di Franco Astengo
Notizie dal Cile: “Le proteste erano iniziate a causa di un aumento
del costo dei biglietti dei trasporti pubblici ma, nonostante il ritiro del
provvedimento da parte del governo di Sebastián Piñera, la protesta non si è fermata e anzi si è
allargata nonostante il coprifuoco decretato nel fine settimana. La gente è obbligata a restare
in casa e non potrà uscire dalle 9 di sera alle 7 del mattino. Chi sarà
costretto a farlo dovrà avere un’autorizzazione speciale. Le strade e le piazze
della capitale sono già presidiate dai carri armati e dai blindati dei militari
che controllano il rispetto della misura.”.
In
Cile la ribellione di un popolo impoverito sta precipitando dentro a una
repressione violenta che, per la prima volta dalla fine della dittatura di
Pinochet, vede protagonista l’esercito tornato sulle strade e sulle piazze per
affermare il potere di chi intende prima di tutto sconfiggere la democrazia.
Per
noi che abbiamo vissuto la tragica stagione del ’73 queste immagini ci fanno
tornare pericolosamente all’indietro: per il mondo si tratta di un segnale,
l’ennesimo, di grande pericolo per la libertà di tutti.
Il
Sud America sta affondando, in alcune delle sue parti decisive, nel grande mare
della corruzione liberista in un delirio di insopportabile ingiustizia e
disuguaglianza sociale.
In
realtà il ripresentarsi sulla scena del dispotismo esercitato da una destra
sempre più estrema si accompagna al ritorno della guerra come rischio globale,
al riperpetuarsi dei sovranismi, alla crescita delle sollevazioni delle
“piccole patrie”: emerge un pericoloso “disordine” geo politico che si sta
realizzando in una fase che sembra quella conclusiva di quel ciclo che, dagli
anni ’90 del XX secolo, avevamo definito come “globalizzazione”.
Probabilmente
all’interno di questa crisi è stata trascurata l’analisi di alcuni elementi:
primo fra tutti quello riguardanti le difficoltà incombenti sulle democrazie
liberali in coincidenza con la caduta, in Europa, dei regimi a cosiddetta
“rivoluzione avvenuta”; in secondo luogo lo smarrimento di una soggettività
internazionalista posta sul piano della difesa della pace e dei diritti dei
popoli; si è pensato a un processo troppo rapido di cessione di sovranità da
parte dello “stato nazione”; ancora è stata sottovalutata la ripresa di una
logica di tipo colonialista esercitata soprattutto verso l’Africa, le cui
condizioni demografiche, di mancato sviluppo energetico e tecnologico, di
conflitto endemico, hanno influito fortemente sullo stato globale del pianeta.
Anche
il tema ambientale, oggi agitato con grande forza, deve essere inquadrato non
come nuova contraddizione esaustivamente globale ma all’interno di un più
complessivo tema politico, del quale si è mancato nel tracciare alcune possibili
coordinate di riferimento.
Quale
segnale ci arriva, allora, dal ritorno in piazza dei cileni e dal fatto che la
risposta del governo arriva attraverso i carri armati?
Il
Cile appare, infatti, come punto emblematico di quel discorso sull’arretramento
storico e sull’impoverimento generale che sembra caratterizzare - appunto - la
fine del ciclo della globalizzazione.
Si sta definendo un quadro geo politico
caratterizzato da scenari inediti sul piano delle intese a livello planetario:
interi continenti sono staccati da una possibilità di sviluppo delle forze
produttive; siamo a una sindrome isolazionista da parte di grandi potenze
all’interno delle quali si avviluppa la spirale del corporativismo mentre
crescono anche nel “primo mondo” molteplici forme di povertà e di privazione
del futuro.
Sembra
chiudersi anche il cosiddetto “ciclo atlantico” che aveva caratterizzato la
lunga fase del post Seconda guerra mondiale che forse, anch’essa, si conclude
proprio adesso per dar vita a una fase di transizione imprevedibile nelle dinamiche
e, conseguentemente, negli esiti.