I POETI DI GACCIONE
di Adam Vaccaro
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Angelo Gaccione (2025)
“Odissea” ringrazia il quotidiano “Il Giornale
d’Italia” per la concessione della pubblicazione.
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Angelo Gaccione (2025) |
La
conoscenza, la frequentazione e gli scambi, personali e culturali, accumulati
nei decenni con Gaccione dovrebbero aiutare la lettura di questa raccolta di
poesie. E invece sconcertano, fedeli all’autentica scrittura poetica, che apre
nuovi spazi e livelli di conoscenza. In primo luogo di tratti inediti del
Soggetto Scrivente (SS), che il Soggetto Storicoreale (SSR), ha avuto bisogno
di istituire e incarnare in nuove carte. Questa mia metodologica partizione
nominativa del cosiddetto Autore, in questo caso pare particolarmente
giustificata. Chi e cosa ha generato il moto e il progetto realizzato nell’arco
di circa un mese, “tra la fine di luglio e il mese di agosto del 2022” (NdA)
questi 30 testi, che partono da un verso di un poeta: “Sono volutamente trenta,
volutamente ventinove uomini e volutamente una sola donna”, Antonia Pozzi. Cui
aggiunge; “Non chiedetemi il perché, non vi saprei rispondere”.
È
una esemplare confessione delle dinamiche complesse che agiscono e danno vita a
un SS, mai completamente consce, e che risiedono sia nell’inconscio, sia in
moti generati dalla complessità sia razionale che emozionale del SSR. Una
dinamica in cui è certamente incistata nel tema della morte, come rilevato da
Alessandra Paganardi nella sua nota, che insieme a quella di Vincenzo Guarracino,
corredano la Raccolta. Credo sia giustificato, anche dalla scelta di Autori
tutti morti, cui Gaccione rivolge come un appello alla sua molteplice, fluviale
e inesausta scrittura, opportunamente sottolineata da entrambe le suddette Note.
Anche
in chi, come me, incrocia Angelo da decenni, non può in effetti fare a meno di
rimanere a tratti sbalordito dalla quantità e varietà di scritture, sia di
impronta giornalistica (dentro e fuori Odissea)
impegnate contro i degradi, gli orrori e le guerre, perpetrati contro i popoli,
sia narrative con recupero di memoria critica tanto della propria origine
calabrese, quanto della acquisita Casa-Milano. Solo per citare alcuni
scomparti. Ambito specifico è poi quello poetico, con pubblicazioni e testi che
sviluppano in versi la passione sociale e sempre ricchi di energia vitale, come
nei più interessanti poeti contemporanei. Ma questa Raccolta tende ad andare
oltre i bordi creativi disegnati in precedenza. Per cui integrerei il richiamo
della morte fatto da Paganardi, ponendo l’accento su una tensione più ampia che
ricomprende il tema e insieme lo dilata entro le motivazioni etiche di tutto il
suo orizzonte e percorso di scrittura.
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La copertina del libro
In
questi testi rilevo quale nucleo epifanico la tensione all’oltre, che implica
anche l’evento terminale della nostra vita, ma parte qui e ora dal bisogno di
ampliare il bordo del noto, scavando e scovando anche l’ignoto del noto,
affidando tale compito – che rientra poi nello statuto dantesco – etico e
conoscitivo, che non si stanca di indagare i nostri limiti, che sono l’alimento
e l’energia con cui cresce, insieme alla conoscenza, la vita entro il bordo estremo
della morte. Mi sembra che sin dai primi versi, questa raccolta, sia un appello
ad Autori di cui Gaccione riconosce il magistero, per comporre una sorta di
inno corale alla sacralità della Vita.
Ne
è un esempio la prima poesia agganciata al pre-testo di un verso di Caproni: “Il sale del mondo…”, che Gaccione
giocosamente rovescia in sole, talché
il verso che segue irride al sale e ne fa un’alba: “s’era levato presto a
illuminare”. Ne scaturisce come uno squillo d’avvio di una forsennata
instancabile caccia alla Vita, quale è da sempre il senso di tutta la poesia.
Che qui viene articolato richiamando ventinove poeti che compongono un corteo
di voci con al centro un sole femminile, credo col senso di dire che senza
quella luce, il loro compito di riduzione dello sconosciuto e del mistero si
affloscerebbe come un pallone aerostatico, rimasto senza fiamma.
È
questa la risposta alla domanda inesauribile dell’esigenza di indagare? posta sin
dall’avvio della poesia iniziale, e che riguarda in primo luogo il poièin: “Chissà per quale scopo/ vengono
al mondo i poeti”, domanda che informa tutto il libro, anche se la risposta
integrale non può essere data, perché ucciderebbe ogni voglia ulteriore. È l’unico
segreto che può essere rivelato: la
nostra imperfezione è fondamento di bisogno dell’altro, di amore, di arte e
poesia, che ci incantano con le loro perfezioni.
Il
libro rincorre quest’ansia di vita, nonostante orrori, tremori, nebbie e
misteri, a partire dal bordo di conoscenza che chiede di essere ampliato, e che
credo anche solo alcuni versi che seguono sintetizzino:
“FORTINI
– Mai una primavera come questa è venuta
nel mondo…/ ma è costata cara, molto cara”;
“SANESI
– Di tutti quei beati che si
intrattengono/ in consonante dialogo sul mistero/ della sostanza pura e
della forma”;
“POZZI
– Anima, andiamo. Non ti sgomentare/ Facciamo
un tratto di percorso ancora”.
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