PARIGI, TUNISIA, ISIS, GLOBALIZZAZIONE
di Alberto Fazio
Alberto Fazio |
Parigi impone una riflessione seria per impedirci
di ricadere nei deliri della Fallaci come ai tempi delle nefaste guerre di Bush
sostenute e giustificate da tutti i benpensanti e da tutti i nostri Media,
compresa RAI 3. La prima vittima delle guerre è la verità e la libera
informazione. Ricordiamocelo sempre. A questo punto trovo calzante questa mia
riflessione maturata con i miei soggiorni in un paese di cultura islamica, e
protagonista dell'unica primavera araba che resiste nonostante tutto.
La sua tesi, infatti, è la stessa dei fondamentalisti,
che vogliono colpire ancora una volta un simbolo, quello dell'unico esperimento
democratico emerso dalle Primavere Arabe.
È la stessa tesi esposta in un video dai terroristi di
Boko Haram, che entrando a gennaio 2015 nella città di Baga, in Nigeria, prima
di una strage che ha fatto più di duemila vittime, gridavano agli abitanti del
luogo: "Dovete scegliere, tra l'Islam e la democrazia, tra la vita e la
morte".
La Costituzione, le istituzioni democratiche tunisine, a
partire dal suo Parlamento, sono frutto di un percorso complicato e non
lineare, che in alcuni momenti ha rischiato di sbandare. Un percorso che ha
visto morti, vittime di attentati terroristici (tra cui i due leader di
opposizione e parlamentari Chokri Belaid e Mohamed Brahmi uccisi
rispettivamente a febbraio e a luglio 2013); che ha avuto momenti di
contrapposizione aspra tra le forze politiche, così come manifestazioni di
intolleranza fuori dal parlamento, da parte di forze fondamentaliste che
speravano di influire sul processo politico. Un percorso che però, alla fine, ha
portato a una maturazione collettiva: la Costituzione è stata approvata con 200
voti a favore, 12 astenuti e 4 contrari. A testimonianza di un processo di
discussione vero, che ha portato la stragrande maggioranza delle forze
politiche a riconoscersi nelle istituzioni democratiche e in un reale, nuovo
spirito di unità nazionale. E a testimonianza di come un partito della galassia
dell'Islam politico, il partito Ennahda, possa essere alla fine trascinato dai
fatti e dall'opinione pubblica a farsi coprotagonista di una evoluzione in
senso democratico del proprio Paese. Non era scritto da nessuna parte che in
Tunisia dovesse e potesse finire così. Anzi, la difficoltà del contesto, con
l'ingombrante vicino libico, e i fallimenti dei processi democratici di altri
paesi post-Primavera araba (a partire dall'Egitto) non giocavano a favore della
Tunisia. Per questo, l'esperimento tunisino è simbolico. Perché dimostra che
l'Islam e la democrazia possono convivere. E che ci può essere un'evoluzione in
senso democratico di un paese islamico. I parlamenti democratici possono
approvare leggi contro il terrorismo di matrice fondamentalista islamica, come
succedeva proprio quel giorno a Tunisi.
La Tunisia e la sua democrazia vanno difese, aiutate e facilitate più di
quanto non sia stato fatto fino ad ora. Perché la Tunisia rappresenta la vera,
efficace risposta al Daesh, al sedicente Stato islamico: è una risposta che ci
dice che si può immaginare una democrazia, che sa far convivere religione e
diritti delle minoranze, in una logica non oscurantista.
Una descrizione dei nostri vicini e dirimpettai
mediterranei Tunisini può essere significativa se muove da un frequente rimando a noi stessi,
come siamo e come siamo stati, per cogliere affinità e differenze che ci sollecitino
a spiegazioni sia delle affinità che delle differenze. In modo che anche i
turisti che approdano ai grandi alberghi con piscina scelti sul depliant
dell'agenzia possano capire che non stanno arrivando su un altro pianeta, ma in
un luogo la cui storia e le cui vicende, vicine e lontane, potrebbero
riguardarci da vicino e rispecchiare in gran parte aspetti del nostro passato e
del nostro presente. Cosa vuol dire, cosa comporta il fatto che la Tunisia è
una società ex coloniale? È un passato tanto lontano da poter essere ignorato?
Cosa è stato il colonialismo sul piano dell'offesa personale portata alle
persone di altri popoli e di altre civiltà, dovrebbe essere insegnato tutti i
giorni dalle elementari all'università, perché l'Europa dei Diritti dell'Uomo e
del Cittadino, questi diritti se li è messi sotto i piedi per due secoli, espellendo dal novero degli umani
tutti coloro che decise di chiamare “indigeni”. Quanto ha inciso nel carattere
di un popolo dover sopportare questa condizione servile imposta per tanto
tempo?
Ah! La Storia!
Ma la Storia è tutto, perché per capire come siamo
dobbiamo sapere come siamo diventati quello che siamo. Cosa ha comportato per
la “cultura” ed il carattere nazionale una civiltà aliena che si è sovrapposta
con la forza per settanta anni ad un'altra storia millenaria compattata dalla
mezza luna ? E prima ancora, che ruolo
ha avuto il dominio ottomano a partire dal sedicesimo secolo? Non è stata la
rottura dell'unità del mondo mediterraneo e la trasformazione del Mare Nostrum
in una “cortina di ferro” ante litteram a trasformare in periferiche terre di
frontiera le regioni del Magreb insieme a quelle del sud dell'Italia che dal
tempo dei fenici e dei greci fino all' alba del
Rinascimento erano state nell'occhio del “centro del mondo”?
Forse è il caso di ricordare come per più di qualche
particolare la storia accomuni la sorte di un paese come la Tunisia a quella
delle nostre regioni meridionali, e quindi ,di conseguenza, a quella del nostro
paese. Potrebbe aver senso una narrazione che mettesse in evidenza storie, se
non simili, almeno in un certo senso affini: per esempio, come lì il
colonialismo ha tenuto, di fatto quella terra
senza una seria scolarizzazione e senza una base da cui partire per uno
“sviluppo” paragonabile a qualcosa di europeo, qui una unificazione nazionale
la cui storia ufficiale e scolastica si dovrebbe riscrivere (senza nulla
concedere alle sciocchezze leghiste o sicilianiste) ha seguito un cammino con
più di qualche punto di somiglianza. Sono questi interrogativi che mi
suggeriscono di guardare a questo paese senza mai perdere di vista la storia e
le vicende di casa nostra. La Tunisia ha avuto alla fine la lungimiranza
illuminata di Burghiba che la ha laicizzata e che la ha resa un paese bilingue
(trilingue, se si considera l'arabo classico, diverso dal Tunisino) accettando
di trasformare in un vantaggio quella che era stata a tutti gli effetti una
ferita profonda all'identità di un popolo. Il programma di Burghiba si
compendiò in tre parole: strade, scuole, ospedali. Partendo da zero. Il
meridione italiano ha avuto Garibaldi e poi? Le scuole e le strade e gli
ospedali hanno stentato per centocinquanta anni. Ed oggi i ragazzi italiani non
sono bilingui. Molti sembrano afasici e non hanno imparato a scrivere un
italiano decente. In compenso a quello parlato ha provveduto la
standardizzazione televisiva attraverso la perdita definitiva della ricchezza
viva dei dialetti.
Oggi questa Tunisia, che per quanto malandata ci appaia,
è pur sempre il paese più “avanzato” e più “laico” di tutto il continente
africano, è divenuta il paese portabandiera di una rivoluzione inedita di tipo
nuovo, grazie alla “fierezza” dei suoi ragazzi e della sue ragazze: altro che
complesso di inferiorità verso i nostri modelli occidentali! Ed il tassista
chiacchierone... dove si sarà nascosto durante i giorni dei gelsomini? Da noi i
nostri ragazzi e le nostre ragazze non sembrano avere davanti a se una
primavera. E i nostri tassisti... lasciamo perdere.
Quando i miei amici africani studiavano al Cairo (anni
cinquanta), le "mille e una notte" era proibito dalla censura. Ma
perché stupirsi? Quanti libri erano proibiti allo stesso modo da noi, a
cominciare da Henry Miller, che io lessi la prima volta in un'edizione
clandestina! Se penso a che cosa era l'erotismo durante tutta la mia
adolescenza e prima giovinezza, negli anni '50 e primi '60, appunto, c'è
davvero di che pensare. Una riflessione: Siamo certi, però, che il tipo di
"rivoluzione sessuale" che abbiamo vissuto dal '68 in poi abbia avuto
gli esiti liberatori che noi ci aspettavamo? Certo, il modo in cui le nostre
figlie hanno vissuto e vivono la loro
sessualità non ha nulla a che vedere con la vera e propria segregazione e
"libertà vigilata" in cui vivevano le mie coetanee. La naturalezza
dell'approccio fra ragazzi e ragazze che vedo in giro non ha nulla a che vedere
con le tensioni represse ed i fantasmi di pregiudizi dei nostri anni verdi. È
uno dei risultati del'68. Forse il più significativo. Prima di allora le regole
del vivere civile erano dettate ovunque, anche in Francia, in Germania, ecc.
dai nostri imam. Il Vescovo di Prato
bollava come "pubblici concubini" quelli che si sposavano in
municipio. Ma non possiamo dimenticare che il mondo in cui vivevamo era per due
terzi un mondo di contadini con stili di vita e tradizioni patriarcali che
affondavano le radici nel neolitico. Quando andavo al liceo questa maggioranza
era talmente "altra" da apparire come una razza diversa, nel colore
della pelle, nel modo di vestire, nella lingua e nei costumi. Le donne, in
particolare, andavano in giro vestite di nero e coperte dagli tchador... pardon
scialli, sorvegliate a vista da uomini vestiti di velluto e con tabarri blu.
Cavalcature, processioni, delitti d'onore, carretti, canti antichissimi che si
perdevano nelle campagne assolate dove si trebbiava con i muli. Noi eravamo i
"francesi", loro erano gli arabi. Emanavamo anche odori diversi.
Nulla faceva presagire che qualcosa sarebbe cambiato in questo assetto
millenario del mondo. E invece, alla fine dei miei anni di liceo, Caltagirone
si svuotò. In quindicimila, su quarantamila abitanti, si avventurarono al nord,
in Germania, in Svizzera, a Milano, a Torino... Anche la mia classe di liceo si
sparse ai quattro venti. Che cosa era successo? Era successo che le campagne
non davano più da mangiare, neanche ai livelli miseri che avevano assicurato
fino ad allora. Le macchine, i concimi chimici, l'elettricità e le strade
avevano industrializzato tutto facendo crollare i prezzi dei prodotti. I villaggi
della Riforma Agraria rimasero deserti, i campi e le piccole proprietà curate e
coltivate fin lì come la luce dei propri occhi furono abbandonate ai rovi.
Assieme allo spopolamento fisico vi fu uno spaesamento culturale che attraversò
la società da capo a fondo in modo tale che nulla, proprio nulla fu più come
prima. Pochi anni dopo scoppiò il '68 e poi il lacerante e radicale Movimento
Femminista. Senza questo retroterra quella grande rivoluzione culturale che
azzerò il prestigio degli imam e distrusse la segregazione sessuale e con essa
la struttura stessa dell'autoritarismo che marcava il rapporto fra generazioni
e fra poteri pubblici e cittadini, non avrebbe avuto il carattere universale
che invece ha avuto da noi. Oggi nei vicoli di Palermo o di Caltagirone
sfrecciano le ragazze in motorino con l'ombelico al vento, vero simbolo ed
immagine della nuova condizione femminile, allo stesso modo che ad Amsterdam o
a Siviglia.
Ma siamo sicuri, dunque, che sia tutto oro? Quanta
mercificazione del corpo e della mente ha accompagnato questa liberazione? Non
c'è un nuovo asservimento, tutto diverso da quello antico ma non per questo
forse meno inquietante, ai miti del successo attraverso la "fitness",
la bellezza stereotipa e depilata costruita dai chirurghi estetici, ai valori
ed ai modelli di un consumismo mentale da "Grande Fratello" e da
sballo del sabato sera, tutto diverso dalla liberazione per cui ci eravamo
messi in gioco allora, sulla nostra pelle, su quella delle nostre compagne e
dei nostri figli?
E quanto grande è il patrimonio della articolatissima
diversità culturale radicata nei modi di produzione, nei saperi contadini e
artigiani che è stata annientata? Una diversità che dotava ogni paese, ogni
contrada, ogni regione, di sue storie, suoi racconti, suoi canti, sue danze,
suoi riti, sue feste, posseduti e radicati in ciascuno da millenni? E non era
in questo patrimonio che viveva la sacralità della vita e dei rapporti umani?
Tutto è andato irrimediabilmente perduto ed oggi, sebbene materialmente più
ricchi più “istruiti” e più longevi, siamo culturalmente e mentalmente
infinitamente più poveri, espropriati della nostra anima. Questo nuovo
asservimento è il centro della riflessione di Pasolini già all'inizio degli
anni '70. Il suo discorso fu bollato come reazionario, ed era e resta invece il
più profondamente e profeticamente sovversivo. Come lui, anche noi lottavamo
per l'uguaglianza dei diritti ma senza passare per l'omologazione e la
distruzione delle differenze culturali, etniche e di genere che fanno ricca
l'anima di un popolo. Se volevamo offendere qualcuno, lo chiamavamo
“integrato”.
Quando sento fare raffronti fra "Islam" ed
"Occidente" senza un occhio nemmeno distratto alla storia, io,
davvero trasecolo. Nel dipingere un "Islam" legato negativamente ad
un Corano sempre uguale a se stesso, com'è che si dimentica che il Regno
Normanno e l'Impero di Federico II furono "Splendor Mundi" perché mostrarono
la cultura Araba al resto d'Europa? Com'è che si dimentica che la Spagna
Ommiade era un faro di civiltà mai più eguagliato dalla Spagna cattolica? Come
si fa a non sapere che furono gli Arabi a salvare e tradurre le opere di
Aristotele e dell'antichità classica? E L'algebra, l'astronomia ecc?. E non era
Islam quello? E non era Cristianesimo il nostro?
Ma noi attribuiamo all’ "Islam" l'attuale
"arretratezza della mentalità" di quel mondo, si dirà. Arretratezza o
omologazione non ancora completa? Bisognerebbe dare un minimo sguardo alla
storia anche recente e recentissima che vede la dominazione coloniale
occidentale sui paesi di quella cultura, in Africa ed in Asia. Una dominazione
in cui il razzismo era senso comune ed il genocidio non era neanche percepito.
L'Europeo (l'occidentale) non riusciva a concepire gli abitanti di quei paesi
come portatori dei suoi stessi diritti umani. Erano sub umani. Per rendersene
conto basta avere avuto per quarant'anni fra i propri amici più cari alcuni
africani e aver così constatato come cambia il colore del mondo quando cambia
l'osservatore. Noi siamo bravi a parlare ed a piangere sui misfatti perpetrati
dagli altri: (vedi attuale Saga televisiva delle Foibe). Siamo del tutto sordi
ciechi e muti su quelli di cui noi siamo responsabili. Le stragi italiane in
Etiopia anche dopo la fine delle ostilità, la sanguinosa conquista e
riconquista della Libia, il regime razzista in Somalia. NON SI SA NULLA E NON
SI VUOLE SAPERE NULLA. Basta la favoletta della nostra opera civilizzatrice;
come in Slovenia ed in Croazia. I Paesi "Islamici" furono partecipi
in prima linea del movimento anticoloniale seguito alla prima, ma soprattutto
alla seconda guerra mondiale. In quel contesto si accesero grandi speranze di
riscatto nazionale sotto la guida di borghesie illuminate che avevano nella
struttura dell'esercito (ma non in Tunisia) la loro forma organizzata. Si
orientarono verso una concezione genericamente "socialista" ed
anticolonialista, dichiaratamente laica, "progressista" con spazio
alle donne sia nella politica che nell'accesso alla cultura. (Trent'anni prima
Ataturk aveva così modernizzato la Turchia, abolendo niente meno che il
Califfato, come dire, da noi, il Vaticano). Ebbero contro le vecchie potenze
coloniali e poi gli Stati Uniti, che sostennero da sempre i servili regimi
reazionari da loro imposti. Il '68 per loro ebbe un segno diverso. Il
Sessantotto fu la crisi irreversibile delle speranze di riscatto nazionale
laico e "socialista" in tutto quel mondo. Involuzione in Algeria, morte
di Nasser dopo la guerra dei sei giorni, involuzione del regime iracheno con
ascesa di Saddam, involuzione del Pakistan, fine delle aspettative democratiche
e socialiste in Indonesia (già qualche anno prima col golpe contro Sukarno e le
stragi immani di comunisti e democratici). Alla fine, quando tutte le speranze
di un "risorgimento" laico e socialisteggiante si sono spente del
tutto e non è rimasto che sottomettersi anche mentalmente alle ragioni della
globalizzazione e del mercato dominato dall'"Occidente", ecco nascere,
crescere e moltiplicarsi la malapianta del Fondamentalismo, seminata e
coltivata con la benedizione dell'Occidente stesso nell' Afganistan degli anni
80. E si pretende che l'Islam sia quello, o che ne sia responsabile a causa
della sua tradizione e della sua cultura.
Ma quale modello offre alle nostre vite ed al mondo
questo Occidente bulimico, dissacratore dell'universo, adoratore dell'unico
grande Moloch della Finanza globale e multinazionale? Questo è il Monoateismo
globale ed universale dei nostri giorni, che sta portando il pianeta verso
l'abisso, con le più grandi estinzioni dalla fine del cretaceo, con
l'avvelenamento degli oceani, la scomparsa dei pesci, degli animali, delle
foreste, con la morte delle barriere coralline, con i turbinosi cambiamenti
climatici, con la guerra endemica. Ma tutto ciò non sarebbe possibile senza
l'omologazione di massa delle coscienze, dei valori, dei costumi, dei cibi, del
vivere quotidiano, senza i Premi Nobel per l'economia a chi proclama che questo
è il migliore dei mondi possibili, senza la non vista distruzione sistematica
delle economie altre e delle culture altre, della sacralità delle radici del
mondo, ma soprattutto senza l'inganno delle speranze e dei sogni di ciascuno affidati al miraggio della deriva del
desiderio nel delirio consumista universale, invano contraddetti dalla grande
crisi in atto. Il costo ecologico lo abbiamo detto. Ma quale è il costo umano
di tutto ciò? Dopo l'omologazione
universale dei popoli della terra nei disvalori dello sviluppismo consumistico
e nel mortale autoinganno del miraggio della crescita infinita esaltato oltre
ogni limite dal turbocapitalismo finanziario e dal pensiero unico neoliberista,
arriva la Grande Crisi Economica che si affianca alla Grande Crisi Ecologica. I
grandi della terra non impongono altra “cura” che il compimento del dogma
neoliberista e l'indistinguibilità della “cura” dai suoi stessi effetti:
dunque, distruzione del Welfare, erosione dei diritti, liquidazione delle
organizzazioni dei lavoratori, emarginazione crescente di strati sempre più
ampi della società, aumento della povertà relativa ed assoluta, concentrazione
della ricchezza in poche mai. Accompagnano questo quadro ( o ne conseguono)
endemicità della crisi, guerre, esodi di massa di popoli in interi continenti,
stragi, naufragi che non fanno più notizia. Nulla di più corrispondente alla
profezia di Pier Paolo Pasolini, metaforicamente annunciata anche dal modo
della sua morte.
Se l'orrore dell'ISIS non fosse frutto, figlio, strumento
e componente della disastrosa guerra degli USA in medio oriente e quindi del
sistema globale della finanza e del turbocapitalismo, e fosse invece, come
pretenderebbe di far credere, una “sacrosanta” rivolta contro l'Occidente, la
sua aberrazione distruttiva di ogni valore civile sarebbe comunque ben poca
cosa di fronte all'abisso della distruzione globale di civiltà e valori umani
compiuta e messa in atto quotidianamente dal grande Moloch della finanza
internazionale e dal Pensiero Unico. Dobbiamo uscire da uno strabismo che ci fa
vedere l'orrore solo dove ci viene mostrato pornograficamente e mai dove ci
viene nascosto da una quotidianità incombente di cui siamo parte.
Dixi et servavi
animam meam.