MANIFESTO PER IL DISARMO
Per conquistare e
difendere il diritto alla pace.
Disarmo
come obiettivo politico
Avviare
il processo verso il disarmo vuol dire, in prima istanza, promuovere e rendere
operativi accordi riguardo la non proliferazione delle armi nucleari, chimiche,
batteriologiche, la proibizione delle mine antiuomo e delle munizioni a
grappolo, istituendo zone denuclearizzate per arrivare a decretare la
distruzione degli arsenali e la rinuncia alla produzione di nuovi armamenti.
Per
avvicinarsi a questo obiettivo, è necessario costruire un dissenso attivo in
grado di aprire una vertenza con lo Stato che lo impegni ad un percorso di
demilitarizzazione verso il disarmo unilaterale.
È
necessario ostacolare la creazione del debito pubblico che finanzia la
produzione militare e le infrastrutture destinate alla guerra rilanciando le
battaglie per la promozione del benessere sociale.
Neutralità
come scelta
L’assunzione
di uno status di neutralità, cioè la scelta di uno Stato di non partecipare ad
alcun conflitto armato e non aderire ad alcuna alleanza militare, è, ad oggi,
regolato dal diritto internazionale, con norme specifiche che definiscono i
diritti e gli obblighi degli Stati neutrali.
Svizzera, Austria, Irlanda e Costa Rica sono tuttora Paesi neutrali.
L’Italia
ospita sul suo territorio più di 120 basi USA e NATO, cosa che pone, di fatto,
una limitazione all’esercizio della sovranità nazionale. Dunque, una campagna
che metta al centro la scelta della neutralità come aspirazione di larga parte
della popolazione rafforza l’urgenza di costruire un movimento di base contro
l’adesione dell’Italia alla NATO e per l’espulsione delle sue installazioni
militari dal nostro Paese.
Far
valere e rispettare il ripudio della guerra sancito dalla nostra Costituzione
implica, infatti, impedire la concessione di parti del nostro territorio per
operazioni belliche e per il commercio e il transito di materiali destinati ad
uso militare.
CHI
INVESTE NEL “RIARMO” PREPARA LA GUERRA
In Italia, come nella gran
parte dei paesi europei, i governi applicano politiche di riarmo e preparano la
popolazione ad accettare un investimento statale crescente per la “Difesa”,
cioè per armi, mezzi, munizioni, costi operativi, infrastrutture dedicate,
missioni internazionali e per il sostegno militare all’Ucraina.
1)- Nel
2025 noi italiani spenderemo per la Difesa 33.023.750.431 euro - di cui circa
13 miliardi per acquisizione di nuove armi - pari all’1,45% del PIL.
2)- L’accordo sottoscritto dalla presidente del Consiglio
Giorgia Meloni al vertice NATO del 24-25 giugno 2025 all’Aia comporta l’impegno
a raggiungere entro il 2035 un onere finanziario corrispondente al 5% del PIL. In valore assoluto significa
che l’Italia, per portare la spesa militare annua dagli
attuali 35 agli oltre 100 miliardi, cioè per triplicarla, dovrà reperire nuove
risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi, ogni anno per dieci anni.
3)- Il 20 marzo a Bruxelles è
stato approvato il piano ReArm Europe con il quale la Commissione europea
(organo esecutivo non eletto) stabilisce di aumentare la spesa per la difesa
dei Paesi dell'UE di almeno 800 miliardi di euro.
Il piano include la possibilità di estendere la
deterrenza nucleare francese ad altre nazioni europee. Non si tratta solamente di un vertiginoso aumento della
spesa pubblica che ingoia fondi altrimenti destinati alle politiche sociali e
di welfare, si tratta di ristrutturare il sistema produttivo dirottando
investimenti pubblici e privati verso l’apparato militare-industriale verso il
quale orientare risorse per la ricerca e per la realizzazione di infrastrutture
penalizzando fortemente le basi materiali della vita civile e dell’uso sociale
del territorio.
Si
tratta di concentrare ai vertici i poteri decisionali riducendo gli spazi di
esercizio della democrazia e di impedire la libertà di espressione del dissenso
con l’imposizione dell’ordine pubblico e delle leggi securitarie.
Si tratta
di opporre alla sovranità popolare quella governativa, di delegare ad
essa il potere di prendere decisioni ultime e vincolanti per tutti i
cittadini, compresa la decisione di fare la guerra.
Gli
Stati si armano per far prevalere gli interessi economici e finanziari egemoni
in una o in un gruppo di nazioni - il cosiddetto “interesse nazionale” - e del
sistema politico che li rappresenta, interessi che sono in conflitto con quelli
di altre entità nazionali o sovranazionali.
Il
grado di sviluppo della forza militare e la relativa capacità di proiezione di
potenza al di fuori dei confini viene definita “deterrenza”: l’idea è
che un Paese o una nazione che si dota di un forte apparato militare può
scoraggiare altri attori statuali dal condurre azioni belliche, ma deterrenza
per l’uno significa minaccia per l’altro.
È il
caso, nella attuale fase storica, dello scontro in atto tra Stati Uniti e
Russia combattuto in Ucraina così come di quello tra Israele ed Iran giunto
alla guerra diretta anche per l’evidente impossibilità dell’uno e dell’altro di
difendere i propri “interessi nazionali”, cioè di estendere il proprio dominio
materiale e culturale sulle ricchezze e sulle popolazioni del Medioriente a
discapito del contendente e a danno della vita e del futuro delle classi
subalterne.
No
alla deterrenza e alle guerre preventive
La
“deterrenza” è una strategia di guerra preventiva che consiste nel dotarsi di
una potenza militare maggiore di quella di un eventuale avversario mantenendo
operante uno stato di guerra latente. È, dunque, l’opposto della ricerca della
pace. È, invece, uno strumento per imporre a Paesi più deboli di subire la
“protezione” delle potenze maggiori al prezzo della propria subordinazione, al
prezzo di dover acconsentire all’esproprio delle risorse, alla rapina delle
ricchezze naturali e alla devastazione ambientale e sociale.
È
strumento di trasformazione strutturale dell’economia dalla produzione di merce
per il consumo di massa alla produzione di tecnologia bellica ad alto profitto
e ad esasperato tasso di competitività. Una trasformazione che arruola
nell’economia di guerra i cittadini, i lavoratori, i giovani delle nostre e
delle future generazioni (tutti quelli che, una volta, con buona ragione chiamavamo
proletari) vincolandoli al pagamento del debito di guerra accumulato per
mantenere l’apparato militare ed esponendoli, in un futuro non necessariamente
lontano, ad assaggiare sul campo la potenza di fuoco da loro stessi prodotta.
LA
PACE È UN DIRITTO UNIVERSALE ED È LA PREMESSA AL PROGRESSO DELL’UMANITÀ
La
pace è un diritto da conquistare e difendere
La
pratica dell’internazionalismo, dell’antimilitarismo, del boicottaggio del
trasferimento di armi, del sostegno alla libertà di migrazione e dell’accoglienza
dei disertori e dei renitenti sono le prime armi che abbiamo a disposizione. Ma
si impone una battaglia di lungo periodo per togliere di mano gli strumenti di
guerra agli apparati di potere economico-finanziario e politico che sono
espressione delle classi dirigenti per le quali la guerra è uno dei mezzi per
realizzare profitti. Un percorso politico che miri a paralizzare l’economia di
guerra, è parte dalla diserzione civile: disattendere, in associazione o
anche individualmente, le normative securitarie, boicottare la movimentazione
di mezzi militari sul territorio e la concessione di aree per esercitazioni e
installazioni militari, sospendere la pratica della “pace sociale” che ha
limitato gli scioperi per il salario e il welfare, fare barriera contro
l’asservimento della ricerca nelle università ai progetti di riarmo,
riprenderci il denaro investito nei fondi comuni delle società di gestione
patrimoniale che speculano sull’industria militare a livello internazionale
(come Black Rock e Vanguard), pretendere la desecretazione dei trattati,
delegittimare pubblicamente la Commissione Europea, fare obiezione
all’arruolamento. Possono essere molti i primi passi necessari per opporsi
concretamente all’espansione della guerra e rendere il disarmo una prospettiva
realizzabile.
Lega Obiettori di Coscienza
www.peacelink.it/pace/a/50066.html