LETTURE
di
Gabriele Scaramuzza
Durs Grünbein a Milano
È
ancora Rosalba Maletta - come già ha fatto per Walter Benjamin - a guidarci in
compagnia nella recente visita Milano di Durs Grünbein: “Un poeta che, come
nella migliore tradizione della poesia europea, da Eliot a Valéry, da Rilke a
Pound, vede l’espressione poetica come esercizio di pensiero, vero inscindibile
legame, per riprendere la definizione valeriana, di suono e senso” - così
scrive Elio Franzini nella sua nota introduttiva a Il bosco bianco. Coinvolgono
il lettore le originali notazioni di Grünbein sulla Stazione Centrale, sul
Duomo (il “bosco bianco” cui è dedicata appunto la poesia Der weisse Wald,
scritta per l’occasione), sulla Galleria; con tutta la vita che fa loro da
contorno, nello spazio e nel tempo. Le parole, i reperti, le immagini di Grünbein
non si arrestano infatti al presente: recano traccia del passato, proiettano la
Milano di oggi verso una Milano che non è più, e verso una Milano che temiamo
sarà. Si mescolano cartoline di oggi e di ieri raccolte nell’archivio del
poeta; la menzione di Stendhal si accompagna a quella di Silone, di Gadda, di
Milo De Angelis, di Alda Merini, di Anna Maria Carpi. Sono presenti film di
Antonioni (Cronaca di un amore, La notte) e di Pasolini (Teorema);
gli echi riflessi su Milano di eventi presenti e trascorsi: la nascita a Milano
del fascismo, la caduta del Muro. Eventi intrecciati si riflettono l’uno
sull’altro nel “Discorso di Milano” pronunciato da Grünbein nell’Aula Magna
dell’Università degli Studi, in occasione del conferimento della pergamena
dalla Città di Milano, il 24 ottobre 2019, nel trentennale appunto della caduta
il Muro di Berlino.
Ma
è Rosalba Maletta, e con lei siamo noi che seguiamo Grünbein, con gli occhi
pieni del nostro oggi. Qualcosa torna qui di A Milano con Benjamin. Soglie
ipermoderne tra flânerie e time lapse (1912-2015), Mimesis, Milano 2015;
una fotografia di Benjamin è presente non a caso in Il bosco bianco. Riprendendo
parole della mia recensione di A Milano con Benjamin (dicembre del 2015
su “Odissea”), il testo vaga con lo sguardo vigile, e con nessun cedimento a
toni celebrativi o nostalgici, tra luoghi diversi che sono anche tempi diversi.
I tempi talora si distendono nella lentezza del nostro svagato passeggiare,
talaltra si contraggono in sguardi d’attesa, si proiettano ansiosi nel domani,
fino al nostro oggi. Questa doppia prospettiva afferra alla gola: è la realtà del
nostro vagare tra il passato ancora bruciante che “dice”, e l’attualità dei
nostri passi convulsi. Questa oscillazione del tempo è il nostro presente. La
nostra vita non si svolge in un tempo uniforme e continuo, vive di questi
strappi, di queste proiezioni; e qualcosa permane.
Tanta
storia scorre nei versi di Durs Grünbein, la prima poesia del libro si intitola
Il 23 agosto 1939, il giorno funesto del patto Ribbentrop-Molotov. Tutte
le altre poesie, inedite anche in tedesco e per la prima volta tradotte in
italiano da Maletta, contengono una straordinaria ricchezza di temi e di
riferimenti, del tutto coinvolgenti per noi lettori; e che testimoniano di un
impegno etico che non si può che condividere. Un panorama attento e completo di
esse, e un penetrante commento, ci sono offerti da Maletta nella sua ricca
Postfazione: Poesia e discorso civile. Leggere la contemporaneità con Durs
Grünbein; sua è anche un’utile e snella Presentazione. Tra le mie scarse
letture su questo poeta segnalo insieme la Prefazione di Anna Maria Carpi (la
sua maggior traduttrice in italiano) a: Durs Grünbein, A metà partita.
Poesie 1988-1999 (Einaudi 1999). E anche la sua breve Postfazione a un
altro testo che ha curato, di Durs Grünbein, Della neve, ovvero Cartesio in Germania
(Einaudi 2005).
È
superfluo qui ripercorrere il testo che presentiamo: lo ha già fatto
magistralmente, con competenza e sensibilità per me inarrivabili, Rosalba Maletta.
Queste brevi righe valgano come invito alla lettura del libro, certo, senza
tuttavia tralasciare quanto in esso ha scritto. Voglio piuttosto concludere con
parole dello stesso Grünbein in “Postilla su me stesso”, l’ultimo dei saggi pubblicati
in I bar di Atlantide (trad. di Giulia Cantarutti, Einaudi 2018): “Nella
strada della poesia moderna io sono entrato dalla sua fine estrema, là dove
lasciava il posto alle disadorne e tristi zone periferiche, presso i capolinea
dei tram, gli ingressi in autostrada. Ciò che vidi per la prima volta furono
muri grigi, spazi vuoti tra case, fisse lungo la strada, terra squarciata e
rovesciata”. Inoltre: “scrivere poesie è innanzitutto un esercizio di radicale
autoesplorazione. È rivolto contro le generalizzazioni”, “educa colui nel quale
si desta a opporre permanente resistenza al fatalismo dei fatti”.
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