UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 31 luglio 2025

ASPIRAZIONI E DESIDERI
di Angelo Gaccione



Ho in uggia molte parole, soprattutto quelle che tutti ripetono a pappagallo e ad ogni pie’ sospinto. Se dovessi tenere un laboratorio di scrittura, inviterei i miei allievi a non usare assolutamente parole come solare, resilienza, distopico, solo perché sono state rese di moda. Tanto più che altrettanto rapidamente saranno destinate all’oblio, come accade d’abitudine. Non mi è simpatica nemmeno la parola sogni, soprattutto quando la vedo usata a sproposito. Sogni d’oro, per esempio, è una locuzione orribile. Che significa fare sogni d’oro? Una banalità. Abbiamo termini molto più concreti e precisi a disposizione, se ci occorrono, e la lingua italiana ne è ricca quant’altre mai: aspirazioni, desideri, finalità, mete da raggiungere, obiettivi… Porsi degli obiettivi e avere delle aspirazioni sono ottimi propositi, a patto che non diventino una ossessione e si riconvertano in patologia. Bisogna mettere in conto anche il fallimento e non considerarlo del tutto negativo. La saggezza delle massaie ci avverte che si può fare una pietanza solo con ciò che abbiamo a disposizione, e ci si deve accontentare. Un amico che ossessionava il proprio figlio (poco più che un bambino) deciso a farne un corridore velocista sottoponendolo ad allenamenti spropositati, ha provocato il rigetto in età più adulta nel ragazzo e a sé stesso una forte delusione. È la forza del carattere e la consapevolezza, che bisogna coltivare, lasciando che ognuno possa liberamente misurare il perimetro dei propri limiti. Come ci è fin troppo noto, in ogni persona sono radicate difficoltà che possono essere di vario tipo: fisiche, psicologiche, attitudinali, di carattere, relazionali… Ne va tenuto conto sempre e comunque, in maniera che possiamo correggere le nostre mete e le nostre ambizioni, senza causare dei danni al nostro amor proprio. Se non ho una voce possente non potrò diventare un tenore, ma se sono intonato potrò rendermi utile in modo diverso. Se sono troppo bassa e non mi vogliono al Teatro alla Scala come prima ballerina, nonostante la mia bravura, posso sempre far parte di un corpo di ballo o aprire una scuola di danza. Mai perdersi d’animo.  

ALTA VELOCITÀ FERROVIARIA A FIRENZE   



Grazie a Idra viene a galla anche l’ultimo disonore della TAV: l’Osservatorio ambientale è fuori servizio da sette (7) mesi!
 
Non vi bastava bucare due volte Firenze senza buttar giù neppure quel piano di emergenza che la legge prescrive dentro il progetto esecutivo, prima dei lavori?
Non vi bastava spacciare per buona terra da parco quelle che si sono rivelate decine e decine di migliaia di tonnellate di rifiuti portate alla chetichella da mesi in impianti autorizzati sconosciuti?
Non vi bastava scavare in una città plurialluvionata nei secoli una fossa enorme accanto al minaccioso torrente Mugnone, uno dei luoghi più critici di Firenze, classificato a pericolosità idraulica alta, per ospitare la stazione sotterranea TAV simbolo delle ‘magnifiche sorti e progressive’?
Non vi bastava definire ‘valutazioni’ uno studio approvato per un’altra stazione, lontana e prudentemente prevista in un’area a pericolosità idraulica opposta: bassa?
Non vi bastava avviare allegramente i motori prima di aver concordato - fra Ferrovie, Comune e Regione - cosa ci si farà, dentro e attorno a quella stazione?
Non vi bastava aver messo in moto le frese con squilli di tromba e retorica a buon mercato quando non sapete neppure come ci si arriverà, se con tapis roulant, trenini o tramvia, a quella stazione progettata a danno dichiarato dei viaggiatori fiorentini e stranieri?
Non vi bastava esser riusciti a intercettare colibacilli fecali persino costruendo la galleria artificiale che a Castello aspetta da lustri l’arrivo delle frese da Campo di Marte?
Non vi bastava aver continuato a portare avanti il progetto anche dopo che gli era stato negato il necessario collaudo tecnico-amministrativo?
No. Evidentemente non vi bastava!


Il torrente
Mugnone

Dal 1° gennaio avete voluto aggiungere un’altra ciliegina sulla torta: anche la foglia di fico ‘Osservatorio Ambientale Nodo AV di Firenze’, istituito dal Ministero con (quasi) tutte le competenze istituzionali e scientifiche ritenute sufficienti e presieduto da un illustre esponente dell’Amministrazione comunale fiorentina, è fuori servizio! L’ha scoperto Idra scavando con gli attrezzi poveri della cittadinanza attiva: le carte, le vostre stesse carte. E così, quando a maggio ha denunciato a questo Osservatorio la penultima indecenza scovata insistendo e pazientando, e cioè il silenzioso dirottamento delle terre di risulta degli scavi dal sogno ambientale di Cavriglia alla dura realtà dei rifiuti, visto che l’Osservatorio non rispondeva Idra a luglio gli ha riscritto Ma questa volta il messaggio è tornato indietro: ‘casella piena’. È stato chiamato Palazzo Vecchio: “Non sapremmo spiegare, provate a chiamare il Ministero’. Al Ministero, sì, lo ammettono: ‘L’Osservatorio è chiuso. Dev’essererinnovato, è scaduto il 31 dicembre assieme all’accordo procedimentale del 1998 sulla TAV, si sperava di far prima, ma ancora non ci siamo riusciti”. Facciamo notare che intanto i lavori procedono più indisturbati che mai (compreso il recente improvviso abbattimento di un intero filare di splendidi platani al Romito), che nessuna notizia è stata fornita alla popolazione, che persino sul magrissimo sito dell’Osservatorio non ce n’è traccia. ‘È vero’, anche questo ammettono imbarazzati da Roma. E ringraziando aggiungono: ‘Provvederemo ad aggiornarlo’. 



Così, in questi giorni, finalmente è comparsa la notizia. Solo lì, beninteso, per chi proprio volesse andare a cercarla. Questa volta però Idra ha ripreso carta e penna e, scrivendo anche al ministro, le ha messe in fila tutte, le poco decorose magagne su cui, come per l’Osservatorio ambientale, forse qualcuno a Roma si è un po’ distratto. Ci sarà qualche ‘giornalista d’inchiesta’ a Firenze che voglia verificare, approfondire e sviluppare anche solo qualcuno di questi temi? Il sito di Idra è una piccola miniera da cui attingere riferimenti, virgolettati, documenti. Già in questo comunicato sono a disposizione ben undici collegamenti elettronici utilissimi a chi intendesse assumere questo tipo di impegno.
Associazione di volontariato Idra
 

Firenze a rischio idraulico

PS. “Odissea” gira la sollecitazione degli amici fiorentini di Idra alla Redazione di Report e a Sigfrido Ranucci. report@rai.it
 
idrafir@gmail.com - idraonlus@pec.it
Tel. 055.760.27.73 -  320.161.81.05
 

mercoledì 30 luglio 2025

GUERRA, DAZI, SPAZIO POLITICO EUROPEO
di Franco Astengo



Per una Zimmerwald del XXI secolo.
  
In un momento di immane tragedia come questo contrassegnato dalla guerra come fattore discriminante si è aggiunta la cosiddetta vicenda dazi al riguardo delle quale vogliamo registrare le reazioni dei principali soggetti politici d'alternativa presenti sul piano europeo: una posizione che accomuna  Linke, France Insoumise, PCF, Verdi Francesi (il cui portavoce Benjamin Lucas chiede il voto dell'europarlamento e dell'Assemblea Nazionale), Podemos mettendo anche in difficoltà il PSOE di governo che facendo parte del gruppo S&D a Strasburgo ha votato la commissione Von der Leyen oltre ai partiti italiani. L'occasione può diventare buona allora per cercare di oltrepassare remore antiche individuando l'Europa come spazio politico ed elaborando una posizione di sinistra alternativa sui punti nodali del confronto in atto superando anche la logica che presiede la divisione in gruppi al Parlamento Europeo. L'obiettivo dovrebbe essere quello di costruire una adeguata realtà che da sovranazionale (come adesso) dovrebbe evolvere in internazionalista.
Il giudizio che si cerca di esprimere attraverso questo intervento deriva dall’analisi delle contraddizioni di fondo che sul piano economico, politico e sociale attraversano lo spazio politico europeo: contraddizioni che possono essere affrontate soltanto se valutate nel profondo delle loro determinazioni complessive, prima di tutto al riguardo del ristabilimento delle condizioni imposte  da meccanismi, ben evidenti tra l’altro nello specifico del “caso italiano” di limitazione nell’esercizio dell’agibilità democratica.



Si tratta di non lasciare aperto lo spazio generato dal disorientamento generale e fin qui appannaggio dei populismi e dell’astensione, cercando di colmarlo - anche parzialmente com’è ovvio- da contenuti di lotta che possono avere possibilità di presenza politica ed anche istituzionale soltanto attraverso una precisa collocazione all'interno del quadro politico europeo nell'ottica di costruzione alternativa. La questione europea necessita di un ripensamento al riguardo di determinate posizioni assunte anche nel recente passato.
 Su questo punto va rinnovato l’appello rivolto al PSE e a Sinistra Europea per un incontro urgente. Debbono essere elaborati elementi di progettualità alternativa posti sia sul terreno della strutturazione politica, sia al riguardo della prospettiva economica e sociale e soprattutto della pace. Non è sufficiente pensare alla green economy e ai possibili relativi modelli di vita: le fasi di transizione sono diverse e complesse. Abbiamo davanti grandi difficoltà: dobbiamo essere capaci di ripensare i temi di fondo dello sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni umane, degli interscambi economici, culturali, sociali, ambientali proponendo il superamento del legame esclusivo alla logica del profitto.
Deve essere aperta una prospettiva della trasformazione sociale a livello sistemico corrispondente però ad una adeguata soggettività politica.
il punto di ripartenza potrebbe essere costituito da un’opposizione alla logica della guerra il cui senso potrebbe essere riassunto nell’indicazione di una “Zimmerwald del XXI secolo”. Un incontro tra forze diverse nel corso del quale porre le questioni fondamentali affrontando anche il tema del deficit di democrazia che affligge la vita politica del Continente.

 

 



ARTISTI E GENOCIDI


Renato Franchi


Il 4 agosto 2025 esce “Pane e piombo”, il nuovo singolo di Renato Franchi & His Band
 
L’indignazione non va in ferie: questa affermazione giustifica la scelta controcorrente di Renato Franchi di far uscire il suo nuovo singolo il 4 agosto 2025, in un periodo di vacanza e apparentemente non propizio alle nuove pubblicazioni. Tuttavia le immagini e le notizie del massacro del popolo di Palestina da parte del governo israeliano, trasmesse quotidianamente, hanno indotto il cantautore a diffondere il brano poiché l’indignazione nei confronti di questo dramma non può e non deve andare mai in vacanza.
Per Franchi la guerra, così come la violenza delle armi, è un atto disumano da respingere in ogni nostro gesto e va contrastata con la cultura, l’arte, la musica e il confronto di proposte e di idee. E quindi anche una canzone si può configurare come una doverosa azione politica, soprattutto quando le trattative per trovare una soluzione pacifica sembrano non andare a buon fine, come sta accadendo in queste ore.
Il genocidio - Renato non ha remore nell’utilizzare questo vocabolo - che sta avvenendo nella striscia di Gaza in Palestina è il risultato di criminali decisioni belligeranti ed è un solco doloroso e profondo in ogni cuore democratico, una lama tagliente che lacera ogni speranza di pace. È inaccettabile il contrasto tra le grandi mobilitazioni pacifiste in corso in tutto il mondo ed il silenzio dei media al servizio dei potenti della Terra, che soffocano la voce di chi invoca la fine di un conflitto causa di morte per donne, uomini, anziani e bambini. 



Ed è insopportabile l’acquiescenza di chi non prende posizione nei confronti di questa tragedia.
Da mesi Franchi desiderava fornire un proprio contributo di denuncia e di riflessione con una canzone che esprimesse sdegno contro questo massacro. L’ispirazione per la composizione del brano è giunta qualche settimana fa, dalla lettura di un titolo sulla prima pagina del quotidiano “il Manifesto”: la scritta “Pane e piombo” lo ha folgorato e da ciò è nata la ricerca di una melodia e la scrittura di un testo. Nella stesura delle liriche il cantautore ha mantenuto l’impostazione cinematografica tipica della sua scrittura, creando una sequenza di immagini evocanti i terribili eventi che stanno avendo luogo a Gaza. Nel cantato delle strofe finali vengono messe in risalto le responsabilità ed il silenzio dell’Europa, che sullo sfondo assume un ruolo di complice della mano assassina che distrugge e nega il diritto alla pace. Nella sua solidità, il brano è un’invettiva esplicita verso i responsabili di questa tragedia e verso una politica fatta di menzogna e ipocrisia. Un distopico accordo chitarristico in Sol maggiore chiude il pezzo, evocando la prospettiva di un futuro indefinito e preoccupante, come monito ai distratti e agli indifferenti.



“Pane e piombo” vuole essere un contributo alla ricerca di una cultura di pace, senza armi e odio, che si affianca alla voce delle migliaia di persone che manifestano in tutto il mondo chiedendo la risoluzione del conflitto, e vuole ricordare le migliaia di morti causate da questa e da tutte le altre guerre. La speranza è che si interrompa al più presto il rumore assordante dei proiettili e si possa finalmente sentire nell’aria il profumo del pane. Questa idea è esplicitata nella copertina, che evidenzia il contrasto tra la distruzione e le macerie causate dai bombardamenti e l’immagine del pane appena sfornato, a simboleggiare una speranza di ritorno alla vita.
Il brano è stato presentato in anteprima lo scorso 20 luglio a Genova, in piazza Alimonda, in occasione della manifestazione in ricordo di Carlo Giuliani, e sarà disponibile dal 4 agosto su tutte le piattaforme digitali.


 
Il Testo


Pane e piombo” di Renato Franchi 
Etichetta L’Atlantide - 2025 


Sotto il cielo di Gaza
Hanno ucciso l’amore
Nei prati e nei campi
Non cresce più un fiore


Le madri di Gaza
Hanno in braccio un dolore
Un chiodo negli occhi
Per ogni bimbo che muore


Nelle piazze di Gaza
È tornato Re Erode

Con le sue spade di fuoco
A insanguinare le strade


Nei mattini di Gaza
Non volano gli aquiloni
Rombano gli aeroplani
Non giocano più i bambini


Crollano le Scuole
Moschee, Case e Ospedali
Mentre violentano i sogni
Brindano i generali


Sulle spiagge di Gaza
ora brucia anche il mare
In questa sporca guerra
che non vuole mai finire


Carri armati al confine
Piombo e pane al tramonto
Sotto il fuoco assassino
L’umanità sta morendo


Nella striscia di Gaza
Anche Dio non ci sente
In questo massacro
Di gente innocente


Nei mattini di Gaza
Non volano gli aquiloni
Rombano gli aeroplani
Non giocano più i bambini


Crollano le Scuole
Moschee, Case e Ospedali
Mentre violentano i sogni
Brindano i generali


È genocidio a Gaza
Con le bombe israeliane
È genocidio a Gaza
Con le armi americane
È genocidio a Gaza
Lì nel Medio Oriente
È genocidio a Gaza
Nel silenzio dell’Occidente
 
È genocidio a Gaza
Con le bombe israeliane
È genocidio a Gaza
Con le armi italiane
È genocidio a Gaza
Lì nel Medio Oriente
È genocidio in Palestina
Nel silenzio dell’Occidente

A CUCCIA!
L’Europa umilmente si prostra.




 

FIGURE E FIGURI






martedì 29 luglio 2025

LA LUCIDITÀ DIMEZZATA DI TRUMP  
di Luigi Mazzella



È del tutto impossibile, in mancanza di prove contrarie, pensare e ritenere che tra i leader politici dell’intero Occidente, Donald Trump non sia anch’egli, necessariamente, espressione della stessa irrazionalità comune alla stragrande maggioranza se non alla totalità degli abitanti della parte ovest del Pianeta. E ciò non perché non vi possano essere e non vi siano eccezioni a questo Fato crudele, ma perché le sue azioni e i suoi pensieri non vanno in quella (da molti sperata) direzione. Trump, come il Visconte di Italo Calvino è un uomo razionalmente dimezzato: quando si toccano argomenti politici, ideologici, sembra ragionare; quando si entra nel campo religioso e in quello economico non dà la stessa impressione; soprattutto se i due aspetti, come nel caso degli ebrei, sono strettamente connessi. Passo agli esempi, cominciando dal Presidente anti-ideologo e anti-filosofico.
1) Nel caso della guerra Russo-Ucraina, si può pensare che su di lui abbiano sempre avuto uno scarso peso le elaborazioni pseudo-dottrinarie che sostengono i regimi di cui sono espressione Putin e Zelensky e che ai suoi occhi le lotte tra comunisti e fascisti siano solo scontri tra contrapposte fazioni di “esaltati” (e che, oltretutto, nascondono ben altri interessi concreti). Per lui sforzarsi di dare ragione all’uno e torto all’altro dei contendenti sarebbe un gravissimo “fuor d’opera”. Se egli non ha condiviso la trappola ideologica che l’America aveva teso al resto del mondo (e ciò grazie alle tendenze oscure e subdole del suo predecessore Biden e di tutta quella che egli considera la gang democratica statunitense, dominata irreversibilmente ormai da un “Deep State” di ciniche spie e di generali felloni) e se ha buttato alle ortiche la “propaganda” della pretesa aggressione all’inerme e patriottico Zelensky, accettando, per converso, l’idea che se il pericolo, per l’Occidente, avvertito da Putin, potesse essere nella politica di quel “dittatorello” passato dall’avanspettacolo al comando dei battaglioni antidemocratici “Azov” foraggiati da Barack Obama, Bill Clinton & co. 

Imponendosi di starsene alla larga, Trump ha applicato, a modo suo, il motto latino che in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis e ha dato prova certamente di realpolitik non disgiunta da una certa logica. Che in Italia e nel resto dell’Occidente, nessuno abbia capito tutto ciò (o abbia trovato il coraggio necessario per dirlo) non sorprende. E così dallo pseudo-pacifista Conte alla tremebonda pulzella garbatelliana, gli Italiani (certamente più fortunati di francesi, tedeschi, inglesi e via dicendo) hanno potuto ascoltare, in luogo di ragionamenti, giaculatorie di cristiana pietà e misericordia per i poveri Ucraini massacrati dai Russi. Come commedianti di provincia, i nostri governanti e oppositori dell’Esecutivo scimmiottano, a modo loro, in un non sense sconcertante, quelli di altri Paesi: digrignando i denti contro l’asserita aggressione, ma parlando di pace, lanciando insulti, improperi, accuse a Capi di Stati esteri, ritenuti avversari, controllati e compos sui e mentis non ricevendo risposte da essi, proponendo inconcludenti protocolli di mediazione che hanno lasciato il tempo che hanno trovato, mostrando muscoli infiacchiti e compiendo, ora a destra ora a manca,  salamelecchi inverecondi. 



Conclusione: si tratta di uno spettacolo penoso di cui non è più ipotizzabile neppure sperare nella fine: le compagnie di giro disponibili sulla piazza Europea (e quindi Italiota) non offrono nulla di meglio! Un tentativo di capire come stessero veramente le cose lo stava compiendo, tra mille difficoltà, il perspicace ma imprudente Francesco. Non a caso, il suo successore rende quotidiano omaggio alla prudenza di manzoniana memoria: anche a dispetto del nome assunto! 
2) Nella guerra israeliana entra in campo l’uomo Trump con il suo bagaglio religioso che presume anche di essere quello di un formidabile homo oeconomicus. Ciò si desume non tanto dal giuramento (dovuto e obbligato) sulla Bibbia al momento dell’insediamento quanto dall’infantile convinzione che il buon Dio, in cui egli devotamente crede, abbia deviato il colpo di fucile dell’attentatore che lo avrebbe ucciso in Pennsylvania. E ciò, per consentirgli di rendere nuovamente grande l’America.



Domanda: È mai pensabile che il razionalmente dimezzato Trump possa schierarsi contro il suo collega Netanyahu che crede nello stesso Unico Dio, inventato proprio in Medio-Oriente e protettore indiscusso di quella Finanza giudaica che può contribuire a rendere grande l’America?
Conclusione: L’uomo religioso e quello oeconomicus si uniscono in un vincolo indissolubile benedetto dal Dio di Mosè e dal Dio Denaro dei Millenni successivi. I razionalmente dimezzati Occidentali assisteranno, con falsi problemi di coscienza, all’ennesimo massacro di gente indifesa e inerme.

A TRIESTE PER GAZA




È ANCORA PRESTO
I macellai devono finire il lavoro...




lunedì 28 luglio 2025

SOLIDARIETÀ ALL’EQUIPAGGIO DELL’HANDALA


 
10 100 1000 iniziative contro il genocidio a Gaza. 


M
entre i neonati a Gaza muoiono di fame, l'esercito sionista ieri sera ha compiuto l'ennesima azione criminale contro la solidarietà internazionale al popolo palestinese. La nave Handala, parte della Freedom Flotilla, è stata attaccata e sequestrata in acque internazionali da parte della marina di Tel Aviv. Handala è salpata da Siracusa lo scorso 13 luglio, trasportando prodotti di prima necessità, per rompere l'assedio sionista su Gaza. A bordo 21 attivisti, due italiani, tra cui Antonio Mazzeo, militante per la pace, uno dei maggiori esperti del complesso militare industriale italiano e anche dei suoi rapporti con Israele. A loro va il nostro pieno appoggio in questo momento drammatico: il governo italiano deve adoperarsi perché siano immediatamente rilasciati sani e salvi!

Coordinamento No Green Pass e Oltre

 

LETTERE DAL SUD
di Zaccaria Gallo


Benedetto Petrone

Benny

Su “Odissea” di ieri, Anna Rutigliano, con il suo scritto “Antifascismo”, ha ricordato la tragica morte di Graziano Fiore, il giovanissimo figlio di Tommaso Fiore, avvenuta il 28 luglio 1943 a Bari, per mano di fascisti, durante una manifestazione organizzata dalle forze antifasciste dopo la notizia della caduta di Mussolini. E, come spesso accade, lo scritto di Anna, ha fatalmente richiamato alla mia memoria la storia, altrettanto tragica, di Benny, accaduta anche questa a Bari, molti anni più tardi, quando ancora i fascisti, nonostante la riacquistata libertà in Italia, potevano agire indisturbati, con il loro carico di odio e vigliaccheria, contro chi aveva scelto di amarla quella libertà e difenderla sempre. Il 28 novembre 1977 è un lunedì. È sera, e già i lampioni di Corso Vittorio Emanuele sono accesi. Mandano il riflesso delle loro luci sul selciato bagnato della grande strada che si trova alle porte della Città Vecchia. Fino a pochi minuti prima aveva piovuto ma, come spesso avviene, dalle nostre parti, un buon vento di scirocco ha trasportato le nuvole verso il mare, rasserenando il cielo. Sono da poco passate le 19 e un giovane simpatizzante della FGCI, Gaetano Rossini, sta rientrando a casa sua, che si trova in Bari Vecchia.



Improvvisamente viene aggredito da un gruppo di giovani fascisti, aderenti al Fronte della Gioventù, appena venuti via dalla sezione del Movimento Sociale Italiano, armati di catene, mazze di baseball e coltelli. Gaetano capisce che sta rischiando la propria vita e fugge. Riesce ad entrare nei vicoli di Bari Vecchia e, mentre i missini, che lo inseguono, vengono momentaneamente fermati dai clienti di un bar del quartiere, Rossini va nella sezione del Partito Comunista, dove trova due giovani compagni, iscritti al Partito, Franco Intrano e Benedetto Petrone, detto Benny. Rossini racconta loro quello che gli è accaduto e i due giovani, che non ci stanno ad accettare la fuga davanti ai fascisti, decidono di uscire dalla sezione e da Bari Vecchia. Vogliono che i fascisti capiscano che non hanno paura di loro, anche perché sono disarmati. Li incontrano in Piazza Prefettura. 



I fascisti missini, questa volta più numerosi di prima, hanno il volto coperto da passamontagna. Gridano “Bastardi rossi” e cercano di aggredirli senza pietà. Sono in tanti, in troppi. Benny e gli altri due si rendono conto che non si tratta più di discutere, ma che hanno una sola soluzione per salvarsi: rifiutare lo scontro, allontanarsi correndo e rifugiarsi di nuovo nella Città Vecchia. Benny corre, corre, ma lui non è come gli altri suoi due compagni: zoppica, non riesce a mette bene il piede per terra, perché tutte le volte che lo fa accusa intensi dolori, che gli ostacolano il cammino. Benny corre, zoppica e scivola sull’asfalto bagnato. I fascisti missini gli sono addosso, lo colpiscono e, uno di loro, Giuseppe Piccolo, gli dà una prima coltellata all’addome e una seconda al collo. Benny, pur soccorso da Franco, tornato indietro, morirà pochi minuti dopo. Benny aveva diciotto anni, era il quinto della famiglia Petrone, e di lui rimane quella foto, in cui c’è tutto il sorriso di ch si affaccia alla vita. Per aiutare la sua famiglia, aveva smesso di studiare e lavorava, come operaio, nei cantieri edili della città. Sì! Sempre sorridente, anche se, da bambino aveva contratto la poliomielite: gli aveva lasciato, come esito, quella zoppia che gli sarà fatale la sera del 28 novembre 1977. Erano gli anni in cui le Brigate Rosse uccidevano, ma erano anche gli anni in cui continuavano ad essere attive le squadre dei fascisti.



Benedetto Petrone era, in quel momento, in quel clima, in cui maturavano anche tentativi di colpi stato, uno dei tanti ragazzi che credevano di poter aiutare, con la loro presenza attiva, la costruzione di un cielo sereno per tutti; era uno di quelli che volevano la giustizia sociale, la felicità collettiva, difendendo la libertà e la democrazia conquistata, a caro prezzo, anni prima da altri giovani come lui. Questa storia è una storia del Sud, come del Sud è la storia di Graziano Fiore, e non può essere, e non deve essere dimenticata. Non lo è stato per la città di Bari, che ha intitolato una strada a nome di Benedetto Petrone, qualificando il ragazzo, sulla lapide, vittima di violenza neofascista e lo ha fatto contro il parere della Società di Storia Patria, che considerava il fascismo finito dopo il 1945, sbagliando in maniera clamorosa. I fascisti c’erano e i neofascisti anche, e con questo anche noi oggi dobbiamo far i conti. La libertà, la democrazia, la solidarietà e la ricerca di una giustizia sociale, l’impegno continuo per la pace, sono quei valori che dobbiamo difendere sempre, nel nome di tutti coloro che sono morti nella Resistenza, ma lo dobbiamo, anche nel nome di questo ragazzo che, ad appena 18 anni, sull’asfalto bagnato, in una sera di pioggia, non riuscì a correre per sfuggire ai suoi carnefici.

domenica 27 luglio 2025

GUERRA
di Massimo Nava

Massimo Nava
 
“Si vis pacem, para bellum”, sarà vero?
 
Lunedì 14 luglio scorso Massimo Nava, storico giornalista del ‘Corriere della Sera’, pubblicava sull’edizione on-line questo importante scritto. Gli ho chiesto di poterlo ospitare su ‘Odissea’ per i nostri lettori. Lo ringrazio sentitamente per la disponibilità e la delicata sensibilità. [a. g.]
 
 
Ma davvero se si vuole la pace bisogna prepararsi alla guerra? 
Ma davvero è necessario il riarmo per prevenire aggressioni e conflitti? Ma davvero la massima latina «si vis pacem, para bellum» avrebbe un attualissimo significato politico che incoraggia la deterrenza? Di certo, la massima latina è molto in voga e da più di un secolo molto citata dai politici e da qualche militare. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la presidente del consiglio Giorgia Meloni, quando in Parlamento ha così motivato la necessità di aumentare il budget della difesa secondo le indicazioni approvate all’ultimo vertice Nato.


Ma le cose stanno davvero così? E l’interpretazione è davvero corretta? Cominciamo con verificare che le origini sono di incerta attribuzione. Secondo l’Enciclopedia Treccani, trova la sua prima formulazione nel prologo del terzo libro della «Epitoma rei militaris» di Vegezio, compendio composto tra la fine del IV e l’inizio del V secolo. Nello specifico, Vegezio scriveva «Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum», che tradotta letteralmente significa: «Dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra». Concetto espresso anche da Cornelio Nepote, storico del I secolo avanti Cristo e da Cicerone: «Si pace frui volumus, bellum gerendum est». In pratica «Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra». L’interpretazione sembrerebbe tuttavia più in linea che la filosofia e la politica dell’impero romano che non con un concetto di deterrenza: fare la guerra, conquistare territori, sottomettere popoli sono azioni funzionali alla conquista e al mantenimento della pace. Rendendo appunto schiavi e sottomessi gli altri.


Bonaparte
 
Filosofia messa in pratica anche da Napoleone che di fatto rovesciò la sentenza: fare la pace (a quel tempo con la Russia) per poi fare la guerra (alla Russia). Come scrisse il suo ex compagno all’Accademia militare, Louis Antoine Fauvelet de Bourrienne, nelle sue Memorie: «Si Bonaparte eût parlé latin, il en aurait, lui, renversé le sens, et aurait dit: Si vis bellum para pacem».  «Se Bonaparte avesse parlato latino, avrebbe detto: se vuoi la guerra prepara la pace». 
La massima latina ispirò (tra lo zar Nicola II e il presidente francese Félix Faure) l’alleanza franco russa alla fine dell’Ottocento, in funzione antitedesca. Ma questa formidabile azione di «deterrenza» non evitò lo scoppio della prima guerra mondiale. 
La massima andrebbe anche relazionata con Tacito e alla famosa sentenza che oggi richiama l’Ucraina e Gaza: «Dove hanno fatto un deserto l’hanno chiamato pace». In un certo senso anche l’attacco all’Iran entrerebbe in questa «casistica», un attacco preventivo per evitare guai peggiori. Nella stessa logica, dovremmo però chiederci perché l’Iran non dovrebbe a questo punto dotarsi davvero della bomba, avendo come nemico appunto una potenza nucleare come Israele. Gli storici e i politici attuali dovrebbero anche spiegare come e perché gli Stati europei dopo essersi combattuti per secoli in devastanti guerre di conquista e aggressione si siano garantiti settant’anni di pace non con la deterrenza armata ma aprendo i confini agli uomini e alle merci.
 

Gandhi

Forse qualche riflessione andrebbe fatta a proposito di quei leader e pensatori, in testa Gandhi, che sostennero esattamente il contrario: la guerra si evita preparando e favorendo con ogni mezzo la pace. Questo è del resto lo spirito della Carta dell’Onu e persino del Trattato della Nato, spirito in parte abbandonato, dimenticato e distorto. È un fatto che secondo l’Istituto svedese Sipri le spese militari mondiali hanno raggiunto nel 2024 il loro massimo storico (oltre 2.700 miliardi), mentre oggi nel mondo sono attivi 56 conflitti armati che coinvolgono più di 92 Paesi, il numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una conferma che «prepararsi alle guerra», non solo distoglie risorse economiche dai bilanci degli Stati, ma non porta alla pace. Papa Leone XIV, riprendendo i continui appelli alla pace del suo predecessore ha detto: «Non dobbiamo abituarci alla guerra, anzi, bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati».


Fabio Mini

Il generale Fabio Mini, ex generale di corpo d’armata con una lunga esperienza in missioni internazionali, ha addirittura sostenuto che «secondo alcuni storici quella frase non è nemmeno mai stata pronunciata nell’antichità. Oggi la vera deterrenza passa per la qualità dei rapporti tra le nazioni. Senza riconoscimento reciproco non può esserci diplomazia, e senza diplomazia non può esserci pace». Di fatto, a partire dagli anni Novanta «abbiamo assistito a un’accelerazione bellica travestita da “guerre umanitarie”».
 
Nei suoi primi mesi di mandato, il presidente americano Donald Trump ha messo in campo un attacco ad ampio raggio contro un principio consolidato del diritto internazionale: quello che vieta agli Stati di minacciare o usare la forza militare contro altri Stati. Principio peraltro infranto drammaticamente dal presidente russo Putin.


 
La Carta delle Nazioni Unite del 1945 vieta di «ricorrere alla minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale o l'indipendenza politica di un altro Stato». Ma oggi si fa strada una pratica opposta: ripristinare la guerra o la minaccia della guerra come principale mezzo con cui gli Stati risolvono le loro controversie e cercano di ottenere vantaggi economici. Come hanno scritto gli analisti di Foreign Affairs, «se non controllata, l’erosione del divieto dell’uso della forza riporterà la geopolitica a una cruda contesa di potere militare. Le conseguenze saranno gravi: una corsa globale agli armamenti, nuove guerre di conquista, contrazione del commercio e il crollo della cooperazione necessaria per affrontare le minacce globali comuni».

 
Il rischio è quindi il ritorno a un’epoca in cui gli Stati potenti ricorrevano liberamente alla guerra per far valere le loro rivendicazioni, mentre gli Stati più deboli erano costretti a sottomettersi o rischiare l'annientamento, dando luogo a un susseguirsi quasi costante di conflitti. «Le varie salve retoriche e i cambiamenti di politica di Trump possono sembrare caotici. Ma fanno tutti parte - secondo Foreign Affairs - di un tentativo più ampio di smantellare l’ordine giuridico del dopoguerra. Quando è stata fondata l’Onu, cinque paesi potenti - Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno Unito e Stati Uniti - si sono attribuiti una posizione privilegiata come membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con il potere di veto su qualsiasi azione di enforcement. Queste lacune hanno delegittimato l’ordine giuridico che proibisce l'uso della forza, in particolare agli occhi degli Stati del Sud del mondo. Riconoscere le debolezze dell’ordine giuridico postbellico e il frequente fallimento dei suoi difensori nel rispettare i propri ideali è un primo passo fondamentale verso la creazione di un ordine giuridico più solido. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui tutti i 193 Stati membri hanno pari diritto di voto, dovrebbe svolgere un ruolo di primo piano. Attualmente questo organo non ha i poteri esecutivi del Consiglio di Sicurezza, ma in quanto organo responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, può esercitare un maggiore potere per far rispettare il divieto di ricorso alla forza sancito dalla Carta. Proprio come i politici degli anni ’40 cercarono di stabilire una pace duratura dal caos della guerra, i leader di oggi devono progettare istituzioni, alleanze e strategie per garantire la pace, piuttosto che stare a guardare mentre Trump torna indietro nel tempo».


 
 
Si tratta insomma di ritornare ai fondamentali, alla diplomazia, alla politica, anziché inseguire la folle illusione che aumentare la propria forza serva a difendersi meglio dalla forza altrui. Salvo decidere di distruggersi reciprocamente.


 

https://www.corriere.it/il-punto/la-rassegna/25_luglio_14/la-psicologia-dei-miliardari-preparare-la-pace-militarismo-di-ritorno-sinner-e-le-tenniste.shtml





 

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