CINEMA
di Marco Sbrana
Colpa e redenzione ne Il collezionista di
carte di Paul Schrader
L’asse ontologico-formale dei film di Paul
Schrader (e, ovviamente, di quelli che ha sceneggiato per il maestro Scorsese,
tra cui Taxi Driver), è quello della colpa. Non è mai, la colpa, come
vogliono credere i protagonisti di Schrader, un’esclusiva; è sempre tessuto,
struttura, e quindi, nel discorso dell’autore, America. De Niro veniva elevato
dall’America, al termine di Taxi Driver, a eroe, dopo la celebre
sparatoria finale. Non si curava, l’America, del trauma causatogli con la
guerra del Vietnam, né del dolore che Travis aveva a sua volta arrecato.
Serviva una figurina da almanacco, e l’America l’aveva trovata in un uomo che -
ricordiamolo - per il primo appuntamento con la ragazza che ama propone il
cinema porno.
Ne Il
collezionista di carte, è un’America che omette, che protegge chi comanda e
getta all’inferno chi esegue. Ma, come dice Oscar Isaac, questo non assolve.
Non c’è niente, dice, che possa giustificarlo per gli orrori che, come
carceriere militare - in sostanza, criminale - commetteva ai danni dei
detenuti. Eppure, il personaggio di Oscar Isaac era stato addestrato al fine di
estorcere con la forza informazioni che, a dire del capo (un sempre in forma
Willem Dafoe, già protagonista per Schrader ne Lo spacciatore), i
detenuti “per cultura” non volevano fornire, ma che avevano, bastava insistere.
Erano, allora, nelle celle “guantanamizzate” nel 2002, botte, tortura
dell’acqua, privazione sensoriale, riduzione alla fame, umiliazione sessuale.
E, Oscar Isaac lo riconosce, lui era portato per quell’orrore. Era il perfetto
americano pronto a macchiarsi e poi a farsi colpevole, portatore eterno di una
colpa, ripetendo, non esclusivamente sua, ma per lui tale fino al momento in
cui conosce il personaggio di T. Sheridan.
È al giovane
che Isaac pronuncia le migliori parole del film. L’ingiustificabilità. Il corpo
che ricorda, che incamera. È tutto, Il collezionista di carte, un film
della carne, anche quando esclusa volontariamente dal discorso. Sheridan è
figlio di un altro militare dello stesso grado di Isaac. Incarcerato per
nascondere chi comandava le prigioni, poi uscito dalla morte come violento,
alcolista e, infine, suicida. La madre di Sheridan è fuggita; lui non la vuole
più vedere. E, sempre Sheridan, vuole uccidere John Gordon, ossia Willem Dafoe.
Con loro,
Tiffany Haddish. Finanziatrice, lei, di Isaac, amica, amante.
Tutto il
film si svolge nel contesto del gioco d’azzardo, del blackjack. Una delle prime
battute di Isaac è questa, parafrasando: Il blackjack è causalità. Ecco il determinismo
morale, ecco l’analogia tra poker e vita, tra debito e debito morale, tra
rischio e superamento della soglia.
Ma, più
ancora, il concetto di “deriva della forza”. Tutti possono andare in tilt - è
Isaac in uno degli splendidi monologhi di Schrader. Quando il giocatore si
esalta per le vincite e supera, per rischio, le sue reali possibilità. Quando,
con maggiore sforzo - maggiore forza - si ottengono meno risultati. La
prigione, in questo, insegna, dice Isaac. E lui la conosce la prigione: è stato
dentro dieci anni per i crimini commessi e, prima, come carceriere, comunque
dentro, nell’impossibilità di evadere dalle feci, dal tanfo, dal rumore.
Sicché, ne Il
collezionista di carte, via via che procediamo nello svolgersi del testo
scopriamo sempre più di Oscar Isaac, di Willem Dafoe e della colpa di
un’America malata, omertosa, dalla parte dei grandi.
Sheridan,
decide Oscar Isaac, non può uccidere Willem Dafoe. Per non farlo e andare a
trovare sua madre, Isaac gli offre 150.000 dollari (esentasse). Ed è qui il
fallimento della redenzione.

Paul Schrader
Isaac ci
viene presentato come metodico e depresso, glaciale e già per forza morto,
schiacciato da un debito che, forse, non può saldare. La redenzione, sembra
dirci il gesto della consegna del denaro, non è sua, non può essere sua,
ma può essere data. Ma Sheridan, dopo aver accettato, rifiuta, e va a
uccidere Gordo. Che è più svelto di lui, con le armi.
E arriviamo
a un finale assolutamente degno di Taxi Driver. Sheridan è morto, e
Isaac deve sistemare le cose. Nei flashback del carcere (quello vissuto da
detenuto, s’intende), lo vedevamo, oltre che contare le carte da poker, leggere
Marco Aurelio. Regolare i conti con sé è regolarli col mondo che abbiamo
contribuito a disorganizzare con la nostra colpa.
Un colpo a
testa: inizia Isaac; poi Dafoe; poi Isaac. Il genio registico vieta il tutto
alla vista e una panoramica laterale ci svela il farsi del sole mentre, dalla
stanza della casa di Dafoe, esce un Isaac quasi morto che, al telefono,
denuncia un omicidio.
