di
Angelo Gaccione
Fulvio Papi |
Appunti sul libro di Papi
Gabriele Scaramuzza nella sua nota
al libro di Papi: Per andare dove. 1934-1949, ha mostrato in dettaglio
la materia che lo nutre, e dunque mi asterrò dal ripetere cose che egli ha
messo in rilievo così bene. La mia riflessione (perché i libri sono vivi se
suscitano riflessioni) si concentrerà, invece, su due degli elementi che a me paiono
indispensabili: il tempo e la memoria. Che poi sono gli ingredienti senza i
quali non è possibile alcuna narrazione, e dentro i quali: luoghi, avvenimenti
e personaggi, trovano la loro collocazione. Ed è questo binomio che sorregge il
libro di Papi, trattandosi oltretutto di uno spaccato autobiografico. Papi ci
aveva raccontato in altri libri, seppure parlando più degli altri che di sé, più
di vicende collettive che di fatti personali, brandelli della sua esistenza.
Erano brandelli di una vita già formata e consolidata, il cui percorso si era
oramai tutto innervato nella attiva militanza socialista, con la direzione del
quotidiano l’Avanti!, l’impegno intellettuale, la ricerca filosofica, il
lavoro universitario, l’impronta determinante a “Corrente” e alla “Casa della
Cultura”. Poco o nulla sapevamo invece della sua adolescenza; del padre e dei
nonni emiliani in una terra quasi per vocazione antifascista dove “l’attenzione
per chi sta peggio è la forma più elementare di socialismo”. E della madre
e dei nonni triestini, in quella Trieste che gli darà i natali e a cui resterà
sempre legato, manifestando spesso, anche in età tarda, una nostalgia ferita,
per usare una poetica espressione di Eugenio Borgna. A Trieste Fulvio passerà
un tempo non trascurabile per la formazione del suo io, nell’arco del
quindicennio che la sua penna ci racconta. Vi passerà molte estati anche dopo
il trasferimento dei suoi genitori a Milano avvenuto per ragioni di lavoro. Ed
è certo che quella città di confine fatta di mare e di luce, di primi
turbamenti e di libertà; di lingua e di clima, con il suo substrato umano ed
affettivo, si siano incisi in lui più di quanto si possa immaginare. L’ho
spesso sentito parlare con maggiore affetto e trasporto più di Trieste e di Stresa,
nel corso dei nostri incontri a casa sua in questi anni, che di Milano:
città che pure ha avuto una notevole importanza per la sua formazione intellettuale
e per l’apporto che la sua intelligenza ha dato all’alta cultura nel dibattito
pubblico. Ma la trasformazione (in peggio) dei rapporti, della ricomposizione
sociale e della gestione della cosa pubblica, degli ultimi decenni, lo hanno
reso estraneo al suo divenire e critico verso certe derive.
Papi di spalle con il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Aldo Aniasi (13 aprile 2002) |
Trieste e Stresa: due luoghi del tempo e della memoria che
hanno contribuito alla sua moralità e al suo sentire. La passione e la
ragione che formeranno il futuro filosofo e l’adulto, sono racchiuse in quel tempo
adolescenziale. Potremmo usare per lui giovinetto, le stesse parole che egli
impiega per il suo giovane padre “socialista senza dottrina”, ma sorretto da un
forte sentimento divenuto abitudine di vita. Un’abitudine che diventa un
“criterio morale per giudicare i fatti del mondo”. Le esperienze di giovane studente a Stresa nel clima delle brutalità nazifasciste, formeranno il suo
“sentimento” di giovane socialista, che la ragione e lo studio contribuiranno
in seguito a solidificare.
Fulvio Papi sul balcone di casa sua con Gaccione (luglio 2014) |
Lo sappiamo bene: l’adolescenza conserva la sua incertezza
nella ricostruzione di un suo equilibrio. E quel: per andare dove che il
titolo esibisce, suona come un interrogativo alle nostre orecchie. Si va verso
un traguardo se le premesse e le condizioni lo renderanno possibile, e non è detto
che queste si combinino secondo le nostre volontà ed
aspirazioni. È tutto affidato al caso, a un puro gioco del destino.
Il tempo e la memoria, dicevamo. Il tempo si trasforma sempre
in un tempo della memoria e spesso finisce per diventare un tempo mitico,
felice, non necessariamente nostalgico. Un tempo che la memoria cerca di
ricostruire, ma che come tutto il tempo che ci è sottratto, è un tempo perduto,
destinato a rimane come un rimorso perenne. È un tempo che si è inesorabilmente
dissolto, liquefatto, e che solo la memoria può trattenere o ritornarvi; senza
questa memoria che trattiene, nulla sarebbe esistito e tutto verrebbe
cancellato.
Papi alla Fondazione Corrente con i poeti Vittorio Sereni (al centro) e Mario Luzi (a sinistra) nel 1981 |
Molti anni orsono mentre mi trovavo in villeggiatura a
Spotorno, ebbi la fortuna di visitare la casa del poeta Camillo Sbarbaro.
Appartiene ad altri, ora, quella casa, e gli echi dell’esistenza del poeta sono
andati perduti. Mi vennero alla penna questi versi che sulla memoria
costruiscono la loro ragione:
“(…) Se può è la memoria a far da muro
a mettere radici, a trattenere
o la parola eterna dei poeti
che si fa pane e mai muta sapore…”
Ecco, leggendo il libro di Fulvio Papi, mi è parso di riassaporare
il sapore buono del pane, sentirne il profumo che la sua memoria ha saputo, nel
tempo, custodire.
***
PER ANDARE DOVE
di Gabriele Scaramuzza
È un’opera
autobiografica Per andare dove,
benvenuta ai miei occhi. Supera d’incanto le inibizioni che Fulvio Papi mi ha
procurato con La biografia impossibile
(Ibis, Como-Pavia, 2011); dove peraltro impraticabili, leggo, sono “biografie
che immaginino di raccontare la verità di una esistenza”. Non qualsiasi
biografia.
Almeno
nella prima parte di Per andare dove
non c’è alcun immediato rapporto con la verità di un’esistenza singolare, ma un
continuo differimento, un costante prendere le distanze di sé da sé. Quasi lo
scrittore si guardasse attraverso uno specchio: la scrittura sembra ritorcersi
di continuo su se stessa, in uno specchio senza fondo di rimandi. Il che non
toglie che il sé allontanato torni nella tinta malinconica che, a quanto mi è
dato avvertire, avvolge il testo. E non solo, non valgono specchi ad attutire,
distanziandola anche di poco, la violenza della storia. Allora “il ragazzino
che si guardava allo specchio” (p. 71) è costretto a fissar dritto lo sguardo
davanti a sé, nessuno specchio è più disponibile per mediare l’impatto con la
“durezza del reale”. C’è immediatezza nelle pagine che riguardano gli anni
della tempesta, non me ne voglia l’Autore se confesso che queste sono le pagine
che più sento mie.
Mi
ha in primo luogo toccato da vicino il fatto che l’epoca e l’ambiente, oltre
alla personale sensibilità - prima di ogni “sapienza storica” e approfondimento
“dottrinale” - abbiano maturato in Papi “una passione politica per il
socialismo” (p. 12), che è rimasta poi costante in lui fino ad oggi - e che è
anche mia. Anche per me non nasce dal nulla, bensì da esperienze personali, tra
cui fondamentale “la considerazione dei milioni di contadini poveri e, per lo
più, analfabeti, mandati, del resto con un armamento ancora inadeguato, a
combattere e a morire su un fronte che dal mare arriva sino alle Alpi, e sotto
il comando di un generale, violento, aggressivo, superbo della propria ottusa
vanità caratteriale, e probabilmente molto mediocre come stratega militare” (p.
9). Riguarda la prima guerra mondie, certo; ma può ben riferirsi anche alla
seconda, e a tante altre guerre.
Non
poche cose in seguito ci accomunano: il metodo di insegnamento dell’alfabeto
alle scuole elementari “del tutto opposto a quello globale” (p. 36); il disegno
come “scoglio insuperabile”, con annessa angoscia delle brocche da copiare
(56); l’idiosincrasia per la ginnastica; la noia del Catechismo. Appartengono
anche a me agrette, krapfen e baggiane, “piaga” e semi di zucca, occhi della
Madonna e tirasassi; l’“immagine romantica del femminile” (ma per me non era Alida
Valli bensì Pola Negri); la raccolta dei francobolli, il gioco delle bocce, le
rane nei fossati, l’acqua limpida e i pesci nei canali, nelle rogge, nei
fiumiciattoli che attraversano Milano: Olona Lambro Redefossi Seveso… (poi
maleodoranti, sporchi e invivibili, perciò coperti). Comune l’attrazione per le
parate militari (che per me furono nel dopoguerra quelle di Corso Sempione, con
netta preferenza per i Bersaglieri); la scarsissima simpatia per Topolino (come
poi per me anche per “Il Vittorioso”), per i fumetti (che in seguito tuttavia,
come Papi, imparai ad apprezzare); la simpatia per Salgari. E soprattutto
l’essere “educato più all’ordine che alla libertà” (p. 53).
Comune
(ma in senso assai diverso, data la differenza di età) la memoria del primo
bombardamento pesante di Milano il 24 ottobre del ’42; e dello sfollamento che
presto ne seguì. Ma poi per Papi la salvezza fu a Stresa e lì i Rosminiani; per
me Inzago. Eventi che comunque, forse indebitamente, si intrecciano nel mio
immaginario.
Ci
sono nomi vivi anche per me: Carlo Emilio Gadda, Franco Loi, Umberto Saba e con
lui Vittorio Sereni, Ernesto Treccani, Quintino e il figlio Pietro Di Vona,
Daria Banfi Malaguzzi, Rilke donato da Elvira Gandini. L’Aida nel cortile di San Giusto preannuncia, nella mia ottica
arbitraria, la figura di Marcello Conati, verdiano sommo, che per Papi assume
un grande rilievo negli anni passati insieme al Liceo Carducci.
Non
condivido però l’amore per il gioco del calcio, che non ho praticato mai, né
mai mi ha granché interessato. Solo una volta sono andato a San Siro, allora
inevitabile iniziazione alle maschie virtù, a vedere un Milan (il Milan di Schiaffino…)
che perse contro l’Inter. Lontano, soffocato tra gente esagitata, urlante e
scattante a comando; senza nulla capire di quanto avveniva in campo. Non ebbi
alcuna voglia di tornarvi, né di seguire le partite alla radio (devo però
averle sentite qualche volta, se mi è rimasta impressa la voce di Nicolò
Carosio), né poi alla televisione.
A
me sconosciute per ovvi motivi, e perciò seguite con partecipazione, le pagine
su Trieste prima e dopo la guerra; in particolare quelle sulla Risiera di San
Sabba e l’atmosfera omertosa che la circondava (p. 87). Con grande interesse ho
letto il capitolo “Balilla Moschettiere”, le pagine sull’educazione fascista, mistica
fascista inclusa, a me ignota se non per sentito dire; il racconto esilarante
del raduno davanti alla scuola, la “parata” tra Corso Italia e l’Arena. Inutile
poi dire quanto mi abbia coinvolto il racconto degli anni tra il 25 luglio e
l’8 settembre, fino alla Liberazione e al ritorno a Milano, che tanto rievoca il
mio ritorno a Milano: macerie e trenini che le trasportano, freddo non
alleviato dalle stufe a legna, la rarità del pane bianco.
Papi di spalle con Scalfaro e Aniasi |
Un
capitolo a sé meriterebbero le canzoni dell’anteguerra, non tutte però così
insulse, sentimentaloidi e banalmente orecchiabili (ma perché dovrebbe essere
un difetto, quest’ultimo?); e propagandistiche quali Faccetta nera o Ti saluto.
Non c’era solo Rabagliati, talune erano maliziose, ricche di doppi sensi come La torre di Pisa, argute; perché non
ricordare il Trio Lescano, Maramao perché
sei morto, Ma le gambe, È arrivato l’ambasciatore, Pippo non lo sa, Tuli-Tuli-Pan. Perché dimenticare la malinconia di alto livello di Signorinella. Nel mio vissuto anticipa
la strada che condurrà ai vertici di Lili
Marleen.
Insospettabile
per me la derivazione da Spengler (p. 44) delle parole iniziali del discorso
del 10 giugno 1940 dal balcone di Palazzo Venezia (ero troppo piccolo per poter
dire che l’ho ascoltato): “Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della
nostra patria”.
Per andare dove infine marca l’incertezza
di un cammino, e l’indeterminatezza dell’esito cui conduce. Fulvio Papi più di
una volta mi ha sottolineato che non c’è un destino tracciato che predetermina
una vita, bensì il farsi mutevole e cangiante di ogni esistenza sotto l’urto
delle circostanze storiche, ambientali e personali che si attraversano. Per
parte mia aggiungo: Per andare dove
riguarda la direzione della vita, o di quel tratto di vita, il suo futuro. Ma
certo riguarda anche lo scrivere, questa narrazione: perché scriverla, dove
conduce lo scriverla e, ora, l’averla scritta? Cosa produrrà nell’esistenza
dello scrittore, e nella vita di noi che lo leggiamo? La scarsa possibilità di
rispondere al perché (cosa che altrove Papi ha sottolineato), dà comunque senso
alla domanda circa il senso, il rapporto tra l’autore e il testo.
La
mia convinzione è che una risposta sia reperibile leggendo, lasciandosi
prendere dai modi, dal ritmo della scrittura. Non inseguendo meditazioni
astratte, formulando ipotesi discorsive a sé stanti.
Fulvio
Papi
Per andare dove 1934-1949,
Mimesis,
Milano-Udine 2020,
pp.
142, € 12,00 ***
L’AUGURIO DEL FILOSOFO
CARLO SINI A PAPI
Carlo Sini |
Caro Fulvio,
con l’augurio più fervido il ringraziamento per tutto ciò che, in tanti anni,
ci hai insegnato e donato col tuo pensiero sempre giovane e con un esempio
altissimo di onestà civile e generosità umana.
Il tuo
Carlo Sini
***
PER FULVIO PAPI
Fulvio Papi e Gian Carlo Ferretti alla Casa della Cultura in occasione della presentazione del numero monografico di "Capoverso" dedicato a Pier Paolo Pasolini (3 novembre 2016) Archivio "Odissea" |
“A Fulvio Papi per il suo novantesimo compleanno,
con gli auguri più affettuosi e riconoscenti da parte di tutti noi, che
tanto gli dobbiamo di sapere e di umanità”.
Carlo
Felice Besostri
Silvana
Borutti
Roberto
Diodato
Gian
Carlo Ferretti
Angelo
Gaccione
Tomaso Kemeny
Fabio
Minazzi
Emilio
Renzi
Franco
Sarcinelli
Gabriele
Scaramuzza
Gianni
Trimarchi
Silvia
Vegetti Finzi
Gli
amici di “Odissea”
di
“Materiali di Estetica”
della
“Casa della Cultura”
della
“Fondazione Corrente”