TEBE È MORTA
di Angelo Gaccione
Donatella Bisutti
I temi
che Donatella Bisutti ha messo al centro della riflessione nel suo recentissimo
poema “epico” dal titolo: Erano le ombre degli eroi (Passigli, pagg. 208
€ 19,50), “Odissea” li tratta quotidianamente da almeno vent’anni, tanti quanti
sono gli anni del giornale. Lo ha fatto di recente anche Giuseppe Langella con
il suo Pandemie e altre poesie civili pubblicato da Mursia nella Collana
Gli argani diretta da Guido Oldani. È un’ottima cosa perché l’attenzione al
reale si era completamente persa in poesia e l’insistenza di Oldani, almeno nel
giro dei suoi “terminali”, qualche buon frutto lo ha dato. Langella lo fa in
maniera esplicita e senza travestimenti scavando nella cronaca e mostrandocene
tutte le brutture, in modo che non si creino ambiguità e soprattutto alibi di
sorta. Il male e il baratro ce li sbatte sul grugno, come a dire: ecco la
fotografia della realtà, ora sta a voi decidere se volete ancora sopravvivere o
inabissarvi. Bisutti lo fa attraverso una ampiezza temporale enorme e in una
continua dialettica fra antichità (tempo degli dèi e degli eroi) e
contemporaneità (scomparsa del sacro e implosione definitiva di Tebe divenuta
una immensa discarica di rifiuti e dal loro peso seppellita nella frana
inevitabile che si è determinata). Come si vede siamo già alla conclusione, al
tramonto definitivo della civiltà europea, di quella Tebe che dalle sue origini
fino all’epoca della tecnologia pervertita e della scienza criminale, si era
eretta come un faro di sapere, scrittura, invenzione, creatività, diritto, ecc.
ecc. Non è che nella Tebe lontana fosse tutto così luminoso: dèi ed eroi erano
stati altrettanto spietati e crudeli. Miti ed eroi ce ne danno la conferma, tanto
che nel mio libretto di aforismi e riflessioni, Il lato estremo,
il 168° pensiero così recita: “Per la civiltà degli antichi la guerra
era il luogo della gloria; per noi moderni vale il discorso opposto: il luogo
della guerra è la barbarie”. La storia passata e presente si sarebbe
incaricata di dimostrarci che la guerra è stata la sua costante. La guerra come
costante della storia. Il poema di Bisutti chiude la sua parabola temporale a
ridosso della pandemia da Covid; se avesse aspettato ancora qualche anno molto
probabilmente si sarebbe chiuso con l’apocalisse nucleare della Tebe
contemporanea innescato dal conflitto Russia-Ucraina-Nato, invece che dai
rifiuti e dalle plastiche che già da tempo galleggiano in vastità oceaniche.
Rifiuti che non semplici buontemponi, ma menti di scienziati (menti malate ma
pur sempre dotte), vorrebbero sparare nello spazio per disfarsene.
Donatella Bisutti |
Bisutti al Festival internazionale
della Poesia a Genova
C’è di tutto
in questo poema, e non c’è argomento fra quelli più drammatici che non venga
messo in rilievo lavorato dalla lingua poetica di cui si serve. Si tratta di un
elenco lunghissimo che quotidianamente cade sotto i nostri occhi oramai
assuefatti alla coazione dei mezzi di comunicazione. Ma l’ammonimento che ci
viene attraverso l’espressività del poeta, la pregnanza della sua parola, la
densità umana del dettato, la responsabilità a cui siamo chiamati dalla
disposizione teatrale dei dialoghi con cui molti testi sono strutturati, il
continuo rimando al mito, alle figure più emblematiche ed allegoriche per
capire noi stessi e la storia di cui siamo stati figli, hanno uno spessore ben
diverso dalla caducità effimera dei giornali destinati come sono a durare lo
spazio di un mattino. Voglio chiudere questa nota riproducendo l’esteso Atto
XLVIII dal titolo “I rifiuti di Tebe” che occupa tre pagine, e che sintetizza
meglio di un intero saggio la deriva a cui siamo approdati. Tragicamente, ma
per fortuna la poesia torna a farsi di nuovo consapevole.
della Poesia a Genova