25 APRILE 2021
di
Roberto Bramani Araldi
Creazione di Giuseppe Denti
Per
un avvio di confronto
Sono
trascorsi ormai settantasei anni da quel memorabile 25 aprile 1945 allorché il
Comitato di Liberazione dell’Alta Italia - presieduto da Luigi Longo, Sandro
Pertini, Emilio Sereni e Leo Valiani - proclamò l’insurrezione generale di tutti
i territori ancora occupati dai nazifascisti, imponendo loro la resa ed
assumendo il potere prima dell’arrivo delle forze alleate: dopo pochi giorni,
entro il primo maggio, l’Italia Settentrionale fu liberata.
Con
un decreto legislativo dell’aprile 1946, su proposta del Presidente del
Consiglio Alcide De Gasperi, il 25 aprile del medesimo anno venne dichiarato
festa nazionale, proseguì ad essere festeggiato anche negli anni successivi, ma
è solo tre anni dopo, il 27 maggio 1949 con la legge 260, che la data divenne
stabilmente festa nazionale.
Quindi
oggi è giorno di festa. È giorno di festa affinché la memoria di quei giorni
che mutarono radicalmente la vita dei nostri nonni e padri non venga lasciata sopire,
non sopravvenga l’atteggiamento scontato di chi gode di buona salute e si
ritiene immune dalle malattie, senza comprendere che la buona salute abbisogna
di attenzioni continue per non cadere preda degli agguati che i nemici
dell’organismo sono sempre pronti a tendere.
Occorre
impedire che gli strati polverosi della lontananza temporale si depositino o,
peggio ancora, vadano a creare una coltre pesante per l’incuria che ci pervade.
Ma la giornata non può e non deve essere ridotta alla sola celebrazione, non
può essere vista solo come una ricorrenza, bensì deve diventare lo specchio
della nostra cultura che rimane decisamente antifascista.
Non
ci è consentito di trascurare il ricordo delle vittime che hanno costellato la
guerra di liberazione, pervasa da immani sacrifici non solo per coloro che, in
nome degli ideali di libertà, ebbero il coraggio d’impugnare le armi, ma anche
per la popolazione inerme, costretta a soffrire la fame e a subire le crudeltà
che fanno sempre da ancelle ad ogni guerra, soprattutto le civili, accompagnate
dal corollario degli odi personali.
Ma
cosa vuol dire essere oggi antifascista? Il termine fascismo non può essere
visto esclusivamente come espressione di un partito politico che dominò
l’Italia nel ventennio, deve essere più ampio, più connotato, occorre fare un
balzo culturale - e insisto su questo termine - perché è attraverso una
continua crescita in questa direzione che si possono sconfiggere i
totalitarismi delle convinzioni.
Dove
c’è sopruso, sopraffazione, intolleranza, volontà pervicace d’imporre il
proprio pensiero senza tenere in alcun conto quello altrui - Voltaire sosteneva
che si sarebbe sempre battuto affinché chiunque potesse esprimere la propria
opinione anche se contraria alla sua - lì c’è fascismo. Non si tratta
d’ideologia politica, bensì di civiltà.
E
così che bisogna essere partigiani oggi: battendosi quotidianamente al fine di
far prevalere i valori culturali, per far risorgere il sentimento di umanità,
troppo spesso soffocato dal mero interesse personale. La nostra è una società
che ha un disperato bisogno di tornare ad essere umanizzata per consentire di strapparla
al cinismo, alla freddezza, all’indifferenza. Settantasei anni or sono abbiamo
conquistato la libertà, abbiamo ricevuto in dono da loro, gli eroi della
Resistenza, la democrazia, ma questi inenarrabili beni diventano una scatola
vuota se non sono accompagnati dall’umanità. Occorre lottare contro i fascismi
delle idee, intendendo per tale ogni forma di segregazione, di odio verso i
diversi da noi. Non coloro che hanno un diverso colore della pelle oppure un
diverso taglio degli occhi, bensì il vicino di casa che ha cromosomi diversi
dai nostri e, se non la pensa come noi, è un reprobo, è degno di disprezzo, va
emarginato. Dobbiamo lottare per una società più giusta, ricominciando a dare
valore alle regole, a rispettarle per essere buoni cittadini e costituire,
attraverso l’esempio positivo, elementi culturali di riferimento. Non si tratta
d’ipotizzare il ritorno di un neoilluminismo italiano, non si tratta di una
corrente filosofica con connotazioni politiche di contrapposizione fra
spiritualismo cattolico e idealismo marxista, ma di superare un momento di
crisi di valori morali.
Dobbiamo
scegliere se sopravvivere o compiere scelte epocali, intendendo per tale la
scelta d’infrangere l’adagiarsi nel “tanto le cose vanno avanti sempre così,
nello stesso modo, ma chi me lo fa fare d’impegnami”, ma ripercorrere un
cammino di comunità, attraverso il quale compiere quella crescita che permette
di far evolvere in senso positivo l’universo sociale nel quale, volenti o
nolenti, siamo immersi.
Di
certo l’unione delle piccole positività che ognuno di noi, se non si racchiude
nel guscio di una noce duro da spezzare, apporterà, creerà nel tempo un tessuto
superindividuale che consentirà alla società di progredire non lasciando alcuno
spazio ai fascismi egoistici e meschini sopra citati.
È
il concetto stesso della crescita infinita: è sufficiente far ripartire l’arco
della parabola nella sua fase ascendente, di continuo, senza attendere di
arrivare all’apogeo, al culmine, perché da lì inizia l’inesorabile decadenza,
continuando ad essere orgogliosi della nostra italianità, del nostro enorme
patrimonio culturale e artistico.
Lasciatemi
citare le parole di Antonio Gramsci, sommamente profetiche: “Quando tutto
appare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando
dall’inizio”.
Ricominciamo
sì dall’inizio, dai valori del 25 Aprile che oggi celebriamo e inneggiamo,
senza faziosità, senza retorica, con spirito costruttivo: lanciamo i nostri
evviva alla Resistenza, alla Costituzione, alla Repubblica, all’Italia.