L’IMPORTANZA DI UNA DATA
di
Paolo Vincenti
Partigiani Sinti e Rom |
Il
25 Aprile
Non
c’è solo la pandemia che quest’anno impedisce le celebrazioni del 25 Aprile.
Certo, il covid ha dato una spallata, ma questa era già una festa sottotono.
Bastava guardare le immagini dei telegiornali negli anni scorsi, per rendersi
conto di quanto le celebrazioni del 25 Aprile fossero tiepide, a dir poco, in
tutta Italia. Mancava il pathos, quell’enfasi che è connaturata nella retorica
di certi avvenimenti importanti come questo. Si starà forse perdendo il senso
di una festa di popolo, che non è più così sentita come era in passato. Il
tempo fa questi scherzi, allontanando dalla memoria certi ricordi, gioiosi o
tragici, ne accorcia lo sguardo, ne fa assopire il sentimento. Un po’ in tutti
i nostri paesi e città la partecipazione al 25 Aprile è ormai debole, si vedono
alcune scene davvero tristi di amministratori locali intorno al monumento ai
caduti che parlano davanti a quattro, cinque ottantenni e due tre cani randagi.
Certo, la democrazia è un valore consolidato, si dirà, la libertà è data per
scontata da chi vi è abituato fin dalla nascita, non può concepire cosa
significhi la dittatura una generazione che non l’ha sperimentata sulla propria
pelle, che non ne ha saggiato il sapore d’amaro, di impotenza, smacco,
frustrazione (eppure dall’anno scorso, in seguito alla pandemia, qualcosa che è
molto vicino al clima che si respira in una dittatura è stato provato dal
nostro come da tutti i paesi democratici, anche se le misure di restrizione
delle libertà personali sono causate da motivi di carattere sanitario e non
certo dalla follia di un regime). Un rilassamento del senso civico, l’assenza
di una grammatica di valori condivisi nelle nuove generazioni, certamente,
forse una certa responsabilità ha anche la scuola perché degli insegnanti e
degli educatori dovrebbe essere il compito di tramandare la memoria, di
sensibilizzare i giovani.
Mi chiedevo, fino a due anni fa, se passando per
caso dalla piazza, i ragazzi, notando un piccolo assembramento di gente, non
chiedessero poi ai genitori che ci facessero il sindaco con la fascia tricolore
e i vigili urbani davanti al sacrario. Avranno ben sollevato lo sguardo per
vedere che quella dove stavano passando si chiama proprio Piazza
Libertà? Non si saranno incuriositi dalla presenza dei partigiani
con la bandiera? Chissà che cosa avranno risposto i loro genitori, sempre
che in quel momento non fossero attaccati al telefonino. Magari, come Cetto La
Qualunque, gli avranno detto: “come criterio di massima, come sistema di
riferimento, come atteggiamento preferenziale, tu fatti i cazzi tuoi!”. Grave cedimento all’oblio, resa alla
trascuratezza, all’indifferenza, è non commemorare le date e gli eventi
che hanno segnato il faticoso cammino della nostra nazione, della nascita di una
coscienza identitaria. “Nella svalutazione del passato è implicita una
giustificazione della nullità del presente”, diceva Gramsci. Anche se le nuove
generazioni sono lontane da quel ricordo, non meno importante è per loro
celebrarlo, anzi proprio dal connubio fra immaginazione e memoria il passato
acquista più valore, e la conquista della libertà diventa impresa epica, e può
continuare ad affascinare giovani e meno giovani. “La libertà”,
diceva Piero Calamandrei, “è come l’aria: ti accorgi quanto valga solo quando
ti manca”.