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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
giovedì 31 luglio 2025
ALTA VELOCITÀ FERROVIARIA A FIRENZE
Grazie a Idra viene a galla anche l’ultimo disonore
della TAV: l’Osservatorio ambientale è fuori servizio da sette (7) mesi!
Non
vi bastava bucare due volte Firenze senza buttar giù neppure quel piano di
emergenza che la legge prescrive dentro il progetto esecutivo, prima dei
lavori?
Non vi bastava spacciare
per buona terra da parco quelle che si sono rivelate decine e decine di migliaia
di tonnellate di rifiuti portate alla chetichella da mesi in impianti
autorizzati sconosciuti?
Non vi bastava scavare
in una città plurialluvionata nei secoli una fossa enorme accanto al minaccioso
torrente Mugnone, uno dei luoghi più critici di Firenze, classificato a pericolosità
idraulica alta, per ospitare la stazione sotterranea TAV simbolo delle
‘magnifiche sorti e progressive’?
Non vi bastava definire
‘valutazioni’ uno studio approvato per un’altra stazione, lontana e
prudentemente prevista in un’area a pericolosità idraulica opposta: bassa?
Non vi bastava avviare
allegramente i motori prima di aver concordato - fra Ferrovie, Comune e Regione
- cosa ci si farà, dentro e attorno a quella stazione?
Non vi bastava aver
messo in moto le frese con squilli di tromba e retorica a buon mercato quando
non sapete neppure come ci si arriverà, se con tapis roulant, trenini o
tramvia, a quella stazione progettata a danno dichiarato dei viaggiatori
fiorentini e stranieri?
Non vi bastava esser
riusciti a intercettare colibacilli fecali persino costruendo la galleria
artificiale che a Castello aspetta da lustri l’arrivo delle frese da Campo di
Marte?
Non vi bastava aver
continuato a portare avanti il progetto anche dopo che gli era stato negato il
necessario collaudo tecnico-amministrativo?
No. Evidentemente non vi
bastava!

Il torrente
Mugnone
Dal 1° gennaio avete
voluto aggiungere un’altra ciliegina sulla torta: anche la foglia di fico ‘Osservatorio
Ambientale Nodo AV di Firenze’, istituito dal Ministero con (quasi) tutte le
competenze istituzionali e scientifiche ritenute sufficienti e presieduto da un
illustre esponente dell’Amministrazione comunale fiorentina, è fuori servizio! L’ha
scoperto Idra scavando con gli attrezzi poveri della cittadinanza attiva: le
carte, le vostre stesse carte. E così, quando a maggio ha denunciato a questo
Osservatorio la penultima indecenza scovata insistendo e pazientando, e cioè il
silenzioso dirottamento delle terre di risulta degli scavi dal sogno ambientale
di Cavriglia alla dura realtà dei rifiuti, visto che l’Osservatorio non
rispondeva Idra a luglio gli ha riscritto Ma questa volta il messaggio è
tornato indietro: ‘casella piena’. È stato chiamato Palazzo Vecchio: “Non
sapremmo spiegare, provate a chiamare il Ministero’. Al Ministero, sì, lo
ammettono: ‘L’Osservatorio è chiuso. Dev’essererinnovato, è scaduto il 31
dicembre assieme all’accordo procedimentale del 1998 sulla TAV, si sperava di
far prima, ma ancora non ci siamo riusciti”. Facciamo notare che intanto i
lavori procedono più indisturbati che mai (compreso il recente improvviso abbattimento
di un intero filare di splendidi platani al Romito), che nessuna notizia è
stata fornita alla popolazione, che persino sul magrissimo sito
dell’Osservatorio non ce n’è traccia. ‘È vero’, anche questo ammettono
imbarazzati da Roma. E ringraziando aggiungono: ‘Provvederemo ad aggiornarlo’.

Mugnone
Così, in questi giorni, finalmente è comparsa la notizia. Solo lì, beninteso, per
chi proprio volesse andare a cercarla. Questa volta però Idra ha ripreso carta
e penna e, scrivendo anche al ministro, le ha messe in fila tutte, le poco
decorose magagne su cui, come per l’Osservatorio ambientale, forse qualcuno a
Roma si è un po’ distratto. Ci sarà qualche ‘giornalista d’inchiesta’ a Firenze
che voglia verificare, approfondire e sviluppare anche solo qualcuno di questi
temi? Il sito di Idra è una piccola miniera da cui attingere riferimenti,
virgolettati, documenti. Già in questo comunicato sono a disposizione ben undici
collegamenti elettronici utilissimi a chi intendesse assumere questo tipo di
impegno.
Associazione di volontariato Idra

Firenze a rischio idraulico
PS.
“Odissea” gira la sollecitazione degli amici fiorentini di Idra alla Redazione di
Report e a Sigfrido Ranucci. report@rai.it
idrafir@gmail.com - idraonlus@pec.it
Tel. 055.760.27.73 - 320.161.81.05

mercoledì 30 luglio 2025
GUERRA, DAZI, SPAZIO POLITICO EUROPEO
di
Franco Astengo
Per
una Zimmerwald del XXI secolo.
In un
momento di immane tragedia come questo contrassegnato dalla guerra come fattore
discriminante si è aggiunta la cosiddetta vicenda dazi al riguardo delle quale
vogliamo registrare le reazioni dei principali soggetti politici d'alternativa
presenti sul piano europeo: una posizione che accomuna Linke, France Insoumise, PCF, Verdi Francesi
(il cui portavoce Benjamin Lucas chiede il voto dell'europarlamento e
dell'Assemblea Nazionale), Podemos mettendo anche in difficoltà il PSOE di
governo che facendo parte del gruppo S&D a Strasburgo ha votato la
commissione Von der Leyen oltre ai partiti italiani. L'occasione può diventare
buona allora per cercare di oltrepassare remore antiche individuando l'Europa
come spazio politico ed elaborando una posizione di sinistra alternativa sui
punti nodali del confronto in atto superando anche la logica che presiede la
divisione in gruppi al Parlamento Europeo. L'obiettivo dovrebbe essere quello
di costruire una adeguata realtà che da sovranazionale (come adesso) dovrebbe evolvere
in internazionalista.
Il giudizio che si
cerca di esprimere attraverso questo intervento deriva dall’analisi delle
contraddizioni di fondo che sul piano economico, politico e sociale
attraversano lo spazio politico europeo: contraddizioni che possono essere
affrontate soltanto se valutate nel profondo delle loro determinazioni
complessive, prima di tutto al riguardo del ristabilimento delle condizioni
imposte da meccanismi, ben evidenti tra
l’altro nello specifico del “caso italiano” di limitazione nell’esercizio
dell’agibilità democratica.
Si tratta di non
lasciare aperto lo spazio generato dal disorientamento generale e fin qui
appannaggio dei populismi e dell’astensione, cercando di colmarlo - anche
parzialmente com’è ovvio- da contenuti di lotta che possono avere possibilità
di presenza politica ed anche istituzionale soltanto attraverso una precisa
collocazione all'interno del quadro politico europeo nell'ottica di costruzione
alternativa. La questione europea necessita di
un ripensamento al riguardo di determinate posizioni assunte anche nel recente
passato.
Su questo punto va rinnovato l’appello rivolto
al PSE e a Sinistra Europea per un incontro urgente. Debbono essere elaborati elementi di progettualità
alternativa posti sia sul terreno della strutturazione politica, sia al
riguardo della prospettiva economica e sociale e soprattutto della pace. Non è
sufficiente pensare alla green economy e ai possibili relativi modelli di vita:
le fasi di transizione sono diverse e complesse. Abbiamo davanti grandi difficoltà: dobbiamo essere capaci di ripensare i
temi di fondo dello sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni
umane, degli interscambi economici, culturali, sociali, ambientali proponendo
il superamento del legame esclusivo alla logica del profitto.
Deve essere aperta
una prospettiva della trasformazione sociale a livello sistemico corrispondente
però ad una adeguata soggettività politica.
il punto di
ripartenza potrebbe essere costituito da un’opposizione alla logica della
guerra il cui senso potrebbe essere riassunto nell’indicazione di una “Zimmerwald
del XXI secolo”. Un incontro tra forze diverse nel corso del quale porre le
questioni fondamentali affrontando anche il tema del deficit di democrazia che
affligge la vita politica del Continente.
ARTISTI E GENOCIDI

Renato Franchi
Il 4 agosto 2025 esce “Pane e piombo”, il nuovo
singolo di Renato Franchi & His Band
L’indignazione
non va in ferie: questa affermazione giustifica la scelta
controcorrente di Renato Franchi di far uscire il suo nuovo singolo il 4 agosto
2025, in un periodo di vacanza e apparentemente non propizio alle nuove
pubblicazioni. Tuttavia le immagini e le notizie del massacro del popolo di
Palestina da parte del governo israeliano, trasmesse quotidianamente, hanno
indotto il cantautore a diffondere il brano poiché l’indignazione nei confronti
di questo dramma non può e non deve andare mai in vacanza.
Per Franchi la guerra, così come la violenza delle armi, è un
atto disumano da respingere in ogni nostro gesto e va contrastata con la
cultura, l’arte, la musica e il confronto di proposte e di idee. E quindi anche
una canzone si può configurare come una doverosa azione politica, soprattutto
quando le trattative per trovare una soluzione pacifica sembrano non andare a
buon fine, come sta accadendo in queste ore.
Il genocidio - Renato non ha remore nell’utilizzare questo vocabolo - che sta
avvenendo nella striscia di Gaza in Palestina è il risultato di criminali decisioni
belligeranti ed è un solco doloroso e profondo in ogni cuore democratico, una
lama tagliente che lacera ogni speranza di pace. È inaccettabile il contrasto
tra le grandi mobilitazioni pacifiste in corso in tutto il mondo ed il silenzio
dei media al servizio dei potenti della Terra, che soffocano la voce di chi
invoca la fine di un conflitto causa di morte per donne, uomini, anziani e
bambini.

Ed è insopportabile l’acquiescenza di chi non prende posizione nei
confronti di questa tragedia.
Da mesi Franchi desiderava fornire un proprio contributo di
denuncia e di riflessione con una canzone che esprimesse sdegno contro questo
massacro. L’ispirazione per la composizione del brano è giunta qualche
settimana fa, dalla lettura di un titolo sulla prima pagina del quotidiano “il Manifesto”:
la scritta “Pane e piombo” lo ha folgorato e da ciò è nata la ricerca di
una melodia e la scrittura di un testo. Nella stesura delle liriche il cantautore ha mantenuto l’impostazione
cinematografica tipica della sua scrittura, creando una sequenza di immagini
evocanti i terribili eventi che stanno avendo luogo a Gaza. Nel cantato delle
strofe finali vengono messe in risalto le responsabilità ed il silenzio
dell’Europa, che sullo sfondo assume un ruolo di complice della mano assassina
che distrugge e nega il diritto alla pace. Nella sua solidità, il brano è un’invettiva esplicita verso i responsabili di
questa tragedia e verso una politica fatta di menzogna e ipocrisia. Un distopico accordo chitarristico in Sol maggiore chiude il pezzo, evocando la
prospettiva di un futuro indefinito e preoccupante, come monito ai distratti e agli
indifferenti.
“Pane e piombo” vuole essere un
contributo alla ricerca di una cultura di pace, senza armi e odio, che si
affianca alla voce delle migliaia di persone che manifestano in tutto il mondo
chiedendo la risoluzione del conflitto, e vuole ricordare le migliaia di morti
causate da questa e da tutte le altre guerre. La speranza è che si interrompa al
più presto il rumore assordante dei proiettili e si possa finalmente sentire
nell’aria il profumo del pane. Questa idea è esplicitata nella copertina,
che evidenzia il contrasto tra la distruzione e le macerie causate dai
bombardamenti e l’immagine del pane appena sfornato, a simboleggiare una
speranza di ritorno alla vita.
Il brano è stato presentato in anteprima lo scorso 20 luglio a
Genova, in piazza Alimonda, in occasione della manifestazione in ricordo di
Carlo Giuliani, e sarà disponibile dal 4 agosto su tutte le piattaforme
digitali.
Il Testo
“Pane e piombo” di Renato Franchi
Etichetta
L’Atlantide - 2025
Sotto il cielo di Gaza
Hanno ucciso l’amore
Nei prati e nei campi
Non cresce più un fiore
Le madri di Gaza
Hanno in braccio un dolore
Un chiodo negli occhi
Per ogni bimbo che muore
Nelle piazze di Gaza
È tornato Re Erode
Con le sue spade di fuoco
A insanguinare le strade
Nei mattini di Gaza
Non volano gli aquiloni
Rombano gli aeroplani
Non giocano più i bambini
Crollano le Scuole
Moschee, Case e Ospedali
Mentre violentano i sogni
Brindano i generali
Sulle spiagge di Gaza
ora brucia anche il mare
In questa sporca guerra
che non vuole mai finire
Carri armati al confine
Piombo e pane al tramonto
Sotto il fuoco assassino
L’umanità sta morendo
Nella striscia di Gaza
Anche Dio non ci sente
In questo massacro
Di gente innocente
Nei mattini di Gaza
Non volano gli aquiloni
Rombano gli aeroplani
Non giocano più i bambini
Crollano le Scuole
Moschee, Case e Ospedali
Mentre violentano i sogni
Brindano i generali
È genocidio a Gaza
Con le bombe israeliane
È genocidio a Gaza
Con le armi americane
È genocidio a Gaza
Lì nel Medio Oriente
È genocidio a Gaza
Nel silenzio dell’Occidente
È genocidio a Gaza
Con le bombe israeliane
È genocidio a Gaza
Con le armi italiane
È genocidio a Gaza
Lì nel Medio Oriente
È genocidio in Palestina
Nel silenzio dell’Occidente
martedì 29 luglio 2025
LA LUCIDITÀ DIMEZZATA DI
TRUMP
di Luigi Mazzella
È del
tutto impossibile, in mancanza di prove contrarie, pensare e ritenere che tra
i leader politici dell’intero Occidente, Donald Trump non sia
anch’egli, necessariamente, espressione della stessa irrazionalità comune
alla stragrande maggioranza se non alla totalità degli abitanti della
parte ovest del Pianeta. E ciò non perché non vi
possano essere e non vi siano eccezioni a questo Fato crudele, ma perché le sue
azioni e i suoi pensieri non vanno in quella (da molti sperata) direzione. Trump, come il Visconte di Italo
Calvino è un uomo razionalmente dimezzato: quando si toccano
argomenti politici, ideologici, sembra ragionare; quando si entra nel campo
religioso e in quello economico non dà la stessa impressione; soprattutto se i
due aspetti, come nel caso degli ebrei, sono strettamente connessi. Passo agli esempi, cominciando dal Presidente
anti-ideologo e anti-filosofico.
1)
Nel caso della guerra Russo-Ucraina, si può pensare che su di lui abbiano
sempre avuto uno scarso peso le elaborazioni pseudo-dottrinarie che sostengono
i regimi di cui sono espressione Putin e Zelensky e che ai suoi
occhi le lotte tra comunisti e fascisti siano solo scontri tra contrapposte
fazioni di “esaltati” (e che, oltretutto, nascondono ben altri interessi
concreti). Per lui sforzarsi di dare ragione all’uno e torto all’altro dei
contendenti sarebbe un gravissimo “fuor d’opera”. Se
egli non ha condiviso la trappola ideologica che l’America aveva teso al resto
del mondo (e ciò grazie alle tendenze oscure e subdole del suo predecessore
Biden e di tutta quella che egli considera la gang democratica statunitense,
dominata irreversibilmente ormai da un “Deep State” di ciniche spie e di
generali felloni) e se ha buttato alle ortiche la “propaganda” della
pretesa aggressione all’inerme e patriottico Zelensky, accettando, per converso, l’idea che se il pericolo, per l’Occidente, avvertito
da Putin, potesse essere nella politica di quel “dittatorello” passato dall’avanspettacolo
al comando dei battaglioni antidemocratici “Azov” foraggiati da Barack Obama,
Bill Clinton & co.
Imponendosi di starsene alla larga, Trump ha applicato, a modo suo, il motto latino che in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis e ha dato prova certamente di realpolitik non disgiunta da una certa logica. Che in Italia e nel resto dell’Occidente, nessuno abbia capito tutto ciò (o abbia trovato il coraggio necessario per dirlo) non sorprende. E così dallo pseudo-pacifista Conte alla tremebonda pulzella garbatelliana, gli Italiani (certamente più fortunati di francesi, tedeschi, inglesi e via dicendo) hanno potuto ascoltare, in luogo di ragionamenti, giaculatorie di cristiana pietà e misericordia per i poveri Ucraini massacrati dai Russi. Come commedianti di provincia, i nostri governanti e oppositori dell’Esecutivo scimmiottano, a modo loro, in un non sense sconcertante, quelli di altri Paesi: digrignando i denti contro l’asserita aggressione, ma parlando di pace, lanciando insulti, improperi, accuse a Capi di Stati esteri, ritenuti avversari, controllati e compos sui e mentis non ricevendo risposte da essi, proponendo inconcludenti protocolli di mediazione che hanno lasciato il tempo che hanno trovato, mostrando muscoli infiacchiti e compiendo, ora a destra ora a manca, salamelecchi inverecondi.
Conclusione:
si tratta di uno spettacolo penoso di cui non è più ipotizzabile neppure
sperare nella fine: le compagnie di giro disponibili sulla piazza Europea (e
quindi Italiota) non offrono nulla di meglio! Un
tentativo di capire come stessero veramente le cose lo stava compiendo, tra
mille difficoltà, il perspicace ma imprudente Francesco. Non a caso, il
suo successore rende quotidiano omaggio alla prudenza di manzoniana memoria:
anche a dispetto del nome assunto!
2)
Nella guerra israeliana entra in campo l’uomo Trump con il suo bagaglio
religioso che presume anche di essere quello di un formidabile homo oeconomicus. Ciò si desume non tanto
dal giuramento (dovuto e obbligato) sulla Bibbia al momento dell’insediamento
quanto dall’infantile convinzione che il buon Dio, in cui egli devotamente
crede, abbia deviato il colpo di fucile dell’attentatore che lo avrebbe ucciso
in Pennsylvania. E ciò, per consentirgli di rendere nuovamente grande
l’America.
Domanda: È
mai pensabile che il razionalmente dimezzato Trump possa schierarsi contro il
suo collega Netanyahu che crede nello stesso Unico Dio, inventato proprio in
Medio-Oriente e protettore indiscusso di quella Finanza giudaica che può
contribuire a rendere grande l’America?
Conclusione:
L’uomo religioso e quello oeconomicus si uniscono in un
vincolo indissolubile benedetto dal Dio di Mosè e dal Dio Denaro dei Millenni
successivi. I razionalmente dimezzati Occidentali
assisteranno, con falsi problemi di coscienza, all’ennesimo massacro di
gente indifesa e inerme.
lunedì 28 luglio 2025
SOLIDARIETÀ ALL’EQUIPAGGIO DELL’HANDALA
10 100 1000 iniziative contro il
genocidio a Gaza.
Mentre i neonati a Gaza muoiono di fame,
l'esercito sionista ieri sera ha compiuto l'ennesima azione criminale contro la
solidarietà internazionale al popolo palestinese. La nave Handala, parte della Freedom
Flotilla, è stata attaccata e sequestrata in acque internazionali da parte
della marina di Tel Aviv. Handala è salpata da Siracusa lo scorso 13 luglio,
trasportando prodotti di prima necessità, per rompere l'assedio sionista su
Gaza. A bordo 21 attivisti, due italiani, tra cui Antonio
Mazzeo, militante per la pace, uno dei maggiori esperti del complesso militare industriale italiano e anche dei
suoi rapporti con Israele. A loro va il nostro pieno appoggio in questo momento
drammatico: il governo italiano deve adoperarsi perché siano immediatamente
rilasciati sani e salvi!
Coordinamento No Green Pass e Oltre
LETTERE DAL SUD
di
Zaccaria Gallo

Benedetto Petrone
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Benedetto Petrone |
Benny
Su “Odissea” di ieri, Anna Rutigliano, con il suo scritto “Antifascismo”, ha ricordato la tragica morte di Graziano Fiore, il giovanissimo figlio di Tommaso Fiore, avvenuta il 28 luglio 1943 a Bari, per mano di fascisti, durante una manifestazione organizzata dalle forze antifasciste dopo la notizia della caduta di Mussolini. E, come spesso accade, lo scritto di Anna, ha fatalmente richiamato alla mia memoria la storia, altrettanto tragica, di Benny, accaduta anche questa a Bari, molti anni più tardi, quando ancora i fascisti, nonostante la riacquistata libertà in Italia, potevano agire indisturbati, con il loro carico di odio e vigliaccheria, contro chi aveva scelto di amarla quella libertà e difenderla sempre. Il 28 novembre 1977 è un lunedì. È sera, e già i lampioni di Corso Vittorio Emanuele sono accesi. Mandano il riflesso delle loro luci sul selciato bagnato della grande strada che si trova alle porte della Città Vecchia. Fino a pochi minuti prima aveva piovuto ma, come spesso avviene, dalle nostre parti, un buon vento di scirocco ha trasportato le nuvole verso il mare, rasserenando il cielo. Sono da poco passate le 19 e un giovane simpatizzante della FGCI, Gaetano Rossini, sta rientrando a casa sua, che si trova in Bari Vecchia.
Improvvisamente viene aggredito da un gruppo di giovani fascisti, aderenti al Fronte della Gioventù, appena venuti via dalla sezione del Movimento Sociale Italiano, armati di catene, mazze di baseball e coltelli. Gaetano capisce che sta rischiando la propria vita e fugge. Riesce ad entrare nei vicoli di Bari Vecchia e, mentre i missini, che lo inseguono, vengono momentaneamente fermati dai clienti di un bar del quartiere, Rossini va nella sezione del Partito Comunista, dove trova due giovani compagni, iscritti al Partito, Franco Intrano e Benedetto Petrone, detto Benny. Rossini racconta loro quello che gli è accaduto e i due giovani, che non ci stanno ad accettare la fuga davanti ai fascisti, decidono di uscire dalla sezione e da Bari Vecchia. Vogliono che i fascisti capiscano che non hanno paura di loro, anche perché sono disarmati. Li incontrano in Piazza Prefettura.
I fascisti missini, questa volta più numerosi di prima, hanno il volto coperto da passamontagna. Gridano “Bastardi rossi” e cercano di aggredirli senza pietà. Sono in tanti, in troppi. Benny e gli altri due si rendono conto che non si tratta più di discutere, ma che hanno una sola soluzione per salvarsi: rifiutare lo scontro, allontanarsi correndo e rifugiarsi di nuovo nella Città Vecchia. Benny corre, corre, ma lui non è come gli altri suoi due compagni: zoppica, non riesce a mette bene il piede per terra, perché tutte le volte che lo fa accusa intensi dolori, che gli ostacolano il cammino. Benny corre, zoppica e scivola sull’asfalto bagnato. I fascisti missini gli sono addosso, lo colpiscono e, uno di loro, Giuseppe Piccolo, gli dà una prima coltellata all’addome e una seconda al collo. Benny, pur soccorso da Franco, tornato indietro, morirà pochi minuti dopo. Benny aveva diciotto anni, era il quinto della famiglia Petrone, e di lui rimane quella foto, in cui c’è tutto il sorriso di ch si affaccia alla vita. Per aiutare la sua famiglia, aveva smesso di studiare e lavorava, come operaio, nei cantieri edili della città. Sì! Sempre sorridente, anche se, da bambino aveva contratto la poliomielite: gli aveva lasciato, come esito, quella zoppia che gli sarà fatale la sera del 28 novembre 1977. Erano gli anni in cui le Brigate Rosse uccidevano, ma erano anche gli anni in cui continuavano ad essere attive le squadre dei fascisti.
Benedetto Petrone era, in quel momento, in quel clima, in
cui maturavano anche tentativi di colpi stato, uno dei tanti ragazzi che
credevano di poter aiutare, con la loro presenza attiva, la costruzione di un
cielo sereno per tutti; era uno di quelli che volevano la giustizia sociale, la
felicità collettiva, difendendo la libertà e la democrazia conquistata, a caro
prezzo, anni prima da altri giovani come lui. Questa storia è una storia del
Sud, come del Sud è la storia di Graziano Fiore, e non può essere, e non deve
essere dimenticata. Non lo è stato per la città di Bari, che ha intitolato una
strada a nome di Benedetto Petrone, qualificando il ragazzo, sulla lapide, vittima
di violenza neofascista e lo ha fatto contro il parere della Società di Storia
Patria, che considerava il fascismo finito dopo il 1945, sbagliando in maniera
clamorosa. I fascisti c’erano e i neofascisti anche, e con questo anche noi
oggi dobbiamo far i conti. La libertà, la democrazia, la solidarietà e la
ricerca di una giustizia sociale, l’impegno continuo per la pace, sono quei
valori che dobbiamo difendere sempre, nel nome di tutti coloro che sono morti
nella Resistenza, ma lo dobbiamo, anche nel nome di questo ragazzo che, ad
appena 18 anni, sull’asfalto bagnato, in una sera di pioggia, non riuscì a
correre per sfuggire ai suoi carnefici.
domenica 27 luglio 2025
GUERRA
di Massimo Nava

Massimo Nava
“Si vis pacem, para bellum”, sarà vero?
Lunedì 14 luglio scorso Massimo Nava, storico giornalista del ‘Corriere
della Sera’, pubblicava sull’edizione on-line questo importante scritto. Gli ho
chiesto di poterlo ospitare su ‘Odissea’ per i nostri lettori. Lo ringrazio
sentitamente per la disponibilità e la delicata sensibilità. [a. g.]
Ma davvero se si vuole la pace bisogna prepararsi alla guerra?
Ma
davvero è necessario il riarmo per prevenire aggressioni e conflitti? Ma
davvero la massima latina «si vis pacem, para bellum» avrebbe un
attualissimo significato politico che incoraggia la deterrenza? Di certo,
la massima latina è molto in voga e da più di un secolo molto citata dai
politici e da qualche militare. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la
presidente del consiglio Giorgia Meloni, quando in Parlamento ha così
motivato la necessità di aumentare il budget della difesa secondo le
indicazioni approvate all’ultimo vertice Nato.
![]() |
Massimo Nava |
Ma le cose stanno davvero così? E l’interpretazione è davvero corretta? Cominciamo con verificare che
le origini sono di incerta attribuzione. Secondo l’Enciclopedia Treccani, trova
la sua prima formulazione nel prologo del terzo libro della «Epitoma rei
militaris» di Vegezio, compendio composto tra la fine del IV e
l’inizio del V secolo. Nello specifico, Vegezio scriveva «Igitur qui
desiderat pacem, praeparet bellum», che tradotta letteralmente significa:
«Dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra». Concetto espresso anche da
Cornelio Nepote, storico del I secolo avanti Cristo e da Cicerone: «Si pace
frui volumus, bellum gerendum est». In pratica «Se vogliamo godere della
pace, bisogna fare la guerra». L’interpretazione sembrerebbe tuttavia più
in linea che la filosofia e la politica dell’impero romano che non con un
concetto di deterrenza: fare la guerra, conquistare territori,
sottomettere popoli sono azioni funzionali alla conquista e al mantenimento
della pace. Rendendo appunto schiavi e sottomessi gli altri.

Bonaparte
Filosofia
messa in pratica anche da Napoleone che di fatto rovesciò la
sentenza: fare la pace (a quel tempo con la Russia) per poi fare la guerra
(alla Russia). Come scrisse il suo ex compagno all’Accademia militare, Louis
Antoine Fauvelet de Bourrienne, nelle sue Memorie: «Si Bonaparte eût parlé
latin, il en aurait, lui, renversé le sens, et aurait dit: Si vis bellum para
pacem». «Se Bonaparte avesse parlato latino, avrebbe detto: se vuoi
la guerra prepara la pace».
La
massima latina ispirò (tra lo zar Nicola II e il presidente francese Félix
Faure) l’alleanza franco russa alla fine dell’Ottocento, in
funzione antitedesca. Ma questa formidabile azione di «deterrenza» non
evitò lo scoppio della prima guerra mondiale.
La
massima andrebbe anche relazionata con Tacito e alla famosa
sentenza che oggi richiama l’Ucraina e Gaza: «Dove hanno fatto un deserto
l’hanno chiamato pace». In un certo senso anche l’attacco all’Iran
entrerebbe in questa «casistica», un attacco preventivo per evitare guai
peggiori. Nella stessa logica, dovremmo però chiederci perché l’Iran non
dovrebbe a questo punto dotarsi davvero della bomba, avendo come nemico appunto
una potenza nucleare come Israele. Gli storici e i politici attuali dovrebbero
anche spiegare come e perché gli Stati europei dopo essersi combattuti per
secoli in devastanti guerre di conquista e aggressione si siano garantiti settant’anni
di pace non con la deterrenza armata ma aprendo i confini agli uomini e alle
merci.
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Bonaparte |

Gandhi
Forse
qualche riflessione andrebbe fatta a proposito di quei leader e pensatori, in
testa Gandhi, che sostennero esattamente il contrario: la guerra si
evita preparando e favorendo con ogni mezzo la pace. Questo è del resto
lo spirito della Carta dell’Onu e persino del Trattato della Nato, spirito in
parte abbandonato, dimenticato e distorto. È un fatto che secondo l’Istituto
svedese Sipri le spese militari mondiali hanno raggiunto nel 2024
il loro massimo storico (oltre 2.700 miliardi), mentre oggi nel
mondo sono attivi 56 conflitti armati che coinvolgono più di 92 Paesi, il
numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una conferma che
«prepararsi alle guerra», non solo distoglie risorse economiche dai bilanci
degli Stati, ma non porta alla pace. Papa Leone XIV, riprendendo i
continui appelli alla pace del suo predecessore ha detto: «Non dobbiamo
abituarci alla guerra, anzi, bisogna respingere come una tentazione il fascino
degli armamenti potenti e sofisticati».


Fabio Mini
Il
generale Fabio Mini, ex generale di corpo d’armata con una lunga esperienza in
missioni internazionali, ha addirittura sostenuto che «secondo alcuni
storici quella frase non è nemmeno mai stata pronunciata nell’antichità. Oggi
la vera deterrenza passa per la qualità dei rapporti tra le nazioni. Senza
riconoscimento reciproco non può esserci diplomazia, e senza diplomazia non può
esserci pace». Di fatto, a partire dagli anni Novanta «abbiamo assistito
a un’accelerazione bellica travestita da “guerre umanitarie”».
Nei
suoi primi mesi di mandato, il presidente americano Donald Trump ha
messo in campo un attacco ad ampio raggio contro un principio consolidato del
diritto internazionale: quello che vieta agli Stati di minacciare o usare la
forza militare contro altri Stati. Principio peraltro infranto drammaticamente
dal presidente russo Putin.
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Fabio Mini |
La
Carta delle Nazioni Unite del 1945 vieta di «ricorrere alla
minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale o l'indipendenza
politica di un altro Stato». Ma oggi si fa strada una pratica opposta:
ripristinare la guerra o la minaccia della guerra come principale mezzo con cui
gli Stati risolvono le loro controversie e cercano di ottenere vantaggi
economici. Come hanno scritto gli analisti di Foreign Affairs, «se non
controllata, l’erosione del divieto dell’uso della forza riporterà la
geopolitica a una cruda contesa di potere militare. Le conseguenze saranno
gravi: una corsa globale agli armamenti, nuove guerre di conquista, contrazione
del commercio e il crollo della cooperazione necessaria per affrontare le
minacce globali comuni».
Il
rischio è quindi il ritorno a un’epoca in cui gli Stati potenti ricorrevano
liberamente alla guerra per far valere le loro rivendicazioni, mentre gli Stati
più deboli erano costretti a sottomettersi o rischiare l'annientamento, dando
luogo a un susseguirsi quasi costante di conflitti. «Le varie salve
retoriche e i cambiamenti di politica di Trump possono sembrare caotici. Ma
fanno tutti parte - secondo Foreign Affairs - di un tentativo
più ampio di smantellare l’ordine giuridico del dopoguerra. Quando è stata
fondata l’Onu, cinque paesi potenti - Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno
Unito e Stati Uniti - si sono attribuiti una posizione privilegiata come membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza con il potere di
veto su qualsiasi azione di enforcement. Queste lacune hanno delegittimato l’ordine
giuridico che proibisce l'uso della forza, in particolare agli occhi degli
Stati del Sud del mondo. Riconoscere le debolezze dell’ordine giuridico
postbellico e il frequente fallimento dei suoi difensori nel rispettare i
propri ideali è un primo passo fondamentale verso la creazione di un ordine
giuridico più solido. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui
tutti i 193 Stati membri hanno pari diritto di voto, dovrebbe svolgere un ruolo
di primo piano. Attualmente questo organo non ha i poteri esecutivi del
Consiglio di Sicurezza, ma in quanto organo responsabile del mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali, può esercitare un maggiore potere per
far rispettare il divieto di ricorso alla forza sancito dalla Carta. Proprio
come i politici degli anni ’40 cercarono di stabilire una pace duratura dal
caos della guerra, i leader di oggi devono progettare istituzioni,
alleanze e strategie per garantire la pace, piuttosto che stare a guardare
mentre Trump torna indietro nel tempo».
Si
tratta insomma di ritornare ai fondamentali, alla diplomazia, alla
politica, anziché inseguire la folle illusione che aumentare la propria forza
serva a difendersi meglio dalla forza altrui. Salvo decidere di distruggersi
reciprocamente.
https://www.corriere.it/il-punto/la-rassegna/25_luglio_14/la-psicologia-dei-miliardari-preparare-la-pace-militarismo-di-ritorno-sinner-e-le-tenniste.shtml
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