RIFLESSIONE A MARGINE SU POETI
di Giorgio Linguaglossa
La mia non è una recensione né una
nota di lettura ma una riflessione a margine.
In questo
libro di poesia Angelo Gaccione parla su e intorno a trenta poeti del Novecento.
È un parlare ramingo, erraneo, dove non c’è né inizio né fine, dove il titolo
non è un vero titolo e l’ “io” non è che un io che finge di essere l’autore del
testo; e il testo è un senza margini e si involge su se stesso seguendo il
meccanismo della trottola; il racconto è impossibile perché qui il rendiconto,
l’enumerazione, la contabilità – che i medici e la legge esigono con il loro
interrogare – contagia anche il discorso poetico, e, poiché ogni volta il
raccontare si chiude in un render conto, il senso possibile e attingibile ogni
volta rischia di venire tradito, finisce in un significante che rimanda ad un
altro significante e così via. La legge e il dare alla luce una composizione
poetica che parla di un’altra composizione poetica di un altro autore del
passato obbediscono allo stesso movimento, della fantasia e della ragione. È un
movimento riflettente che obbedisce alla ratio della mimesis. L’ordine del giorno è anche questo, ci chiede
continuamente di interrogare una presunta realtà. Interrogando i poeti che ci
hanno preceduto ci si sottomette alla stessa dialettica dell’interrogazione,
alla sua ratio profonda. E l’interrogazione diventa «oscena» ha scritto una volta
Slavoj Zizek, perché assomiglia ad un parlare di un fantasma con altri
fantasmi. Levinas ha detto una volta che «fare un racconto, parlare, è già un
redigere un rapporto di polizia». La verità della poesia è in questo teatro, in
questo voler sfuggire al giogo del racconto, quando invece ogni racconto
assomiglia, nel suo linguaggio, nella sua postura e nel suo stile, al referto
di un medico legale dopo che ha finito la vivisezione di un cadavere.

Gaccione con Franco Loi
