SIAM PRONTI ALLA MORTE?
di Luigi Mazzella
L’inno di Mameli tra dissensi e scongiuri.
Passiamo per
essere un popolo di pantofolai, pacifici e sedentari, ma nessuno ci
eguaglia quando cantiamo i nostri canti di guerra. A parte quelli del Ventennio
Mussoliniano (“All’armi siam fascisti!”, “Vincere e Vinceremo”; “Passano i
sommergibili”; e frasi come “Ridere in faccia a monna Morte ed al
destino”) anche il nostro inno “nazionale” o “inno di Mameli”, quanto a
desiderio di morire in guerra, non scherza! Goffredo Mameli
era un giovane che sapeva “muoversi” nell’ “Italietta dei troppi Staterelli”,
era mazziniano, garibaldino e come loro massone. Il suo inno era rivolto ai
“fratelli muratori” da lui ritenuti i veri protagonisti del Risorgimento. Le
sue “vibranti” parole furono messe in musica da Michele Novaro, il cui nome
però, non passò alla storia. Per rendere l’idea di ciò che avvenne, si
potrebbe dire che se Enrica Bonaccorti si fosse iscritta alla Massoneria la
Canzone “La lontananza” sarebbe stata attribuita a lei e non a Domenico
Modugno.
In
realtà, non so se i suoi fratelli in grembiulino abbiano fatto a Mameli un
vero regalo. Agli occhi degli ironici italiani del Terzo Millennio (non
molti, ovviamente) la musica di Novaro piace ancora molto e i giovani, anche
quelli per così dire in età di leva, la ripetono nei cadenzati suoni con
orgoglio, ma stenderebbero volentieri sulle parole un velo pietoso di
silenzio (addirittura, cancellando, dopo averle sottolineate con la matita rosso-blu,
le parole: siam pronti alla morte! ritenute piuttosto iettatorie).
Non sembra
comunque ipotizzabile che i molti testi alternativi al grido di guerra di
Mameli (tra essi quelli di Bonaccorti e di Gaccione) possano sostituire un
canto che a giudizio della massoneria inglese (e internazionale) ha avuto il
merito di infondere negli Italiani quel coraggio che non contrassegnava,
di certo, i connazionali di Don Abbondio.
All’epoca delle
guerre del cosiddetto “Risorgimento” italiano, la magia di un “popolo di morti”
che si era messo, secondo Carducci, “dietro” il volto tutt’altro che
accattivante di Mazzini era stata compiuta dall’Inghilterra. L’Albione
(pre-mussoliniana e non ancora “perfida”), avendo deciso di combattere
e di ridimensionare il potere dell’Austria in Europa, con l’aiuto del suo
“Sancho Pansa” abituale (la Francia era tale anche prima di Macron), aveva
spronato gli Italiani ad “andare incontro alla morte” per regalare l’intero
Stivale ai fidati Piemontesi, distruggendo ogni residuo collegamento italico
con la casa regnante di Vienna.
Anche oggi che
l’Italia è divenuta, nel corso dell’imperio del Partito Democratico nord
americano (lo stesso, peraltro, di Giorgio Napolitano) grazie alla sua tendenza
servizievole, filo-statunitense, il bellicismo italico è stato
sollecitato da un decadente Joe Biden, anglosassone. E ciò
nonostante che a palazzo Chigi fossero giunte forze politiche sedicenti
“diverse” ma che, comunque, avevano, nel loro DNA politico, antichi
“ardimenti” anche se di segno opposto. Con l’avvento
di Donald Trump alla Casa Bianca il bellicismo italico ha conosciuto un momento
di smarrimento. E l’idea di essere pronti alla morte non
più per lo zio Sam ma per Ursula Albrecht Von der Leyen, qualche disorientamento l’ha procurato.
Esso continua a essere il grido di mezzo Partito Democratico, di un super agitato Carlo Calenda (desideroso di portare ancora il figlio in Ucraina, sotto le bombe, come ha dichiarato in televisione), di un Matteo Renzi, avvezzo alla litigiosità contradaiola della periferia fiorentina ma desideroso di cimentarsi in più ampi campi di battaglia. È, invece, flebilmente contrastato dall’altra metà del partito che fu di Togliatti e di Berlinguer, da Giuseppi Conte, di cui Trump non ha ancora declinato il nome di battesimo al singolare, da un Antonio Tajani con i “sali da annusare” a portata di mano per non svenire nel bel mezzo del grido bellico, da Giorgia Meloni che non riesce a impossessarsi di una delle due chiavi necessarie per aprire il cor di Federico (Donald, ovviamente).
Forte del grido
di Un nemico del popolo di Ibsen “L’uomo solo è il più forte del mondo”,
Matteo Salvini, deciso, memore dei versi leopardiani, a “procombere” in
battaglia da solo, si è dichiarato contro il “riarmo” proposto dalla neo alleanza
franco-inglese-tedesca. Fedele a Trump, in odio al Partito Democratico divenuto
Trasversale (o più semplicemente Occidentale, tout court).
La situazione
per il già titubante segretario della Lega non è facile. Dopo gli
atteggiamenti (a volere essere generosi) “cauti” di Antonio Tajani sulla guerra
russo-ucraina, dopo la sua posizione chiaramente ammantata di scettica prudenza
circa i tentativi in atto per giungere alla pace, compiuti da Trump e Putin,
dopo il suo parere sul riarmo proposto dalla bellicosa Von der
Leyen, dopo la versione per così dire “ufficiale” di Forza Italia sulle origini
della guerra diametralmente opposta a quella data da Berlusconi nel 2014 che
parlava chiaramente di massacri di filo-russi e russofoni ad opera
dei battaglioni nazisti di Zelensky, dopo la sostanziale cessione da parte
degli eredi del Cavaliere al sinistrismo più spinto delle reti Mediaset
(per avere un minimo “contraltare” a ciò che vi si ascolta, meglio passare
a “Otto e mezzo” dove qualche voce discorde “efficace” si può ancora trovare ),
dopo tutto quello che si è detto si deve necessariamente desumere che i
nemici dell’“indomabile Silvio” stessero proprio in famiglia.
È vero che anche
la RAI, dopo la cosiddetta “conquista” del centro-destra continua a essere
egemonizzata dai soliti “intellettuali di sinistra”, ma sorprende di più
che ciò rappresenti la scelta degli eredi del Cavaliere.
Conclusione: Mal comune
mezzo gaudio. Schlein sta contro la metà del suo partito e in un ambiguo
disaccordo-accordo con Conte; Calenda è sempre di più contro Renzi;
Bonelli e Fratoianni sono contro tutti (forse anche contro se stessi);
Meloni e Tajani avversano le iniziative di Salvini (con Vance). In buona
sostanza, il bellicismo italiano, allo stato, appare ancora “casalingo. Il
“siam pronti alla morte”, con buona pace di Mameli, risuona, allo
stato, solo negli stadi.