di
Franco Astengo
Sta
suonando l’ennesimo campanello d’allarme per l’integrità della Costituzione
Repubblicana.
Un
campanello d’allarme che squilla soprattutto per PD e LEU uniti nella sorte
dall’appoggio comune al governo costruito con il M5S.
Un
richiamo che vale in primo luogo verso chi sta già pensando alla formazione di
un nuovo “blocco politico” in modo da innescare un inedito confronto con
l’alleanza di destra egemonizzata dalla Lega.
Sono
due le questioni che, invece, fanno propendere nel ritenere che il M5S stia
impastando assieme il trasformismo attraverso il quale il governo è stato
costruito (dall’alto di quel livello di trasformismo non dovrebbe essere
semplice accusare singoli di un atteggiamento consimile) e il ribellismo
attraverso il quale cerca di tener buona almeno una parte del suo elettorato
originario, aggregatosi sull’onda di quella che era stata definita
“antipolitica”:
La
riduzione nel numero dei parlamentari presentata esclusivamente in termini
demagogici di riduzione della spesa;
L’introduzione
del vincolo di mandato per deputati e senatori da realizzarsi attraverso la
modifica dell’articolo 67 della Costituzione.
L’obiettivo
è chiaro: quello di stravolgere l’impianto portante che la Costituzione prevede
al riguardo dell’esercizio della democrazia repubblicana.
Esercizio
della democrazia repubblicana portato avanti fin qui, tra strappi e
contraddizioni, attraverso la centralità del parlamento e la rappresentatività
politica.
Attaccare l’impianto costituzionale “classico”
potrebbe anche essere un gioco apparentemente facile, per chi, appunto, intende
limitare - prima di tutto - la possibilità di una piena rappresentatività
democratica nell’insieme delle sensibilità politiche presenti nel paese,
puntando sul facile populismo originario del M5S.
Proprio
per ridurre questo dato della piena rappresentatività democratica si è pensato
di proporre il taglio indiscriminato del numero dei parlamentari e ancora, dopo
che è stata compiuta una delle più imponenti operazioni trasformistiche nella
storia politica italiana, si è messo sotto attacco l’articolo 67 della
Costituzione che, letteralmente, recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Sarà bene riflettere sul significato profondo
dell’articolo 67.
Il
parlamentare, infatti, deve poter agire in piena autonomia e indipendenza e non
può essere costretto a mantenere gli impegni assunti durante le elezioni, né
può essere soggetto a sanzioni disciplinari per essersi discostato dalle
indicazioni e direttive fornite dal partito che l’ha candidato.
Al
più potrà venire in rilievo una sua responsabilità politica che si traduce, per
i cittadini, nella decisione di non votare di nuovo il parlamentare in scadenza
di mandato, e per i partiti nella scelta di ricandidarlo o meno alle successive
elezioni o comunque di non appoggiarlo politicamente.
Che
significato assume, ancora, la definizione “rappresenta la Nazione”?
Il
compito primario di ogni parlamentare è di lavorare per realizzare gli
interessi del popolo nel suo complesso, cioè della Nazione.
Ciò
non impedisce di prendere in considerazione i bisogni degli elettori della
circoscrizione (zona del territorio comprendente un certo numero di elettori
che elegge un determinato numero di parlamentari) nella quale sia stato eletto,
con l’unico limite di rendere compatibili questi interessi con quelli della
Nazione che devono essere sempre prioritari nelle scelte dei parlamentari.
Ho
cercato di redigere queste brevi note esplicative allo scopo di proporre,
qualche spunto di riflessione da inserire nel quadro generale oggi molto di
moda di vera e propria “rozzezza istituzionale”.
Così
come meriterebbero attenta riflessione istituti come quello dell’immunità
parlamentare (sorto per consentire ai parlamentari socialisti e comunisti di
entrare all’interno delle fabbriche poste “in serrata” dai padroni) e quello
del finanziamento pubblico ai partiti il cui scopo originario sarebbe stato
quello di combattere la corruzione e di consentire a tutti di esercitare
l’attività politica.
Sicuramente al riguardo del finanziamento
pubblico della politica sono avvenute degenerazioni gravissime ma, proprio per
questo motivo, è necessario tornare alle motivazioni di fondo dell’origine di
quel provvedimento.
Il
trasformismo ha rappresentato anche in certe fasi particolari la possibilità di
imprimere una “svolta” nell’attività politica, pensiamo al “discorso di
Stradella” del 1876 (personalmente, però faccio risalire il fenomeno al
“connubio” tra Cavour e Rattazzi, ancora nel Parlamento Subalpino).
Nel
caso dell’incontro tra PD, LeU e M5S c’è da mettere in conto e da non
dimenticare come si sia sbarrata la strada a una possibile assunzione di potere
quasi incontrastato da parte dell’estrema destra rappresentata da una Lega
xenofoba e da FdI in cui si esprimono sempre più “spiriti” di stampo
prettamente nostalgico del fascismo.
Preso
atto di ciò rimane l’interrogativo: riduzione del numero dei parlamentari (con
l’emergere da più parti di un ritorno di tensione verso il maggioritario ben
oltre lo stesso tentativo referendario promosso dalla Lega) e abolizione del
vincolo di mandato ci conducono, come hanno già fatto osservare in queste ore
autorevoli analisti e commentatori, verso un’ulteriore mortificazione nel ruolo
del Parlamento.
Tornando
al vincolo di mandato è bene rammentare alcuni precedenti storici: avrebbero
dovuto dimettersi dal Parlamento i deputati che, nel gennaio del 1946 formarono
il PSLI uscendo dallo PSIUP, oppure nel gennaio 1964 quelli che uscirono dal
PSI per formare di nuovo lo PSIUP e, ancora, quelli del “Manifesto” radiati dal
PCI nel 1969 e quelli di Rifondazione Comunista, formatasi al momento del
congresso di Rimini considerato che, legalmente, l’erede diretto del PCI era il
PDS?
Come
si vede quando si riflette sulle forme della democrazia e sulla legalità
istituzionale gli interrogativi sorgono e non sono risolvibili semplicemente
attraverso il taglio di nodi (apparentemente) gordiani.
Altrimenti
la democrazia soffre, eccome se soffre.