L’ ALBERO DELL’ IMPICCATO
di Angelo Gaccione
Sono
passati cinque secoli dalla nascita di Giovanni Della Casa, il monsignore
toscano autore del celebre Galateo overo de’ costumi, con cui si
prefiggeva di insegnare le buone maniere al suo giovane interlocutore. In
verità non vi è alcuna interlocuzione, e quello che avrebbe dovuto essere un
dialogo a due voci, si rivela un lungo ed unico monologo. Il vecchio
ammaestrante è lui il sapiente, ed è la sua voce a prevalere sul giovanetto da
ammaestrare. Il “vecchio” ragiona sui modi che si debbono o tenere,
o schifare sia
in ambito privato, sia in ambito pubblico.
È un’opera datata, il Galateo, e farebbe
inorridire i nostri civilissimi contemporanei. Ma potrebbe inorridire
anche lui, il Monsignore, se si trovasse per magia fra di noi e constatare come
nella civilissima Milano, dei bipedi (italiani o stranieri non importa, lo
stampo è lo stesso) a distanza di cinque secoli, escono di casa con una busta
piena di immondizia e la abbandonano bellamente, e impunemente, per vie e
strade. Vedere un automobilista sporgersi - con perfetta nonchalance - dal
finestrino e svuotare in mezzo alla strada il contenuto del suo posacenere; incontrare
gente con pantaloni a brandelli perché lo impone la moda; apparirgli nei luoghi
più insospettati, esibizioniste di ogni età acconciate come battone. Si dirà:
che sarà mai? Il nostro tempo ha problemi molto più drammatici cui badare. È
vero: esiste una gerarchia di valori in termini di importanza, ed esiste una
gerarchia di problemi in termini di drammaticità. Ma nutro la convinzione che a
distanza di cinque secoli, comportamenti, ragionamenti e modi che si debbono tenere
o schifare, come recita il Galateo, non hanno perso nulla della loro
validità: anzi. Se nulla ci fa schifo, allora tutto è lecito; come lamentarci
dunque, della pessima china che i tempi hanno preso?
Ragionando qualche mese fa con un amico calabrese, a
proposito di comportamenti pubblici e privati, abbiamo dovuto constatare come
ai nostri giorni sia del tutto scomparsa la nozione di vergogna, e come
quasi più nessuno ricorra al suicidio, qualunque azione infame o riprovevole
abbia commesso. Un abisso, rispetto alla condotta dei nostri padri o dei nostri
nonni, che del senso della vergogna e dell’onore avevano fatto il loro abito
morale. Ho ricordato alcuni casi di impiccati al tempo della mia giovinezza che
mi avevano molto turbato. Era stato tuttavia un giusto contrappasso per essere
venuti meno (non importa l’entità della colpa) alla propria coscienza ed al
proprio dovere. Come sono cambiati i tempi! Oggi non penzola un solo corpo
dall’albero dell’impiccato. E pensare che non dovrebbero bastare le foreste.