di Franco Astengo
È esplosa
a livello planetario la necessità di rileggere la realtà delle fratture sociali
che attraversano nel XXI secolo questa modernità.
Emerge un’urgente necessità di
tradurre il senso delle grandi mobilitazioni giovanili sul tema dei cambiamenti
climatici e del tema ambientale: mobilitazioni che hanno coinvolto tutto il
mondo arrivando fino all’assise globale dell’assemblea dell’ONU. Sembra salire
come un moto dal profondo dell’animo del Pianeta. Un moto che pare coinvolgere
a tutti i livelli soprattutto le giovani generazioni e pone grandi
interrogativi alla politica.
Inoltre la politica si trova di
fronte all’esigenza di rispondere alla molteplicità di problemi che presenta il
flusso migratorio, l’altra grande questione nell’emergenza dell’oggi. L’imponenza
dei flussi migratori pare proprio rappresentare ormai un momento di vero e
proprio sconvolgimento globale che pone, prima di tutto, a dura prova gli
scontati equilibri presenti in quelle che continuiamo a considerare società
occidentali avanzate.
Due domande, ambiente e migrazioni,
che appaiono ancora inevase nella sostanza di un crescendo di ritardi,
conservatorismi, chiusure, facilonerie demagogiche, rilancio delle peggiori
opzioni che hanno caratterizzato la storia recente. L’aggiornamento della ormai
datata “teoria delle fratture” appare come indifferibile al fine di ricostruire
un’adeguata teoria politica destinata alla lotta contro l’eterna centralità:
quello dello sfruttamento insieme dell’uomo sull’uomo e del possesso abusivo
delle risorse.
Si pongono enormi questioni di
organizzazione sociale: serve una nuova strutturazione rivolta prima di tutto a
riconoscere la realtà d’inedite contraddizioni e a porsi sul terreno, scosceso
e infido, di un’adeguata dimensione dei processi d’integrazione. Nel
ridottissimo spazio del sistema politico italiano si sono presentate, in questi
giorni, due proposte rivolte appunto al tentativo di affrontare, sia pure in
una parzialissima dimensione, il complesso scenario che fin qui si è cercato di
descrivere.
Le due proposte riguardano l’una la
concessione della cittadinanza attraverso l’utilizzo del parametro di
valutazione definito dello “ius culturae” e l’altra l’estensione del diritto di
voto ai sedicenni. Della seconda proposta si è fatto portavoce l’ex-presidente
del consiglio Enrico Letta.
Sul punto dell’estensione
del diritto di voto ai sedicenni è il caso di ricordare come il passaggio dai
21 ai 18 anni avvenne nel 1975 (in Italia, naturalmente) e poteva essere
considerato come un frutto del ’68: in questo modo si richiama anche la
necessità di lavorare a una comparazione tra la natura dei movimenti nell’arco
di un cinquantennio e sui loro effetti politici.
“Ius culturae” ed estensione del
diritto di voto possono far parte di un pacchetto rivolto all’integrazione
assieme sociale e politica ed è importante rendersene conto in particolare in
una fase così complessa e contraddittoria.
In questa fase è bene ricordarlo
emergono fortissime spinte rivolte per lo più verso una compressione degli
spazi di esercizio della democrazia, di riduzione nel rapporto
politica/società, nella visione dell’esercizio politico interna a un pensiero
prevalentemente di segno schmittiano.
Una politica intesa esclusivamente e
pericolosamente come “segno del comando” e strumento di sopraffazione “del
nemico”.
Sono questi punti di riflessione di
grandissima portata che richiedono per essere affrontati un grande sforzo sul
piano culturale e politico.
La problematica di fondo riguarda
naturalmente il rinnovo nella strutturazione del rapporto tra organizzazione
sociale e organizzazione politica. Un argomento quello del rapporto tra società
e politica strettamente collegato anche e soprattutto con quello
dell’innovazione tecnologica essenzialmente al riguardo del rapporto con il
mutamento di modi e tempi nell’organizzazione del lavoro e nella velocità e
nelle possibilità di estensione di massa di utilizzo degli strumenti di
comunicazione. Per ragioni di insufficienti capacità sul piano culturale non
entro nel merito di questi pur decisivi aspetti. Mi limito a segnalare come si
ripresenti per intero e non possa essere obliato il tema dell’aggregazione, del
radicamento sociale, della capacità di espressione e di mediazione dei
movimenti politici, di compiti e ruoli delle istituzioni rappresentative.
Nel corso del secolo scorso sono
falliti i grandi filoni politici che ne avevano caratterizzato lo svolgimento
nella sua fase centrale e adesso, nell’avvio del XXI secolo appaiono in crisi
anche le forme più “moderate” di quello che era stato lo sviluppo politico del
‘900: socialdemocrazia e liberalismo.
Nel ritorno in scena di forti
tensioni estremiste e di chiusure forse impreviste nel quadro delle relazioni
internazionali il ‘900 sembra allora ancora vivo e difficile da superare. Nell’arresto
del processo di globalizzazione finanziaria che aveva caratterizzato il primo
decennio di questa centuria e l’emergere di contraddizioni legate alla crescita
abnorme delle disuguaglianze sul piano planetario non è sufficiente, come in
apparenza potrebbe sembrare, una semplice irruzione generazionale all’interno
della complessità.
È banale scriverlo ma forse vale la
pena ripeterlo: serve una capacità d’interpretazione e di proposta che ci dica
di più e meglio come progettare il futuro mantenendo un punto fermo: la
politica e la sua organizzazione non possono abdicare dal compito di costituire
la più nobile delle attività umane.