di
Franco Astengo
In
questi giorni del quarantennale dall’efferata strage di Bologna del 2 agosto
1980 abbiamo letto molte interessanti ricostruzioni storiche alimentate anche
da nuove rivelazioni recentemente apparse sulla stampa.
Ci troviamo però davanti a molte ricostruzioni
e a poca analisi politica.
In una visione del tutto personale e
sicuramente opinabile provo allora a riassumere alcuni punti di analisi
sull’intreccio verificatosi tra movimenti, dinamiche politiche, terrorismo e/o
lotta armata relativi tra gli anni ‘60 e quelli ‘80.
1). L’unico episodio di
terrorismo/lotta armata che ha inciso davvero sul quadro politico è stato
l’affaire Moro. Fornisco molto credito all’ipotesi che la soluzione finale sia
stata concordata tra Mosca e Washington ai fini “status quo”. Da aggiungere che
la faglia “fermezza versus trattativa” è risultata frattura di fondo nel
sistema politico italiano, quasi a livello di quella “intervento/non
intervento” nella Prima guerra mondiale. L’obiettivo non era tanto quella di
arrestare la “terza fase” morotea esistita solo nella fantasia di qualcuno e
comunque priva di corrispondenza con una disponibilità del PCI. Lo scopo
dell’affaire Moro era invece quello di bloccare il consolidarsi del sistema a “bipartitismo
imperfetto” uscito dalle elezioni del 1976. “Bipartitismo imperfetto” che data
la natura interclassista ormai assunta dal PCI (inevitabile con 12 milioni di
voti) avrebbe subito spinte forti a trasformarsi in “bipartitismo perfetto”
(l’esempio dell’esito delle amministrative 1975 era lì sotto gli occhi)
nonostante i ritardi del PCI ad assumere una posizione alternativista nel
quadro della visione “compromesso storico” del fronte popolare. Era
fondamentale, per quella strategia, che il PCI rimanesse confinato
volontariamente nella riserva indiana della “conventio ad excludendum”. Quindi
occorreva rompere il quadro del bipolarismo e l’affaire Moro sarebbe servito ad
aprire una dinamica diversa nel sistema politico poi realizzata con
l’assunzione da parte del PSI di una posizione di distacco dal quadro della
solidarietà nazionale. Distacco avvenuto all’interno di una ricerca
(teoricamente giusta) di un proprio spazio di autonomia. Così, sia i 35 giorni
alla FIAT e la vicenda della scala mobile ebbero soltanto una valenza di
testimonianza difensiva. E così non poteva non essere non disponendo, quel
movimento, di un corrispettivo di alternativa sul piano politico e di governo.;
2). Questo primo punto
indicava già che, almeno per conto mio, non è esistita una strategia
terroristica ma diverse fasi del fenomeno, tutte assai complesse da analizzare.
Per un certo periodo, da Vallarino Gancia in poi credo che le BR abbiano fatto
le BR seguendo il fraintendimento leniniano del provocare la reazione dello
Stato e della borghesia per suscitare la rivoluzione popolare. Non si comprende
diversamente l’affastellamento di bersagli l’uno diverso dall’altro, alcuni dei
quali la cui scelta rimane francamente incomprensibile. Da ricordare, inoltre,
la pluralità di sigle (NAP, Prima Linea, Unità Comuniste Combattenti): lo
schema però ero lo stesso, fraintendere che le avanguardie fossero davanti al
popolo e che davanti alla reazione borghese ci fosse lo spazio per la
rivoluzione proletaria. Era tutta un’illusione (nemmeno troppo manovrata, anzi
quasi per niente, dai servizi) ma per un certo periodo fu inteso così;
3). Non è neppure così
sicuro che piazza della Fontana abbia arrestato il movimento. Il movimento era
già in forte declino, firmato il contratto dei meccanici, arrestato il processo
di unità sindacale, incombente Reggio Calabria (anche in questo caso
clamorosamente equivocato dalla solita Lotta Continua - capace di scambiare
perfino la rivoluzione iraniana fatta da bigotti ayatollah per l’anticamera del
socialismo. Lotta Continua è stata l’organizzazione madre di molti dei nostri
mali). In quel periodo si stavano formando i gruppi nel segno delle storiche
divisioni del movimento comunista anni’20 - ’30 e sulla base di una dinamica da
“spirito di scissione” aperta, fin dal 1966, con il Pcd’I linea rossa e linea
nera. Lo smarrimento era tale che “il Manifesto” tentò addirittura un’avventura
con Potere Operaio e ci si stava dirigendo verso la deriva elettoralistica del
1972 che coinvolse una buona quota di gruppi dai maoisti a Stella Rossa. Piazza
Fontana rimane, almeno per conto mio, un tassello della strategia golpista
degli anni’60. Più “Piano Solo” insomma, che attacco al movimento. Strategia
golpista che si innescava in una forte tensione “legge e ordine” che albergava
nel sistema soprattutto all’interno del PSDI e del PRI (La Malfa per la pena di
morte, poi le leggi Reale, il Saragat del “mostro”) non tanto nella DC;
4). Bologna ’80: non stento
a credere all’idea della P2 e al milione di Gelli ai NAR, che perseguivano una
strategia similare alle BR limitandosi al capitolo “reazione”. La P2 non
intendeva muoversi su di una strategia “golpista”, piuttosto come scritto nel
documento di Rinascita Nazionale creare le condizioni di un “restringimento
della democrazia” che poi si sarebbe gradualmente avviato come in effetti
accadde anche se nel quadro, per lo più imprevisto (e imprevedibile) dei primi
anni’90. In ogni caso nell’estate del 1980 il sistema era già in crisi
verticale, come in crisi verticale era il bipolarismo a livello internazionale
con il declino evidente dell’URSS. Quindi una strage terribile quasi “a babbo
morto” con il sistema alla deriva e che con chi, all’interno del sistema,
avrebbe potuto provocare uno sconquasso con una dirompente proposta di
alternativa già seduto attorno al tavolo della spartizione. La dimostrazione di
tutto questo si verificò con le elezioni del 1983 dall’incontro delle
Frattocchie (e dall’intervento di Craxi al congresso di Milano del PCI, se non
ricordo male il XVI) fino alla formazione del governo da parte dello stesso
segretario socialista. Parturiunt montes...
Tutto
questo tentativo di ragionamento che ho fin qui sviluppato è stato malamente
misurato attorno al tema degli esiti di quella fase sulle dinamiche politiche e
non sul piano della ricostruzione storica.
Da
quella stagione culminata poi nella caduta del Muro, in Tangentopoli, nel
trattato di Maastricht, nella dismissione dell’intervento pubblico in economia,
nel divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, nella crescita del peso dei
mezzi di comunicazione di massa, si determinò il crollo del sistema dei partiti
e la compressione progressiva del sistema politico fino all’inasprirsi della
personalizzazione, dell’imporsi del conflitto d’interessi, dell’esaltazione della
governabilità nel nome del populismo di destra e ai danni della rappresentanza
con la mortificazione delle assemblee elettive, della trasformazione nell’uso
dell’autonomia del politico fino alla situazione attuale nella quale la stessa
“democrazia del pubblico” si è trasformata in “democrazia recitativa”.
Democrazia recitativa attraverso il cui metodo si è addirittura gestita la più
grave emergenza sanitaria della storia d’Italia e d’Europa degli ultimi 200
anni e che sta sostituendosi a quella “rappresentativa” enucleando così i punti
strategici per un mutamento complessivo della forma di governo e della
democrazia parlamentare che potrebbe risultare ancor più pericoloso.