di
Alfredo Panetta
La
raccolta di racconti L’incendio di
Roccabruna di Angelo Gaccione mi proietta nella Calabria che più amo: quella
mitica-nostalgica di Corrado Alvaro, quella della realtà contadina di Mario La
Cava, quella lirica-sensuale di Rèpaci, quella cruda neorealista di Saverio
Strati. È la Calabria che ho vissuto personalmente fino all’età di 20 anni,
dove a una natura dal fascino selvaggio l’uomo alterna pennellate di atavica
violenza. Come se solo nei chiaroscuri dell’anima si depositasse la cifra di
quella gente così lontana da una straniante modernità. Gaccione sa scavare, pur
usando la misura breve del racconto, negli strati più reconditi e crudi degli
uomini di Roccabruna, un paese inventato di sana pianta. Inventato forse per
dare più risalto alla realtà dei fatti, spesso tragici, magistralmente narrati
dall’autore. Non manca l’arcaico senso di giustizia (o giustizialismo) popolare
rispetto ai soprusi dei potenti, come accade nel racconto che dà il titolo al
libro. Né la vendetta del marito, emigrato oltreoceano, tradito da un destino
avverso prima che da una moglie infedele. Vendetta che è sentimento dominante
in tutta la raccolta, dove c’è poco o niente spazio per la pietà cristiana (Per i roccabrunesi la vendetta è l’unico perdono…). Nel racconto L’innocente
Gaccione abbozza con sapienti tocchi l’odissea di milioni di meridionali in
cerca del bengodi nelle Americhe. Tra i momenti più intensi della raccolta ci
sono episodi di inaudita crudeltà, quale ad esempio quello descritto ne L’uccisione dei cani a chiusura di raccolta. Se c’è un aspetto che non possiamo
rimpiangere né tollerare del passato narrato da Gaccione è la gratuita violenza
verso i più deboli. Per il resto, si può ragionare.
Angelo
Gaccione
L’incendio
di Roccabruna
Di
Felice Ed. 2019
Pagg.
120 - € 12,00