Al regime liberticida del Bahrain
cooperazione e armi italiane
di Antonio Mazzeo
Dopo Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar, il complesso militare industriale
italiano trova un nuovo partner tra i sovrani e gli emiri del Golfo. L’azienda Selex
ES (Finmeccanica), produttrice di sistemi di puntamento, componenti
elettroniche e radar, ha firmato un contratto di oltre 50 milioni di euro con
la Royal Bahrain Naval Force, la marina militare del Regno del Bahrain, per
l’ammodernamento di sei unità navali. Il programma di aggiornamento avrà una
durata di cinque anni; Selex ES fornirà inoltre i servizi di formazione e di
supporto post vendita.
Le basi per l’accordo tra la Marina militare del Bahrain
e l’azienda del gruppo Finmeccanica erano state poste in occasione della sosta
nel complesso portuale di Mina Khalifa - dal 5 al 9 dicembre 2013 - del 30°
Gruppo navale italiano, durante il suo lungo tour promozionale in Africa e
Medio oriente dei sistemi d’arma made in Italy. In quell’occasione, il direttore
marketing di Selex Es, Gianpiero Lorandi, ebbe modo di presentare i più recenti
sistemi di guerra dell’azienda al Capo di stato maggiore della marina del
Bahrain, durante un ricevimento ufficiale a bordo della portaerei “Cavour”. Il
26 febbraio 2014, una delegazione di sei ufficiali del piccolo regno del Golfo
si recò poi in visita nella base navale di Augusta (Siracusa), nell’ambito di
un programma di collaborazione nel campo della difesa tra Italia e Bahrein,
finalizzato alla fornitura di alcuni sistemi già imbarcati sulle unità
italiane. In particolare, la delegazione straniera ebbe modo di assistere a
bordo del pattugliatore “Comandante Cigala Fulgosi” ad una dimostrazione sul
funzionamento del radar del tiro NA 25 X prodotto e installato da Selex Es,
effettuando il tracciamento e l’acquisizione di bersagli navali ed aerei.
In Bahrain, l’azienda del gruppo Finmeccanica ha già
firmato contratti con l’aviazione civile e l’aeronautica militare per la
fornitura di sofisticati sistemi radar di sorveglianza primari e secondari. Nel
gennaio 2015, Selex ES ha pure partecipo al Bahrein International Airshow, il
salone aerospaziale che si tiene annualmente nella capitale Manama, per
promuovere un’ampia gamma di prodotti per la “difesa” aerea, sistemi navali e di
sicurezza interna, i radar multiruolo Kronos Land per la sorveglianza delle
coste e dei cieli, la scoperta del fuoco nemico e il controllo anti-missile e i
radar tridimensionali Rat31Dl con una copertura di oltre 500km. Al Bahrein
Airshow 2015, Finmeccanica era presente anche con la controllata AgustaWestland
e gli elicotteri di nuova generazione AW-169 e AW-189 e quelli già affermatisi
nel mercato mondiale militare, come gli AW-109LUH, AW-159, NH-90, AW-101 e
AW-139. “Siamo a Manama perché quella del Golfo rappresenta una regione molto
importante, dove Finmeccanica e le sue aziende vantano una presenza di oltre
trent’anni, che in termini di ricavi, ha un valore tra il 20 ed il 25% del
business del Gruppo”, spiegavano i dirigenti della holding nazionale. “Finmeccanica
è impegnata ad incrementare le proprie attività in molti settori attraverso
partnership tecnologiche con l’industria locale, la creazione di joint-venture
ed il trasferimento tecnologico per più alti corsi di formazione con lo scopo
di supportare fortemente lo sviluppo di questi Paesi ed i loro ambiziosi piani
per il futuro”.
Nel gennaio 2015, in un’intervista al Gulf Daily News, il
manager del gruppo britannico Bae Systems, Alan Garwood, ha inoltre rivelato
che il consorzio Eurofighter era pronto a chiudere una trattativa con il regime
di Manama per la fornitura di 12 caccia multiruolo “Typhoon”. La struttura
societaria del consorzio Eurofighter GmbH con sede a Monaco di Baviera è
controllata per il 46% dal Gruppo Eads-Casa, per un altro 33% da Bae Systems e
per il restante 21% da Alenia Aeronautica (Finmeccanica). Il cacciabombardiere
di produzione europea è già stato venduto all’Arabia Saudita (i 32 velivoli
consegnati tra il 2008 ed il 2013 sono utilizzati in particolare per i
devastanti bombardamenti in Yemen); altri 12 esemplari sono stati ordinati
dall’Oman mentre 28 “Eurofighter Typhoon” prodotti direttamente da
Alenia-Finmeccanica saranno presto consegnati alle forze armate del Kuwait.
Le relazioni militari tra Italia e Bahrain sono regolate
in base all’accordo firmato lo scorso 22 aprile dai ministri della difesa
Roberta Pinotti e Yusuf bin Ahmed Al Jalahma. “Italia e Regno del Bahrain sono
accomunati da una concordanza di vedute su molti temi e scenari dell’attualità
internazionale”, riporta il comunicato emesso dal Ministero della difesa. “Con
l’accordo siglato dal Ministro Pinotti e dal suo omologo Al Jalahma, è stata
definita la cornice necessaria a inquadrare le diverse iniziative che
coinvolgeranno le Forze armate con l’obiettivo di incrementare la cooperazione
bilaterale, consolidare le rispettive capacità difensive e migliorare la
comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”. I settori per
concretizzare la partnership bilaterale spaziano dalle “attività di carattere
formativo e addestrativo e sulla sicurezza marittima e di contrasto alla
pirateria” alle “operazioni umanitarie e di mantenimento della pace”.
Nessun timore da parte italiana invece per l’ambiguo
ruolo giocato dal Bahrain negli scenari di guerra internazionali (e in
particolare nella crociata occidentale contro il califfato) o, peggio ancora,
per le gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità
nazionali. Il 25 novembre, un reportage del giornalista Sayed Ahmed Al
Wadaeinov, pubblicato sul New York Times, ha stigmatizzato i legami di ampi
settori dell’establishment governativo con l’Isis e alcuni gruppi jihadisti.
“Uno dei maggiori membri dello Stato islamico giunti dal Bahrain, il
predicatore Turki al-Binali, proviene da una famiglia strettamente alleata con
la famiglia reale dei Khalifa”, scrive Al Wadaeinov. “Altri combattenti
provengono direttamente dalle forze di sicurezza del Bahrain. Un altro membro
della famiglia Binali che ha raggiunto lo Stato islamico, Mohamed Isa
al-Binali, è un ex ufficiale del Ministero dell’interno. Egli lavorava nel
centro penitenziario di Jaw, tristemente noto per il sovraffollamento e la sua
durezza. Una persona che è stata detenuta in questa prigione ha raccontato di
aver visto Binali partecipare alle torture contro un giovane scita, non molto
prima che l’ufficiale sparisse nel 2014 per raggiungere lo Stato islamico”.
Il regime degli al-Khalifa ha scatenato una violenta
offensiva contro le opposizioni in risposta alle manifestazioni anti-regime che
nel febbraio 2011 videro protagoniste migliaia di cittadini di confessione
scita. Il re Hamad bin Isa al-Khalifa dichiarò lo stato di emergenza e il 14
marzo 2011, le truppe dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti invasero
il Bahrain per sostenere il governo nelle azioni repressive contro i
manifestanti. Durante gli scontri furono assassinati più di un centinaio di
persone e, secondo una coalizione di organizzazioni non governative locali, ad
oggi sarebbero stati più di 4.000 gli oppositori incarcerati dal regime, in
buona parte intellettuali, insegnanti, studenti e giornalisti. Meno di una
settimana fa, il fotoreporter Sayed al-Mousawi è stato condannato a dieci anni
di reclusione e alla revoca della cittadinanza per aver ripreso con un
cellulare le violente cariche contro i manifestanti. Per le sue denunce sui
presunti legami tra i militari del Bahrain e lo Stato islamico, l’avvocato
Nabeel Rajab, noto per le sue campagne in difesa dei diritti umani, è stato
incarcerato invece per sei mesi.
“Quattro anni dopo la rivolta del 2011, la repressione
resta diffusa e le violazioni dei diritti umani da parte delle forze di
sicurezza - tra cui torture, detenzioni arbitrarie e l’uso eccessivo della
forza - proseguono senza sosta”, scrive Amnesty International nel suo ultimo
rapporto sul Bahrain. “Le autorità del paese hanno continuato a esercitare il
potere attraverso una crudele repressione nei confronti del dissenso; attivisti
pacifici e oppositori del governo continuano a essere arrestati e condotti
nelle prigioni. Nella capitale Manama, tutte le proteste in pubblico sono
proibite da circa due anni. Quelle organizzate fuori dalla capitale sono
regolarmente interrotte dalla polizia con l’uso di gas lacrimogeni e fucili
caricati con pallini da caccia, e terminano con feriti gravi o morti tra i
manifestanti. Altri manifestanti hanno denunciato di essere stati picchiati con
brutalità, torturati e minacciati fino a confessare presunti reati con la
forza”. Amnesty ha inoltre rilevato come siano state introdotte di recente leggi
particolarmente restrittive sulle associazioni politiche “per permettere alle
autorità di sospenderne le attività, chiuderle o partecipare ai loro incontri
con organizzazioni straniere o rappresentanti del governo”. Per impedire il
monitoraggio sulla situazione dei diritti umani, sono stati drasticamente
ridotti i visti d’ingresso nel paese per gli operatori di Ong e per i
giornalisti stranieri.
Forte preoccupazione per la situazione interna è stata
espressa pure dalla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite. In una
dichiarazione del 18 settembre 2015, il suo portavoce, l’ambasciatore svizzero
Alexandre Fasel, ha rilevato come “nonostante alcune piccole migliorie
introdotte di recente come la nomina di un difensore civico o la creazione di una
commissione per i diritti dei detenuti”, in Bahrain esiste un “grave deficit di
tutela per quanto riguarda i diritti fondamentali: violazioni sistematiche
della libertà di opinione e di associazione; mancata garanzia di giusto
processo; condizioni di detenzione inadeguate; detenzione di minori per reati
di opinione o di piazza; segnalazione di casi di tortura e di trattamenti
degradanti non penalmente perseguiti”.