IN MORTE DI MORANDO MORANDINI
Ricordi per un amico
di Angelo Gaccione
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Morando Morandini (Foto: Fabiano Braccini - Odissea) |
“Ma tu, Morando, quanti anni hai?” gli
chiese Ugo Ronfani. Eravamo usciti dall’Osteria dell’Acquabella di via San
Rocco, nel quartiere di Porta Romana, dove eravamo andati a cenare. Eravamo
cinque in tutto: Morandini, Ronfani, Giuseppe Bonura, io e Francesco
Piscitello: una discreta colonna del giornale “Odissea” che veleggiava a gonfie
vele, e che in quel quartiere aveva la sua “Carboneria”. Ronfani abitava alla
Maggiolina, il quartiere dei giornalisti, e Morandini stava ancora in piazzale
Biancamano al numero 1 e li stavamo accompagnando entrambi. Bonura era
autonomo, aveva la macchina e poteva agilmente rientrare in via Delle Camelie,
un quartiere periferico dove si è sempre sentito in esilio: basta leggere con
quanta ironia ne scrive in quel fortunato libro che è stato “Milano. La città narrata”, che avevo
curato alcuni anni prima. Anche Morandini aveva scritto per quel libro ed aveva
raccontato i suoi spostamenti nelle varie zone della città, a partire dal 1951
dopo il matrimonio. Ma poi era rimasto in via Tasso per trent’anni, come
ricorda nel libro, una via blasonata in un quartiere alto-borghese. Ironia
della sorte, qualche anno dopo quella cena Morandini verrà ad abitare proprio a
ridosso delle mura spagnole, a due passi dalla Porta e a due passi
dall’Osteria. La risposta di Morandini era stata spiazzante e ci aveva anche
divertiti per la laconicità: “Non ne ho
più -disse- mi godo i tempi
supplementari.” Io sapevo che era del 1924 ed aveva già allora una bella
età; ma io ho sempre considerato l’intelligenza e la sensibilità dei miei amici
postuma e giovanilissima, e dunque
separata dal fardello che il tempo accumula sulle loro spalle. Per me amici
come il poeta e studioso d’arte Arturo Schwarz, il filosofo Fulvio Papi, il
critico letterario Gian Carlo Ferretti, per fare qualche nome, sono ora così
giovani nelle idee e nel lavoro che continuano a produrre, più di quando
avevano vent’anni, e dunque non riesco ad entrare nell’idea che possano
invecchiare. Il tempo li può abbattere, come ci abbatte tutti, ma invecchiare
proprio no. Forse Morandini, nella sua saggezza, voleva dirci che era preparato
al peggio e che non è possibile farsi troppe illusioni davanti alla minaccia
delle Parche; dunque accogliere il tempo residuo con distaccato scetticismo e
una dose di sana ironia. Preparando anche qualche contromisura: perché come
ognuno di noi temeva l’imponderabile, e non avrebbe accettato, se gli fosse
accaduto, di sopportare più del necessario. Lo so per certo perché un paio di
anni fa mi consegnò una specie di testamento biologico perché lo conservassi, e
che, mi disse, aveva dato anche ai suoi figli. Ha continuato a lavorare,
Morando, con la stessa lena e senza risparmiarsi, ed ha continuato ad andare al
cinema per le sue puntuali note critiche: a volte vedeva tre film in una sola
giornata, e poi batteva con la sua macchina da scrivere dai nastri consumati.
Dove diavolo riuscisse ancora a trovarli era un mistero. Per tutti i 10 anni di
“Odissea” in edizione cartacea, ha battuto i testi della sua Rubrica con quei
nastri. A volte le parole erano sbiadite e si faceva fatica; ero sempre io che
li trasferivo al computer, ed ero sempre io che andavo da lui in via Ripamonti
se qualche passaggio risultava poco chiaro. Abitavamo vicini e per me era una
semplice passeggiata. Ha continuato a lavorare senza risparmio e ha continuato
a fumare senza risparmio. Il suo studio galleggiava di fumo e quando ne uscivi
ne eri impregnato in ogni anfratto. Ricordo quando nel 2011 pubblicammo nelle
edizioni della Piccola Biblioteca di Odissea il suo libretto antiberlusconiano:
“Litania per il signor B.”; arrivato
a casa, mia moglie completamente intollerante all’odore del fumo, prese la
busta con il dattiloscritto che aveva cosparso tutta la casa con il suo acre
odore di tabacco e lo appese fuori dalla finestra. Ho sempre pensato,
guardandolo fumare, che fosse dotato di una fibra invidiabile e che se avesse
smesso, avrebbe superato i cent’anni di vita. La sua è stata davvero “una vita
al cinema”; ha vissuto parte al buio (il buio della sala cinematografica) e
parte “immobile” (seduto alla sua macchina per scrivere). Ma le sue idee
immobili non lo erano, perché Morandini non era un semplice recensore di film,
era un critico nel senso pieno della parola, cioè uno che sta da una parte e sa
bene che ogni prodotto estetico (un film in modo particolare), vive dentro un
contesto storico, sociale, politico, economico, di costume, e dunque non va mai
isolato da quel contesto, pena l’incomprensibilità, l’inutilità della tua
lettura, il servilismo. Questa consapevolezza Morandini ce l’ha chiarissima,
come documenta in quel magnifico libro che è “Non sono che un critico” (e dove Morandini c’è tutto intero: come
intellettuale e come uomo), e senza mezzi termini annota: “ Nello scrivere su un giornale mettiti dalla
parte dei poveri, non dei ricchi e dei potenti”. Con la stessa
determinazione aveva rintuzzato quella fallace visione che vuole un’arte priva
di idee e scrive: “È vero:
da Henry James in poi è considerato
volgare per un narratore avere -
abbassarsi ad avere – delle idee. E allora? Anche questa è un’idea, e da snob.
Bisogna cominciare a parlare della volgarità degli snob”. È una vera e
propria miniera di concetti e di intuizioni profonde quel libro, e bisogna
tenerlo a portata di mano. Per Morando la critica è anche un’opera di
resistenza all’establishment, all’arte-industria oggi dominante: “(…) Per il critico, se ha la schiena dritta,
vengono i rari giorni della rivalsa, effimeri deliri di onnipotenza. Mentre
mette fine alla stroncatura di una bufala ad alto costo, gli viene in mente il
produttore e pensa: maneggia miliardi, ha la villa al mare e lo yacht, si
sposta da un continente all’altro, riceve attrici famose e divette formose
pronte al suo squillo, ma contro la recensione, contro la macchina da scrivere
o il Modem di qualcuno come me, a magro stipendio fisso, non può fare niente”.
Perché Morandini era rimasto quel che era sempre stato “un liberalsociaslista
con un retroterra cristiano, un fondo di scetticismo critico e risvolti
anarchici-libertari” come scrive di sé, ed era per questo che sulle pagine di
“Odissea” si sentiva a casa. Ora se n’è andato e la città è più vuota; è più
vuoto il cinema ed è più vuota la cultura. È più vuoto anche un modo d’essere della cultura: serio,
rigoroso, coerente, lontano dai divismi e dalle mode effimere. Se n’è andato
prima di potergli fare una sorpresa che avrebbe di certo gradito. Avrei voluto
portargli una copia del numero monografico della rivista “Capoverso” dedicato
ai quarant’anni della scomparsa di Pasolini. Un fastidioso contrattempo ne ha
tardato l’uscita e sarà pronta per i primi di Novembre. Vi avrebbe trovato, fra
le tante, la foto di un incontro al Circolo Turati di Milano in via Brera nel
novembre del 1972. In quell’infuocata serata si parlava di libertà
d’espressione, di pornografia e di censura cinematografica; la pietra dello
scandalo era, ancora una volta, il regista bolognese. Al tavolo assieme a
Pasolini ci sono il poeta Giovanni Raboni, il critico Gian Carlo Ferretti e
Morandini. A Ferretti e alla vedova di Raboni (la poetessa Patrizia Valduga)
avevo mandato in anteprima quella preziosa foto, a Morando volevo portare la
rivista di persona. Le Parche sono arrivate prima.
Piccolo Album Morandiniano
Proponiamo ai
lettori di “Odissea” una serie di foto che ritraggono Morando Morandini.
Quelle nel suo
studio sono state scattate dal fotografo di “Odissea” Fabiano Braccini il 27
Giugno 2014 e fanno parte di un gruppo molto più nutrito, conservate
nell’archivio del giornale. Le altre portano nella didascalia, data e
indicazioni di chi le ha eseguite. Quella scattata nella casa di don Luigi
Pozzoli (anch’egli collaboratore di “Odissea” fino alla morte), assieme ad
altre sono state pubblicate in appendice al volume di Giuseppe Bonura: “Satyricon” (Ed. Odissea 2011). La foto è
stata eseguita la sera dell’8 Giugno 2007 dalla nipote di don Luigi, Elena
Zappa. Quella sui gradini del monumento a Pertini a Milano, il 25 Ottobre del
2014, per festeggiare il 1° anniversario in Rete del giornale, è stata scattata
da Livia Corona (altra fotografa e collaboratrice del giornale). Infine quella
con Pasolini, è stata scattata la sera del 10 Novembre 1972 al Circolo Turati
di Milano, da Letizia Battaglia ed è stata pubblicata nel numero monografico
della rivista “Capoverso” (2015) in occasione del 40° della morte di Pasolini
(Ed. Orizzonti Meridionali) in uscita.
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Foto 2
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Foto 3
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Foto 4
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Morandini alle sue spalle Gaccione |
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Gaccione, Morandini e la sfinge
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Morandini mentre legge |
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Morandini consulta un suo testo |
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Morandini terzo a sin. con Ronfani, Bonura, don Pozzoli, Piscitello e Gaccione in fondo (8 Giugno 2007) |
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Un gruppo di naviganti di "Odissea". Morandini col cappello in prima fila, si piega per accendere l'ennesima sigaretta. Milano 25 Ottobre 2014
Ultima foto in basso. Da sinistra il poeta Giovanni Raboni
con al suo fianco il critico letterario Gian Carlo Ferretti,
il poeta e regista P. P. Pasolini e Morando Morandini.
Milano, 10 Novembre 1972. Circolo Turati di Milano.
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