di Nicola Santagada
Bernardo Strozzi "Le tre Parche" |
Il
Destino
Ho,
già, avuto modo di dire che i convincimenti del pastore, su come avvengono i
processi di formazione dell’essere, stimolano e generano la sua filosofia,
che si rispecchia nella formazione delle parole. I greci avevano coniato τέρμα τέρματος, il cui significato più appropriato
sarebbe stato: tappa, mutuata dalla metafora della creatura, che, prima
di arrivare al termine, fa tante tappe. Infatti, i latini dissero che, dentro
il concetto di terma, si deduce quello di arrivare alla fine del percorso
e, quindi, di termine. Quindi, da termine, latini ed italici
coniarono tantissime parole, tra cui: terminare, determinare,
predeterminare ecc. Pastori e contadini avevano osservato che, in
natura, tutto è predeterminato. Nella realtà, che è in continuo divenire
(Empedocle), tutto è predeterminato (Democrito, Epicuro, Lucrezio). Il
divenire dell’essere in formazione porta il pastore a identificare il dover
essere con ciò che sarà e a considerare verità assoluta
questa sua constatazione. Pertanto, tantissime parole contengono le teorie del
pastore, il quale traduce in mito la sua visione della vita e del mondo.
Per il pastore greco c’è ἀνάγκη: necessità, costrizione, che, poi, divenne: Ἀνάγκη: Destino, Fato. Quando la madre lega
a sé la creatura, gli accadimenti sono necessari ed inderogabili, per cui anche
per la vita di ogni uomo tutto è necessitato e, quindi, immodificabile, a
tal punto che la divinità può solo prevedere gli eventi, ma non le è dato di modificare
quel che necessariamente sarà. La stessa cosa esprime τύχη, che, più propriamente, rappresentò la Fortuna
dalle due facce. Questo concetto è così stringente, nella cultura popolare, che
ha dato luogo al verbo toccare, nel senso di spettare. Pertanto, mi tocca (m’attocch’d’) quanto mi è stato riservato da Τύχη o dalla sorte.
I greci, inoltre, dal verbo di forma media μείρομαι: ricevo la mia parte, ho dal destino dedussero: μοῖρα: parte
assegnata a ciascuno, il destino assegnato, indicando, anche per
questa parola, ciò che causa il processo di formazione della vita. I latini dalla
radice fat, da tradurre: dal nascere il tendere (quando il grembo
incomincia a sollevarsi e a spingere), dedussero fatum: fato, destino, aggiungendo um: la creatura
rimane, a voler significare che resterà fino a quando non si formerà quanto è
stato predeterminato e da fato dedussero fatale, che è ciò che
necessariamente deve avvenire. Successivamente, fatale acquisì anche il
significato di: funesto, mortale, in quanto la traduzione di fatale è: ciò
che nasce da fato; in realtà il pastore latino annotò: è ciò che manca dal fato.
La Sorte |
Gli italici dedussero dal verbo latino: destino destinas: stabilisco (ciò che è destinato): il destino, che è il risultato della seguente perifrasi: è ciò che lega (è ciò che consegue) al periodo di permanenza della creatura: è tutto stabilito. C’è da dire che gli abiti mentali sono manifestazioni di cultura, per cui la concezione fatalistica della vita fu molto lentamente superata, mentre nei territori della Magna-Grecia, fa fatica ad essere sradicata.
C’è da sottolineare che
le parole, che hanno un contenuto iussivo, rimandano alla filosofia del deve essere
così. Infatti, iubeo: io comando è il risultato della
seguente perifrasi: è ciò che consegue all’andare a generare la creatura, che attiene al tu devi eseguire. In altri termini, il
pastore latino pensò che il comando è un’imposizione forte che deve essere
eseguita in modo pedissequo. L’omologo di iubeo è ἄρχω: comando, che consegue a questa perifrasi: genera
lo scorrere il passare (durante la gestazione, quando si realizza la
creatura), c’è chi impartisce ordini sequenziali per la realizzazione perfetta
dell’opera.
Quando i latini coniarono
statuo: stabilisco (in modo perentorio)
dedussero questo concetto dal fatto che lo stare nel grembo della creatura non solo è preordinato,
ma è anche efficace. Allora lo statutum (stabilito) ha valore di lunga durata e di inderogabilità. Da statuo fu dedotto instituo che indica lo stabilire d’ora
in poi e nell’istituito si deducono le istituzioni, principi normativi, ma
anche regole comportamentali, ma anche gli organi dello Stato. Da cerno, che è una radice
generica che dette luogo a molteplici significati, modellata su κρίνω, furono dedotti decerno e decretum, che indica l’assoluta
inderogabilità del disposto per conseguire gli effetti desiderati.
La stessa cosa fecero gli
italici, quando adottarono la delibera e io delibero. La creatura si libera dopo il periodo stabilito, eseguendo tutte le
prescrizioni.
Infine, il verbo dico fu coniato da questa
perifrasi: genera
il legare il passare,
a voler significare che la gestante con la comparsa del segno gravidico dice agli altri del suo stato. Da detto fu dedotto indetto,
che rimanda al giorno della nascita che è quello e solamente quello, in quanto
tassativamente fissato.