di
Franco Astengo
“È tutta colpa della luna, scriveva nell’Otello William Shakespeare, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire
tutti”. Dev’essere successo questo alle nostre istituzioni, dev’essere
l’effetto di un evento astrale, che spinge giù la luna. Giacché la democrazia
italiana è lunatica come un adolescente implume, come una ballerina di
flamenco. Da qui la sua cifra distintiva: gli sbalzi d’umore, l’incoerenza, le
scelte capricciose. E un’onda emotiva perennemente inquieta che sommerge la
ragione”.
Questo
l’incipit di “Demofollia” l’ultimo
lavoro di Michele Ainis nel quale il costituzionalista affronta i temi della
Costituzione sotto assedio, dei sistemi elettorali rinnovati di continuo, di
sentenze che coprono le lacune legislative.
L’occasione
di lettura del testo di Ainis è quindi buona per affrontare il tema della
realtà delle nostre istituzioni in un contesto di riflessione più generale.
Andando
per ordine questa una possibile chiave d’interpretazione della complicata
situazione in atto. Nell’evidenza della crisi dei sistemi politici liberali e
in attesa di un futuro ancora imperscrutabile che si vorrebbe fondato sulla
tecnologia e all’interno di questa vera e propria “demo follia” sta sorgendo
addirittura una nuova categoria: quella delle democrazie cosiddette
“illiberali”. Ciò sta avvenendo all’interno di un quadro fenomeno che abbiamo
definito più volte di “arretramento storico”: in una fase nella quale si è innescato un processo troppo rapido di cessione di sovranità
da parte dello “stato nazione” nel quadro del fenomeno che è stato definito
della globalizzazione. Questi fenomeni ci hanno
richiamato alla necessità di ripensare il nostro modo tradizionale di intendere
l’azione politica.
I
processi di modernizzazione sociale e culturale e di differenziazione
strutturale hanno imposto una più chiara distinzione tra il potere politico e
le altre forme di potere che oggi si vanno esprimendo in particolare nel rapporto
tra politica e tecnica e tra politica ed economia.
In
buona sostanza, per quanto non in maniera centrale ed esclusiva, gli
interrogativi classici su chi detiene il potere e su come lo si esercita
(interrogativi posti anche in maniera normativa: chi dovrebbe avere il potere e
come dovrebbe esercitarlo?) informano ancora l'analisi contemporanea della
politica e anche i teorici della “democrazia illiberali” o del “neo-sovranismo”
saranno chiamati a farvi i conti. Il potere sembra fenomeno più pervasivo di
altri, più generale e più generalizzato, più diffuso e meglio caratterizzante
di diverse attività. Il tema centrale sotto quest’aspetto rimane quello dello Stato
ed a questo proposito va intesa la crisi della democrazia liberale. Una crisi,
quella della cosiddetta democrazia liberale, che principia (dopo la caduta in
Europa dei sistemi a “rivoluzione avvenuta”) da un lato con l'innegabile
manifestarsi dell'autonomia del politico, dall'altro con il diffondersi di
analisi di antropologia politica su società definibili come Senza Stato, ma
niente affatto senza politica. Da qui la nuova e, in un certo senso, definitiva
definizione di “politica” alla quale pervenne dopo un'ampia ricognizione
storico-critica, David Easton “un'attività di assegnazione imperativa di valori
per una società”.
In
questo senso qualsiasi sistema politico ha tre componenti: la comunità
politica, il regime e le autorità. Oggi si tende a confondere queste tre
componenti costruendo veri e propri “mostri” sia sul piano istituzionale, sia
sul piano giuridico-amministrativo. La confusione tra Governo e Parlamento
rappresenta proprio un punto fondamentale di questa “costruzione di mostri”. Il
Parlamento è stato sicuramente il luogo privilegiato dai partiti per garantire
rappresentanza agli elettori, acquisire visibilità per le loro politiche e
ottenere cariche per i loro esponenti. Oggi questa funzione del Parlamento è
messa fortemente in discussione nell’idea di ridurne il ruolo a semplice posto
di ratifica del dettato governativo e di rappresentanza corporativa. Naturalmente,
ci sono differenze, in termini di quantità e di qualità, in quella che è stata
la centralità dei parlamenti così come sono differenti le modalità di
spostamento e di vero e proprio annullamento nella presenza dei consessi
elettivi all’interno dei diversi sistemi politici.
Proprio
a partire dal controllo sull'esecutivo è facile capire quanto importante sia
stato il compito dei parlamenti, nella costruzione dei regimi democratici.
Più
impegnativa si presenta una ricognizione della loro evoluzione, per la
molteplicità dei parlamenti attualmente esistenti, per la varietà dei loro
compiti, per la diversità degli stessi sistemi politici nei quali si collocano
e, anche, per una qualche confusione analitica e interpretativa perpetuata dai
politici e perfino dagli studiosi.
Ci
si aspetta, naturalmente, che nei regimi democratici il tratto strutturale
dominante dei parlamenti sia il loro carattere elettivo.
Qualunque
attività siano destinati a svolgere i parlamenti democratici debbono essere e
continuare a essere, anzitutto e soprattutto, assemblee elettive in grado di
rivendicare ed esercitare la rappresentanza politica di una società, dei suoi interessi,
delle sue preferenze: ed è questo il punto oggi messo in discussione
dall’evoluzione dei sistemi politici nel senso dell’esaustività dell’azione
politica all’interno della pratica della governabilità e l’ipotesi di
trasferimento alla tecnologia dell’esercizio dell’azione politica e
dell’espressione del consenso. Con queste considerazioni di carattere generale
ci inoltriamo nel percorso dell'analisi funzionale.
Infatti,
per sostenere in maniera convincente che un parlamento funziona bene oppure
male, è forte oppure debole, mantiene alto il suo potere politico oppure
tramonta, bisogna stabilire con precisione quali compiti gli siano
effettivamente affidati, quali le modalità con cui debba svolgerli, in quali
tempi e se e come si dimostra all'altezza delle regole e delle aspettative.
Un
punto deve essere ribadito con chiarezza: I parlamenti non debbono soltanto
legiferare. È opportuno partire da quest’affermazione poiché un’identificazione
totale fra parlamenti e funzione legislativa è tanto fuorviante quanto
l'identificazione totale fra governi e funzione esecutiva.
Abitualmente
si tracciava una linea distintiva abbastanza precisa tra parlamenti di
“parlamentari” e parlamenti “di partiti”, fra parlamenti nei quali gli eletti
godevano di grande autonomia e libertà di voto (nel “caso italiano” il
riferimento è all’articolo 67 della Costituzione del resto votato da un’Assemblea
come la Costituente dominata dalla presenza dei grandi partiti di massa) e
parlamenti nei quali gli eletti avevano poca autonomia ed erano sottoposti ad
una rigida disciplina di voto.
Alla
tesi del declino di un parlamento che dovrebbe essere facitore di leggi e dissipatore
di governi, va esaltata quella delle funzioni del parlamento sul terreno della
capacità di rappresentanza e, insieme, di decisione.
In
conclusione si possono sviluppare alcune annotazioni riguardanti la situazione
politica italiana nella quale la spinta verso ipotesi di “democrazia illiberale
di stampo sovranista” e quindi di “Demofollia” per dirla con Ainis appaiono
molto forti.
Deve
essere ricordato che la funzione costituzionale assegnata al Parlamento dall’Assemblea
Costituente è rimasta inalterata sul piano costituzionale.
Il
punto di vero deperimento, però, nel ruolo dell’istituzione parlamentare è
stato riscontrato, almeno dal punto di vista di chi tende a privilegiare la
funzione di rappresentanza, nella capacità di espressione del dibattito politico
in relazione alle diverse “sensibilità” (per usare un termine “togliattiano”)
culturali, politiche, sociali presenti nella società.
Sia
l’eco del principio della tripartizione dei poteri, interpretato in modo forse
eccessivamente meccanico come l’equivalenza tra Parlamento e potere
legislativo, sia l’architettura del testo costituzionale italiano che dedica
grande attenzione alla formazione delle leggi (com’è definita la sezione II del
titolo I della seconda parte), sia, infine, l’evoluzione specifica del nostro
sistema istituzionale nell’arco della seconda metà del ’900 che aveva visto le
due Camere (e le loro commissioni) essere sedi effettive dell’elaborazione di
gran parte dell’attività legislativa, hanno a lungo spinto per un’identificazione
pressoché completa delle funzioni parlamentari con la funzione legislativa.
Il
Parlamento italiano, però, come del resto tutti i Parlamenti degli Stati
Democratici, resta titolare anche di altre funzioni, alcune delle quali
altrettanto importanti rispetto a quella legislativa.
Prima
fra queste la funzione rappresentativa: a ben vedere, infatti, quella
rappresentativa non è “una delle funzioni” ma la natura stessa che
contraddistingue il Parlamento: tant’è che in sua assenza lo stesso Parlamento
non potrebbe definirsi tale ed è proprio in nome della rappresentanza, di
questa sua natura rappresentativa, che è chiamato a svolgere tutte le funzioni
che gli sono attribuite. Riassumendo possiamo così reinterpretare le cinque
funzioni fondamentali del Parlamento:
1.La
funzione d’indirizzo politico, inteso come determinazione dei grandi obiettivi
della politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in
specificazione dell’attualizzazione e dell’opposizione - dai diversi punti di
vista - del programma di governo;
2.La
funzione legislativa, comprensiva dei procedimenti legislativi cosiddetti
“duali” che richiedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di
altri soggetti dotati di potestà normativa;
3.La
funzione di controllo, definita come una verifica dell’attività di un soggetto
politico in grado di attivare una possibile attività sanzionatoria;
4.La
funzione di garanzia costituzionale, da interpretarsi come concorso delle
Camere alla salvaguardia della legittimità costituzionale nella vita politica
del Paese;
5.La
funzione di coordinamento delle Autonomie, sempre più complessa da attuare in
un sistema che, nelle sedi di raccordo esistenti sia a livello internazionale
che infra-nazionale tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi.
In
conclusione si può affermare che è chiamata in causa l’attività del Parlamento
come organo dello Stato-ordinamento: cioè la Repubblica e di conseguenza la
priorità dell’assolvimento del compito della più elevata capacità
rappresentativa della molteplicità di articolazioni politiche, sociali,
culturali, esistenti nella realtà nazionale.
Al
fine di realizzare al meglio questo compito entra in scena, quale fattore
fondamentale, la legge elettorale: un tema di grande delicatezza al quale va
prestata attenzione in un’ottica “sistemica” e non certo d’interesse
contingente di questa o quell’altra forza politica. Ed
è questa l’ultima annotazione che può essere svolta in funzione di ripresa di
un discorso di piena democrazia costituzionale che oggi nel nostro Paese ma non
solo sta attraversando un momento di vera difficoltà lucidamente individuata
nel testo da cui sono state prese le mosse per questo intervento.