astensionisti sono paria di cui nessuno (neppure tra i
sondaggisti) si occupa e preoccupa per conoscere la loro opinione.
DILETTANTI ALLO
SBARAGLIO
di Romano Rinaldi
Il caso
della “chat” (Signal) usata dai più alti gradi dell’Amministrazione USA per
prendere decisioni collegiali e scambiarsi informazioni relative ad una
incursione aerea e bombardamento con missili e droni in territorio Yemenita,
viene vissuto in tutto il mondo pensante con incredulità e sconforto. Se questo
è il livello di serietà professionale che alberga nelle menti di coloro che
detengono uno dei due poteri armati più temibili nel pianeta, non c’è da
sentirsi molto tranquilli. Ora proviamo a mettere in fila alcune delle dichiarazioni
dei diretti interessati, incluso il comandante in Capo, riguardo l’episodio. La
chat era denominata “Houthi PC small group”.
Prima dichiarazione: “Non
c’era nulla di segreto nelle comunicazioni finite per errore in possesso di un
giornalista”.
Considerazioni: Ammesso che sia
vero che non ci fosse nulla di segreto nei piani di incursione armata in un
paese “straniero”, viene comunque ammesso un errore, non certo fatto dal
giornalista che viene incluso nella “chat” a sua completa insaputa. Senza voler
rimarcare che per molto meno, una ex segretaria di stato e candidata alle
elezioni poi vinte dall’attuale Presidente nel suo primo mandato, fu oggetto di
richieste perentorie da parte del medesimo di arresto e galera immediata. In
quel caso infatti veniva citata una regola ferrea, nelle comunicazioni tra
figure ufficiali dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni; l’assoluta
proibizione di usare canali privati di comunicazione ai quali possano accedere
estranei. Cosa che evidentemente non riguarda la presente compagine
governativa.
Seconda dichiarazione: “Quel
giornalista e la sua rivista non hanno alcuna credibilità e diffondono per
abitudine notizie false. In ogni caso la missione ha avuto pieno
successo”. Lo sfregio alla logica di queste due affermazioni può
essere facilmente individuato da uno scolaro della 1^ media.
Da notare che il giornalista in
questione, sua sponte, aveva evitato di diffondere buona parte delle
comunicazioni ricevute, dopo averne verificato l’autenticità con le fonti e
dopo averle informate di esserne venuto in possesso contro la sua volontà.
Tuttavia, avendo recepito le dichiarazioni di non sussistenza di alcuna
segretezza decideva, in base alla logica più elementare, di diffondere il testo
completo, tranne alcuni nomi, bontà sua, che gli parevano “sensibili”.
Terza dichiarazione: “Nessun
piano di guerra o dettagli di attacco aereo sono stati diffusi attraverso la
chat.”.
Questo è il testo di una delle
comunicazioni diramate nella chat dal Segretario alla Difesa Pete Hegseth, svelate
dalla rivista: “Ore 11.44 a.m. ET (antimeridiane orario costa Est) le
condizioni atmosferiche sono favorevoli, abbiamo confermato con il Comando
Centrale il via libera alla missione”.
Poi seguono i dettagli dell’attacco
che si svolgerà da lì a un paio d’ore.
“Ore 12.15: Lancio degli F-18
(primo assalto). Ore 13.45: Inizio finestra di attacco del primo assalto degli
F-18 (il bersaglio terrorista si trova nel posto noto, l’attacco dovrebbe
essere in tempo – lancio contemporaneo di droni di attacco (MQ-9s). Ore 14.10:
Ulteriore lancio di F-18 (secondo assalto). Ore 14.15: Droni di attacco sul
bersaglio (questo è quando le prime bombe definitivamente cadranno, bersagli
definiti in precedenza). Ore 15.36: Inizia il secondo assalto degli F-18 –
vengono anche lanciati dal mare i missili Tomahawk. Altri attacchi seguiranno
nella sera. Domani vi informerò sui risultati dell’operazione.”
La reazione (sorpresa) del
Comandante in Capo a una domanda di un giornalista: “Ma come vi salta in
mente di tirare in ballo Hegseth in questa faccenda? Lui non c’entra proprio
nulla con questo. È la solita caccia alle streghe!”
Logicamente le parti di questo
scritto che riportano i miei commenti sono opinabili per antonomasia ma ogniuno
può farsi l’idea che ritiene più opportuna riguardo il caso nel complesso. Le
conclusioni alle quali arriverà potrebbero essere utili per una autovalutazione
del livello di senso critico posseduto dal lettore.
Una considerazione mi viene
spontanea. Pensando all’immane sforzo e le considerevoli spese che dovette
sostenere il governo britannico durante l’ultima Guerra per arrivare a violare
i codici di trasmissione delle armate del Führer, è più che evidente che questa
amministrazione americana tenda a sforbiciare ogni sorta di spese inutili e
forse proprio per questo ha istituito un apposito dipartimento denominato DOGE
al comando del quale ha messo l’uomo più ricco del pianeta.
A proposito del mercantilismo
imperante nell’attuale amministrazione USA, un altro passaggio della chat è
degno di nota. Il vice-presidente, all’inizio della “conversazione” (Ore 8.45)
ventila una sua opinione, confortata da altri interlocutori, secondo cui un
intervento USA per garantire le rotte marine che portano al Canale di Suez,
andrebbe per solo il 3% a vantaggio degli USA ma per ben il 40% a vantaggio del
traffico europeo. È quindi logico aspettarsi dall’Europa, la solita sanguisuga,
un cospicuo rimborso per questa costosa operazione. Al che, il segretario alla
difesa Hegseth risponde: “VP (vice presidente, ndr): concordo pienamente il tuo
disgusto per come l’Europa si approfitta di noi, è patetica”.
Peccato che dalla Marina Militare
Italiana giunga una rapida precisazione: “Le nostre unità navali stanno già
operando da parecchi mesi nella zona per garantire la libera navigazione di
ogni mercantile di qualunque Paese, prevenendo e respingendo gli attacchi di
ogni entità terroristica che tenti di ostacolarne la navigazione.”
Da notare che il vice presidente
americano è la stessa persona che si è recata in Groenlandia per avanzare le
note pretese americane su quel territorio in base a un pretesto di sicurezza
nazionale. Sicurezza che certamente non riguarda quel territorio di pertinenza
di una nazione europea, la Danimarca.
Ce ne sarebbe più che a
sufficienza per uno show da circo, non certo la commedia dell’arte!
venerdì 28 marzo 2025
ODESSA, VITA QUOTIDIANA E BOMBARDAMENTI
di Christian Eccher
In centro
Il bagliore delle luci gialle del centro si riflette sul selciato bagnato e sulle nuvole basse, da ore sospese e immobili sulla città; lungo la via pedonale “Primorskaya”, luccicante e pulita, che inizia nei pressi del Teatro dell’Opera e del Municipio, ci sono poche persone a passeggio, quasi tutti giovani. Sulla sinistra si ergono maestosi e fieri palazzi, che, con i loro stucchi e gli eleganti balconi, guardano al mare: in passato, Odessa si presentava così ai naviganti, con l’orgoglio e la fierezza di una ricca e gentile architettura. La parte destra della passeggiata è invece aperta e, come da una terrazza, permette la visione dell’intero golfo e del porto, da cui sopraggiungono rumori di camion che scaricano le merci, di treni in arrivo e di gru che caricano container carichi di grano su navi invisibili: a causa dei continui attacchi dei russi all’infrastruttura portuale, le imbarcazioni ancorate ai moli tengono spente l’illuminazione di bordo.
Tranquillità e poi droni
Le giornate trascorrono tranquille, Odessa è una città viva e la guerra sembra lontana, relegata alle zone più orientali dell’Ucraina. La gente va a lavorare, i tram gialli e rossi si scuotono al passaggio lungo gli spaziosi boulevard che portano in periferia e tutto sembra essere normale e in perfetto ordine. Quando però cala la sera e la notte si distende sul Mar Nero e sui territori stepposi del sud dell’Ucraina, l’ululato sinistro delle sirene antiaeree ricorda alla gente, già chiusa nelle proprie case e nei propri appartamenti, che il conflitto è presente, e che si combatte anche qui. In una sera di marzo, in cui l’aria di brezza dal mare profuma già di primavera, proprio nei giorni in cui i primi teneri germogli sbocciano sugli alberi che costeggiano la scalinata Potemkin, la Russia scaglia l’ennesimo attacco contro Odessa, questa volta con droni di tipo “Shahed”. Fra l’urlo delle sirene, si sentono distinti i colpi di contraerea che rimbombano in tutta la città. Nel cielo, compaiono le scie rosse dei proiettili della contraerea, come fossero stelle cadenti che hanno però origine dal mare e che vanno verso il cielo. Un boato scuote la zona dell’aeroporto: un drone o i resti di un drone hanno colpito un edificio civile della periferia, un deposito di giocattoli e una zona in cui si trovano anche dei depositi di carburante. Dopo mezz’ora di dura battaglia celeste, l’allarme aereo finisce e la città ritrova la calma della notte. Al mattino, il cielo è cupo e un sole pallido fa capolino a est. Non si tratta di nuvole ma della coltre di fumo proveniente dalla zona bombardata. Una colonna altissima e nera si alza da un punto indefinito all’orizzonte e il vento in quota la disperde ad alta quota. L’odore di bruciato è ovunque e l’incendio e il fumo rimarranno visibili per altre 24 ore.
Il porto
La colonna di fumo si estende verso la periferia
orientale della città, spinta dai venti occidentali. Nella zona del porto,
sormontata dalla coltre di foschia nera, c’è un gruppo di case unifamiliari
incassate fra la periferia e i moli. Ci si arriva con il tram che segue la
strada magistrale per Mykolaiv. In prossimità del porto, ci sono edifici
distrutti e incendiati; Odessa è stata colpita più volte dai russi con droni e
missili proprio nel suo punto nevralgico, il porto appunto. Dopo il mancato
rinnovo dell’accordo sul grano, nel 2023, il Cremlino ha continuato a
bombardare quest’area della città, che comunque continua a essere produttiva e
funzionale. A livello infrastrutturale, solo il 30-40% degli edifici del porto
è in funzione, ma l’export è tornato quasi ai livelli prebellici. Da Odessa
partono soprattutto grano e prodotti siderurgici.
La periferia e la casa di Maria
Cala la sera e subito appare chiaro il contrasto fra la
periferia e il centro della città. Qui le vie sono poco illuminate, la strada
principale è molto trafficata e, verso l’interno, dalla parte opposta del
porto, si vedono soltanto le luci fioche delle case unifamiliari a un piano. In
una di queste vive Maria con la mamma Irina e i suoi due figli Vladimir e Anna
(i nomi sono inventati). L’abitazione è molto vecchia, è stata costruita dai
tedeschi che abitavano a Odessa negli anni ’40 e all’interno ci sono tre stanze
e un bagno, composto soltanto da un cesso e un lavandino. Non ci sono né la
doccia né la vasca da bagno. “Sono tornata a vivere qui con mio figlio dopo che
mio marito è morto in guerra, per abbattere i costi e per non lasciare sola mia
madre” dice Maria, mentre beviamo un tè alla luce fioca del soggiorno. Accanto
al tavolo, c’è un divano letto su cui dorme la madre, che in questo momento
riposa perché non si sente bene. Le chiedo di parlarmi delle circostanze in cui
è morto il marito. “È partito volontario per il fronte ed è ufficialmente
scomparso senza lasciare traccia nel luglio scorso. Per lo Stato non è morto,
per questo non prendo neanche la pensione che spetta alle vedove”. Le chiedo
come faccia a essere certa della morte del marito: “Per prima cosa, se un
soldato finisce prigioniero dei russi, si viene sempre a sapere. Seconda cosa,
basta guardare le mappe di avanzata del fronte: il giorno in cui mio marito è
morto, ci sono stati dei combattimenti furiosi proprio nella zona in cui si
trovava, che non è controllata da nessuno degli eserciti. Mio marito è rimasto
lì, né lo hanno catturato né è tornato indietro. Probabilmente non è stato
neppure sepolto...”.
Maria ha lo sguardo duro, gli occhi vitrei di chi è
abituato alle difficoltà. Da bambina, la madre alcolizzata l’ha abbandonata;
lei è cresciuta in un internato sovietico, dove ha vissuto violenze di ogni
tipo. Una volta maggiorenne, la madre, che è riuscita a disintossicarsi, l’ha
cercata e lei l’ha perdonata. A 20 anni ha partorito Vladimir, che adesso ha 24
anni, e si è sposata. In un secondo tempo è nata Anna, che ora ha 15 anni. Ironia
della sorte, i genitori del marito vivono in Russia, a Mosca, e non sanno della
fine del congiunto. Sono anziani e non reggerebbero al dolore. Il marito di
Maria, prima di partire per la guerra, aveva esclamato: “Vado a sparare addosso
ai miei, e i miei spareranno addosso a me!”.
Maria lavora come donna delle pulizie per un’azienda di
Odessa e presta servizio anche in case private. Nella fabbrica per cui lavora,
guadagna 900 grivenj al giorno (circa 20 euro). “Adesso stiamo abbastanza bene
economicamente, ma io devo lavorare 14 ore al giorno - continua Maria - vorrei
ristrutturare questa casa, ma Vladimir non vuole, dice che è meglio aspettare
la fine della guerra”.
Progetti futuri e il missile Iskander
Mentre la mamma parla, Vladimir entra nella stanza. Un
fisico atletico, la barba lunga e rossa e un tatuaggio sul braccio destro, con
scritte indecifrabili. “Mamma, te l’ho già detto! Devi essere razionale:
viviamo vicino al porto, un missile potrebbe distruggere tutto da un momento
all’altro. Ristruttureremo a guerra finita!”. Maria risponde prontamente: “Io
dico che dobbiamo ricostruire ugualmente. È un modo per essere attivi e per non
arrendersi alla guerra. Continuare, continuare, continuare, se poi ci
danneggiano la casa, lo Stato ci aiuterà a ristrutturarla di nuovo!”. “Se
invece il missile ci colpisce direttamente, il problema è risolto per sempre”,
dice Vladimir, mentre ride e prende una bottiglia di rum dalla credenza
appoggiata sul muro antistante al letto. Vladimir è uno dei tanti giovani che
si nasconde per non essere arruolato nell’esercito. “Ho perso molti amici e mio
padre, mia madre insiste perché io non mi arruoli. Ci avevo pensato, ma credo
di avere delle responsabilità nei confronti della mia mamma, di mia sorella e
di mia nonna”.
Alla domanda sul perché volesse arruolarsi, risponde con lo sguardo serio di chi ha riflettuto a lungo: “Vedi, ritengo che l’invasione della Russia vada fermata, ma non è per questo che avevo preso la decisione di andare al fronte. Se vai in guerra, devi prima di tutto risolvere il tuo rapporto con la morte, e, di conseguenza, anche con la vita. Una riflessione interiore, lunga e dolorosa, che ti porta ad accettare il fatto di andare incontro a ciò che noi esseri umani continuamente rimuoviamo, a cui non vogliamo pensare: alla morte. Bene, io avevo risolto questo nodo ed ero pronto a morire. Poi, mia madre - mentre pronuncia queste parole si alza e la abbraccia - mi ha fatto capire che avevo delle responsabilità e che per questo era più importante che io vivessi. Lo devo soprattutto a mia sorella”. Maria è riuscita anche a raccogliere i 15.000 euro necessari per ottenere il passaporto (illegalmente, l’Ucraina non ha ancora del tutto risolto la piaga della corruzione) e per permettere a Vladimir di lasciare il Paese, ma il figlio non li ha accettati. Rimarrà a Odessa fino alla fine del conflitto. La discussione continua, finché le sirene antiaeree non cominciano a suonare. “I soldi messi parte li utilizzeremo per pagare l’istruzione per mia sorel...”. Un tuono sordo e cupo interrompe Vladimir. Una fortissima onda d’urto spalanca la finestra appena accostata, nelle orecchie si sente la pressione dell’aria, come quando il treno entra di colpo in galleria. Un missile russo, un Iskander, è caduto sul porto. Sapremo solo dopo qualche ora che ha colpito una nave algerina carica di grano. 4 uomini dell’equipaggio sono morti, 3 siriani e un ucraino.
Geopolitica e speranze
Nella zona denominata Fontana, sul lungomare, vicino al
grattacielo in vetrocemento che qualche tempo fa è stato colpito da un drone e
mostra ancora gli ultimi piani sventrati, mi aspetta Arthur, un professore
dell’Università di Mykolaiv, a Odessa per un incontro di lavoro con alcuni
colleghi. Parliamo della situazione politica non certo felice in cui si trova
l’Ucraina. “Gli ucraini non hanno voltato le spalle al proprio Presidente, come
alcuni media occidentali vogliono far credere. Zelensky è sempre popolare,
anche e soprattutto dopo lo scontro con Trump. Ha sempre dimostrato coraggio e
non ha mai abbandonato il Paese”. Gli chiedo quale sia lo stato d’animo suo e
della popolazione ucraina in questo momento e lui conferma l’impressione che ho
avuto in questi giorni parlando con la gente di Odessa: “Siamo stanchi, siamo
tutti molto stanchi. Vorremmo che questa guerra finisse. Missili, droni, se non
ci sono esplosioni urlano le sirene, non si riesce mai a dormire per una notte
intera!”. Questa, infatti, è anche una guerra del sonno: spesso, i russi fanno
alzare droni da ricognizione a tarda notte solo perché sanno che così
suoneranno le sirene in tutta l’Ucraina e che la gente si sveglierà, cosa che,
alla lunga, può portare a problemi di salute e a crisi di nervi.
Chiedo al
professore se fra la gente regnino anche pessimismo e disperazione dopo il
rifiuto di Trump di aiutare l’ucraina: “Pessimismo c’è, disperazione no. Il
quadro geopolitico cambia molto rapidamente, non è escluso che Trump litighi
con Putin e che torni ad aiutare gli ucraini. In ogni caso, Zelensky si sta
muovendo bene, continua a intessere rapporti diplomatici con Washington, sa che
senza l’aiuto degli americani l’Ucraina è persa”. E l’Europa?. “Sull’UE non
possiamo ancora contare. A Bruxelles si parla di riarmo, ma il processo è lento
e a noi le armi servono subito. Sarebbe utile dar vita a un esercito comune
europeo che, nell’ottica di una vera e propria confederazione di Stati europei
di cui un giorno farebbe parte anche l’Ucraina, difenderebbe gli interessi
comuni del nostro continente”.
Si fa buio, la notte scende e insieme a lei un manto di
nebbia fitto che arriva dal mare e nasconde la sommità del grattacielo in vetrocemento,
sfregiata dal drone.
Erwartung
Nel rifugio del Teatro dell’Opera, a cui si accede
attraverso corridoi e scale misteriose che portano nel sottosuolo, va in scena
un’opera di Arnold Schönberg, Erwartung, ‘Attesa’. Il rifugio antiaereo diventa
palcoscenico e platea e le note del Maestro austriaco, intonate dal soprano Yulia
Tereshchuk, ricordano ai presenti che la realtà in cui viviamo è estremamente
complessa e che può essere descritta (e quindi compresa) solo grazie a un
linguaggio altrettanto complesso, quello che ci offre l’arte, appunto. La
musica e l’arte danno un senso e riempiono l’attesa che stanno vivendo in
questo momento Odessa e l’Ucraina. L’attesa della fine della guerra e
dell’inizio di un nuovo mondo, che stenta a nascere, mentre quello vecchio,
fatica a morire.
[Odessa, Primorskyi
raion, 14-16 marzo 2025]
PER NOVALIS
A 224 anni
dalla scomparsa prematura del poeta, teologo e filosofo Novalis, vorrei rendere
omaggio al genio tedesco romantico del Blaue Blume (Il Fiore Blu),
attraverso la traduzione del Secondo Inno,
tratto dagli Hymnen an der Nacht, una raccolta di poesie dedicata alla
sua amata Sophie, dopo la sua morte, pubblicata sulla rivista tedesca Athenaeum nel 1800, in cui il poeta si
raccoglie in sé stesso nella luce della notte per “romanticizzare” il divino,
araldo di infiniti segreti. Se ogni atto traduttivo, nella lingua e cultura d’arrivo,
comporta sia una perdita che una aggiunta di elementi, dovuti a differenti
variabili di natura socio-linguistica e culturale, il mio è un tentativo di essere
quanto più fedele a quel sentimento della “Sehnsucht” tedesca tipica dei poeti romantici
del circolo di Jena, di cui Novalis si fa esemplarmente portavoce.
Anna Rutigliano
Secondo inno alla notte
Farà sempre ritorno il mattino?
Finirà mai la violenza sula Terra?
Infausta frenesia che divora
l’avvicinarsi
celestiale della Notte.
Arderà mai in eterno
il segreto sacrificio d’Amore?
Alla Luce è stato attribuito il suo Tempo;
ma il regno della Notte non possiede
tempo né spazio.
Eterno è il sonno.
Sacro Sonno, non rallegrare troppo di rado
il devoto alla Notte, in questo giorno di fatica terrena.
Gli stolti soltanto ti rinnegano e
non conoscono sonno
se non quello dell’ombra.
che tu infondi su di noi, con pietà,
in questo crepuscolo di vera Notte.
Non ti percepiscono
Nel torrente dorato dei grappoli,
nel miracoloso olio del mandorlo e
nel bruno succo del papavero.
Non sanno che Tu sei lì,
fluttuante ai seni della tenera fanciulla
a rendere Cielo il suo grembo,
non sospettano che ti opponga
da antiche storie aprendo Cieli e
che conduca la chiave alle dimore dei beati,
Tu, silenzioso messaggero di Infiniti Segreti.
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