TRUMP E IL GATTOPARDO
di Luigi Mazzella
Alcuni mutamenti di costume politico,
avvenuti negli ultimi decenni, sono palesi e concernono tutto l’Occidente. La
credulità religiosa ha subìto clamorosi ridimensionamenti (nessuno
sostiene più di essere amato o prediletto da Dio mentre compie stragi,
genocidi e massacri). Eppure, coevamente
alla “Caduta degli Dei” (di Viscontiana memoria) v’è stato un Wedekindiano Risveglio
di Primavera del fanatismo politico che si è dimostrato ugualmente
fideistico e abboccone anche se non più pendente dalle labbra grassocce di
preti e di moderni ben pasciuti sciamani ma da quelle rinsecchite e
filiformi di anziane autorità statali al governo dei Paesi,
altezzosamente “concionanti” dai loro alti seggi del potere. Detto ciò, in
generale, scendendo più in particolare agli ultimi eventi (che, purtroppo, ci
toccano da vicino) mi sembra di potere osservare che il motto gattopardesco
secondo cui bisogna cambiare tutto perché nulla cambi non possa piacere a
Donald Trump, Elon Musk e a James David Vance. Di ciò
si stanno accorgendo un po’ tutti anche se le note differenziali rispetto
alla fase politica precedente non sono viste da tutti con chiarezza e, in
conseguenza, non sono descritte soddisfacentemente dai commentatori politici. A me sembra che
il dato di partenza per un’analisi del mutamento fermamente voluto da Trump
debba essere l’esperienza fatta dal Presidente nella sua prima presenza alla
Casa Bianca. Egli si era accorto che la massima carica degli Stati Uniti
d’America sostanzialmente doveva comportarsi, nei voti del Deep
State (CIA, NSA, FBI, PENTAGONO, WALL STREET E INDUSTRIA DELLE ARMI), come
una “marionetta” gestita da oscuri e ben nascosti pupari: in particolare
poteva dichiarare guerre ma non farle cessare.

Tiziano Rovelli
Il ciclone Trump

Il ciclone Trump