I POETI DI ANGELO
GACCIONE
di Franco Curto
Perugia. Con la
recente raccolta dal titolo Poeti, con sottotitolo, Ventinove
cavalieri e una dama, (Di Felice Edizioni 2025 pagg. 56 € 10), ritorna a coinvolgere il lettore, il canto melodioso e struggente di Angelo Gaccione.
L’opera, con note di Vincenzo Guarracino e Alessandra Paganardi, è un viaggio
poetico attraverso tutto il Novecento, arrivando fino ai giorni nostri. L’idea
geniale di Gaccione è affidarsi ai poeti, molti di loro conosciuti e
frequentati, altri incontrati nello studio della nostra storia letteraria. Si
dipana il suo canto su un verso iniziale di uno dei poeti nel testo; con un
intimo sentire consente all’autore un dialogo nel tema che svela sentimenti,
impegno sociale, il proprio privato, la strenua difesa di diritti e l’aspirazione
alla libertà. Gaccione, uomo del nostro tempo, è la prova della fedeltà alla
parola scritta, che in mezzo secolo, resta la testimonianza di coerenza e comunque
mai sottomessa al Potere. Gaccione si chiede perché “vengono al mondo i poeti”
e la risposta che egli ci dà, dopo tutto, è quella di “gravarli della pena
/ che solo la fatica di vivere comporta”. Ha ragione quando Caproni
svela che la poesia “è il sale del mondo”, come il sole che tutto
illumina e a Gaccione indica la strada seguendo la propria ombra. Con Sbarbaro,
Angelo concorda nella grazia concessa ai poeti, perché anche egli è convinto
che la parola genera felicità. Si riaffaccia altresì l’incubo del male. Il
ricordo di Hiroshima è il fantasma che aleggia nel mondo e con Raboni si chiede
allora che ne sarà della nostra stoltezza se non evitiamo che l’idea della
guerra possa prevalere. Un verso che a volerlo metabolizzare spezza il cuore.
Tematiche nella poesia di Gaccione affrontate con un linguaggio lieve ma
incisivo, una filosofia che sa d’antico. Una celebrazione genuina di una
religiosità laica della natura e la denuncia coraggiosa di tutte le offese provocate
dalla nostra follia disumana. Il ricorso al ricordo e la forte nostalgia del
ritorno ai luoghi dell’infanzia povera e felice, nonostante tutto, è allo
stesso tempo la grande voglia di emergere per farsi parola. Nei sui
versi c’è anche lo sconforto verso la meta e il bisogno di una compagnia per
non restare soli. Il suo pensiero va a quell’unica dama nel volume nella voce
di Antonia Pozzi. La parola è la medicina giusta per i nostri malesseri
interiori che quasi sempre salva la vita. Pavese è vivo ancora oggi perché ci
ha insegnato il mestiere di vivere in questa giungla che non ha più regole ma
disordine. Gaccione dialoga con Ungaretti, Quasimodo e Montale, pilastri della
nostra poesia, ma ama Penna e la felicità per una giovinezza interiore che non
ha baricentro ma sa lasciarsi andare “come foglia in attesa di volare o cadere”.
La poesia di Gaccione è musica che affascina e sconvolge, essa domanda il
lettore e si domanda dando anche risposte che in verità sono segni e sogni di
speranze a volte disperate per l’insensatezza di noi “Uomi…” malati di
soldi e di potere. Del resto tutto quanto previsto da Pasolini di cui Angelo si
era già occupato. Ma niente di nuovo oggi sotto questo cielo. Ci salverà la
poesia? Nessuno è in grado di darci una risposta, so solo e lo sanno i poeti
che senza poesia il mondo sarebbe più povero, forse da tempo finito. Gaccione
nella sua opera canta l’amore, grida senza paura contro ogni guerra, contro
l’ingiustizia e rivendica con la sua opera di scrittore, a tutto tondo, i
diritti per i senza diritti, per fermare la violenza che dilania l’animo umano
e annienta bambini innocenti che domani forse cercheremo. Un ritorno felice al
primo amore di Gaccione per la poesia, con questa bella raccolta, che lascia un
segno indelebile nel lettore per il suo stile chiaro e suggestivo, che non può
che essere il rumore della coscienza per scuotere l’individuo dal proprio
torpore e dall’assenza di partecipazione alla salvezza di un pianeta che
rischia di questo passo di andare a rotoli.