di Angelo Gaccione
I libri di Luigi Bianco non si
possono raccontare, gli si farebbe torto. Sono libri che bisogna
necessariamente prendere fra le mani e osservarli, ancora prima di sottoporli a
lettura e meditarli. Libri che da anni, e per scelta, nascono quasi alla macchia,
fuori da ogni circuito istituzionale, da ogni compromesso di politica
editoriale, di industria culturale mercificata. Non è un caso che i libri di
Bianco, pubblicati in proprio con le sue edizioni Amodali (anzi, amodali,
rigidamente in formato minuscolo come i versi distribuiti lungo le pagine), con
innesti fra i più vari, che siano lettere greche, numeri, o segni di diversa
natura, non hanno neppure un prezzo di copertina. E tuttavia girano, vanno per
il mondo, raggiungono mani selezionate, quelle che Bianco privilegia, secondo
un rigido parametro morale, che vede la stima al primo posto. In genere dopo
averli letti li faccio girare, a mia volta, fra mani altrettanto giuste. Qualche
volta ne ho lasciato copia con dentro un biglietto su un sedile della
Metropolitana, raccomandandomi di rimetterla in circolazione a lettura
ultimata. Presto ne farò viaggiare una copia con me lasciandola nello
scompartimento del treno e sempre con le dovute raccomandazioni.
A questo punto dovrei raccontarvi della materia di cui le
pagine di questi libri sono fatte. Dovrei mettere in campo tutto il mio estro
per dirvi di pietàs e di indignazione; di scelte radicali e di sentimenti; di
luoghi e di volti; di eventi e di rinunce; di legami e di sogni… Ecco, vi
bastino solo i sogni. E se riuscite a custodire e difendere per tutta la vita,
come Bianco, i vostri di sogni, ebbene: vorrà dire che non l’avete sprecata del
tutto la vostra vita.
Mi rendo conto che estrapolare dei semplici frammenti da libri
che si presentano come corpi compatti e con una impaginazione grafica ben
precisa, non sia il massimo, ma sono costretto ad adattare i testi ad una
gabbia predefinita e inalterabile del giornale. Per lo meno se non voglio
rinunciare al gesto di segnalarne la comparsa.
scrivo
dal parco degli abissi
issato
dal catrame della sconfitta
il
mare mi libera dalla miseria
io
misero clandestino
senza
nomi di glorie umane
non
so dirti delle mie passioni
un
corpo stanco non sollecita più
nervi
sensibili
vivo
nel calmo piacere
di
una luna rossa
che
sale placida dal mare
mitragliate
di rovine mi fanno chiudere
le
parole dell’esterno ufficiale
sono
lontano ma so
so
che qualcuno muore
nel
cercare la felicità
so
che qualcuno vive solo
di
fatica e privazioni
so
che altri allevano schiavi
come
sempre e più di sempre…
(A
caso di nero di puro, 2019)
(…)
terra di pietre sepolte
terra
di pietre risorte
nei
vicoli storti
di
un paese in contumacia
terra
d’assenze statali
predata
da un nord
solo
in vedetta d’affari
terra
mia primitiva
accendi
i fari della salvezza
stacca
per sempre le tue pietre
dal
nord inquinato
non
solo smog
da
tempo la ’ndrangheta
inquina
più che da noi
terra
mia
di
ciclamini e ginestre
di
mari appesi alle montagne
vivi
nella tua lentezza e tolleranza
sii
fiera del tuo destino
in
solitudine
sii
clemente
con
uomini e donne che baciano
i
tuoi piedi stanchi
i
giovani andati
a
baciare
le
mani fredde d’Europa…
(Ancora
senza àncore, 2020)