L’AUTOBIOGRAFIA
DELLA NAZIONE
di
Franco Astengo
Benito Mussolini |
Il
28 ottobre ricorre l’anniversario della Marcia su Roma: data
simbolicamente assurta ad inizio del regime fascista. A distanza di
tanti anni, esattamente novantasei, ci troviamo alle prese con
evidenti rigurgiti fascisti nella pratica di vere e proprie
provocazioni poste in atto in termini di simbologia e richiamo
diretto, come abbiamo potuto notare proprio in questi giorni in
alcuni episodi accaduti, per esempio, a Savona. Ma veri e propri
rigurgiti fascisti si avvertono anche a livello di schemi culturali,
di comportamenti a livello di massa, di opzioni politiche concrete
portate avanti da soggetti che si collocano al governo del Paese e
appaiono incontrare apparenti irresistibili fortune elettorali e di
consenso da parte dell’opinione pubblica, senza ricevere quel
contrasto che meriterebbero.
Ricordando
che il fascismo salì al potere pur rappresentando un’esigua
minoranza parlamentare sulla base proprio di una mancata opposizione
e di un accompagnamento “furbesco” attuato da coloro che
pensavano di addomesticarlo anestetizzandolo nella gabbia del potere.
L’attuale
situazione, nella quale si stanno riproducendo soprattutto i temi più
deteriori del razzismo deve essere affrontata attraverso
l’espressione costante della negatività dei principi che il
fascismo ha rappresentato realizzandone la costante comparazione con
ciò che sta concretamente accadendo.
Per
questo motivo la conoscenza assume un valore fondamentale ed è in
questo senso che attraverso le note che seguiranno si cercherà di
offrire un contributo attraverso un tentativo (certo parziale e
appena abbozzato) di ricostruzione storica del peggior fenomeno che
ha attraversato la storia d’Italia e d’Europa.
Questa
sommaria ricostruzione è destinata anche a tener desta l’attenzione
sui rischi che sta correndo in questo momento la nostra democrazia
avvolta in un pessimo clima politico, morale e culturale.
Il
termine fascismo nasce con i Fasci siciliani (189-1893), ma la prima
fortuna politica di questo appellativo si colloca tra il 1914 e il
1919, a partire dai Fasci di azione rivoluzionaria, che
propagandavano l’intervento italiano nella prima guerra mondiale,
precedendo quindi l’adunata dei Fasci di combattimento di Milano
del 23 Marzo 1919, atto di nascita del movimento mussoliniano.
Il
fascismo nasce, quindi, come punto di aggregazione di reduci dalla
guerra rimasti ai margini nel processo di riorganizzazione della vita
pubblica nell’immediato dopoguerra, riorganizzazione fondata sui
nuovi grandi partiti di massa e sulla convivenza tra questi e gli
antichi ceti notabilari dell’Italia liberale.
I
reduci di guerra, in particolare del corpo degli Arditi, si mossero
così sulla base di contorni politici piuttosto vaghi, all’insegna
di slogan che oggi potremmo riassumere come quelli della
“rottamazione” o del “tutti a casa”.
Il
fascismo, in questo modo si inserì, nei primordi, in un filone di
generico ribellismo, schierandosi tuttavia da subito su di una linea
violentemente anti-socialista e anti- democratica, all’insegna di
una non meglio precisata “selezione di valori”.
Il
fascismo respinse ogni egualitarismo e in tale senso la paternità
ideologica del fascismo deve essere attribuita, in larga parte, al
nazionalismo.
In
tempi come quelli attuali di crisi verticale del quadro
internazionale il tema del nazionalismo, dovrebbe fare una qualche
impressione in un lavoro comparativo svolto da sinceri democratici.
Non
a caso proprio il nazionalista Alfredo Rocco sarà, più tardi,
l’autentico “architetto” del fascismo diventato regime.
Nella
sua prima formulazione l’ideologia dei fasci apparve debitrice
anche verso movimenti come il futurismo e l’arditismo, esaltatori
dell’italianità della guerra e della giovinezza, e portatori di un
generico rifiuto della “normalità” borghese (in questo senso,
sempre riferendoci agli esordi, esiste una possibilità di
comparazione sul piano internazionale con l’Action Francais di
Maurras).
Dopo
il fiasco elettorale del novembre 1919, dall’autunno del 1920,
grazie ai massicci finanziamenti di organizzazioni agrarie,
soprattutto in Val Padana, il fascismo assunse, sul piano
organizzativo, il volto dello squadrismo.
Uno
squadrismo tollerato, quando non aiutato dalle istituzioni dello
Stato.
Sul
piano ideologico il fascismo lasciò cadere le pregiudiziali contro
la monarchia e la chiesa cattolica.
L’ambiguità
ideologica diventerà, da questo punto in avanti, una costante del
pensiero fascista che si articolerà in una complessa varietà di
posizioni.
Lo
stesso Mussolini, del resto, non nasconderà mai il proprio
“relativismo” sul terreno filosofico – politico.
La
linea di oggi è quella del “né di destra, né di sinistra”,
mentre si punta decisamente verso l’elettorato di destra sia da
parte della Lega, sia da parte del M5S: ma non possiamo dimenticare
precedenti illustri con la “vocazione maggioritaria” proclamata
prima da Veltroni e poi da Renzi.
Tornando
alle origini del fascismo:davanti al ripiegare del movimento
socialista il fascismo si schierò in modo esplicito all’estrema
destra.
I
liberali, ormai in pieno disfacimento, credettero di poter compiere
un’operazione d’inserimento del fascismo nelle istituzioni
attraverso un processo di progressiva integrazione e assorbimento
“nella legalità” e ne favorirono, attraverso la presentazione di
liste di “Blocco Nazionale”, l’ingresso in Parlamento con le
elezioni del maggio 1921.
Un’analisi
rivelatasi, alla fine, del tutto fallace.
Con
l’ingresso in Parlamento il fascismo si avviò alla trasformazione
in partito che venne formato (con la denominazione Partito Nazionale
Fascista) nel Novembre del 1921.
Il
PNF teorizzò, da subito, quello che sarà definito “doppio
binario”, quello legale e quello insurrezionale e l’ascesa al
potere avvenne in una forma a metà dei due versanti con la marcia su
Roma del 28 ottobre 1922.
Giunto
al potere, mentre si dedicava all’edificazione delle strutture
istituzionali di un regime poi giudicato a posteriori d’imperfetta
vocazione totalitaria, il fascismo affrontò l’elaborazione di un
apparato teorico – politico.
Ma
l’intellettualità fascista era costituita, in primo luogo, non da
ideologi ma da organizzatori.
Lo
stesso filosofo Giovanni Gentile, entrato nel primo governo Mussolini
e autore di quella che è stata definita la “più fascista delle
riforme” quella della scuola, svolse lungo il ventennio un ruolo di
straordinario organizzatore culturale.
Un
ruolo di organizzatore culturale che gli consentì di egemonizzare
gran parte del ceto intellettuale italiano.
Sul
piano teorico Gentile fu un convinto sostenitore della continuità
tra il liberalismo classico, incarnato nell’Italia della “destra
storica”, e il fascismo: la “storicità” del fascismo (cui si
contrapponeva il bolscevismo con la sua “antistoricità”) avrebbe
dovuto dimostrare, partendo dalla volontà di conciliare le esigenze
dell’individuo e quelle dello Stato (in un processo di
subordinazione dell’una verso l’altra), la possibilità di
realizzazione dello Stato Etico.
La
Stato delineato da Alfredo Rocco, invece, fu tratteggiato in termini
più marcatamente organicistici.
Lo
Stato fu considerato come il “grande tutto”: in esso sarebbe
stata superata la lotta di classe per proiettarsi, poi, grazie alla
riconquistata solidarietà nazionale, nella competizione
internazionale in nome della potenza demografica e del destino della
nazione.
Tra
Gentile e Rocco, comunque, la differenza – sul piano delle
prospettive tendenziali – risultarono, alla fine, sfumate o
comunque unificate, in primo luogo, dal punto vero di intersezione
delle anime del fascismo: quello relativo al culto del “Duce”.
Il
“Duce” rappresentava la guida che tracciava il cammino, il capo
assoluto.
Il
culto del Capo, è bene ricordarlo, è tornato molto di moda
nell’attualità in forma anche diversa da quella che ha
caratterizzato il ventennio precedente dalla presenza di un
“imprenditore passato alla politica”.
Ai
nostri giorni la “cultura dello Stato” è naturalmente affatto
diversa, ma egualmente finalizzata alla detenzione del potere in una
società massificata e neutralizzata dall’espressione di una
cultura dell’individualismo e del consumo: fenomeni favoriti
dall’espansione nell’uso dei mezzi di comunicazione di massa in
esclusiva funzione di marketing riducendo l’offerta politica
altresì come quella culturale a “prodotto”.
Gli
intendimenti di fondo però tra il tipo di massificazione sociale
imposta negli anni’30 e quella determinata adesso sono identici: il
potere posto al di fuori dalla verifica democratica.
La
verifica del consenso riservata all’esercizio di un’autonomia del
politico appannaggio esclusivo di un ceto politico provvisto della
possibilità esclusiva di usufruire di incentivi selettivi,
esattamente come i gerarchi del ventennio.
Torniamo
però al filo conduttore del nostro discorso.
Accanto
al mussolinismo, lo statalismo fu il dato unificante del fascismo.
Pur
rimanendo rilevante il peso del PNF e delle sue gerarchie, fu lo
Stato a prevalere, anche sul piano teorico.
Lo
stesso dibattito, del resto molto vivace, sul corporativismo, pur
mettendo in luce una pluralità di posizioni (dalla rigida gabbia
statuale prevista da Rocco, fino alla “corporazione proprietaria”
di Ugo Spirito), finì con l’assestarsi nella forma più blanda
sostenuta da Bottai rispetto a quella propugnata da Alfredo Rocco.
“Corporazione
proprietaria” rappresenta un altro termine che sta trovando pratica
applicazione nell’attualità del dibattito politico, specialmente
quando si osserva il tentativo di distruzione dei corpi intermedi
rappresentativi delle diverse realtà sociali.
Il
fascismo tese a presentarsi, inoltre, come squisitamente “italiano”
e “romano”: torna qui il tema ricorrente del
nazionalismo-bellicista.
L’alleanza
con la Germania hitleriana e l’intervento nella seconda guerra
mondiale, accentuarono i caratteri ideologici propri del fascismo
degli esordi, come il bellicismo e, di converso, fecero emergere
tratti ideologici propri di quella successiva fase rimasti in ombra
quali il razzismo e l’antisemitismo.
Alcuni
di questi caratteri, ma soprattutto il rifiuto della democrazia e la
lotta senza quartiere proclamata al bolscevismo, consentirono di
identificare un ruolo internazionale del fascismo, attivo in Europa,
e felicemente definito da Palmiro Togliatti come “regime
reazionario di massa”.
Una
definizione che ha consentito, anche dopo la caduta del regime, di
leggere il fenomeno del fascismo in senso transpolitico, come una
sorta di cesarismo tipico del XX secolo basato su di un capo
carismatico.
Un
capo carismatico che portava avanti la ricerca del consenso delle
masse attraverso una strumentazione di tipo propagandistico e
pedagogico, l’adozione di slogan rivoluzionari (intesi per lo più
in una direzione aggressivamente nazionalistica) nemica tanto della
democrazia quanto del comunismo.
In
ogni caso le interpretazioni del fascismo puntano oggi a una
articolazione di giudizio (ben oltre la rigida definizione di
Dimitrov: “Dittatura terroristica degli elementi reazionari, più
sciovinistici e più imperialistici del capitale finanziario”).
Queste
interpretazioni si pongono in relazione all’analisi socio –
politica del nesso tra fascismo e classi sociali, con particolare
riguardo alle classi medie, insistendo molto (anche grazie agli
spunti offerti da Adorno e da Horkheimer) sulla tema della
personalità autoritaria e su di un presunto ruolo “modernizzatore”.
Nel
modello autoritario un rapporto gerarchico di sfruttamento tendendo a
tradursi in un atteggiamento orientato verso il potere e di
dipendenza portandolo ad un attaccamento disperato a tutto ciò che
appare forte (il gruppo, il partito, la legge, lo stato, la razza
ecc.) e un rifiuto di tutto ciò che è relegato al fondo.
Quali
contro-misure adottare contro l’intera struttura dell’atteggiamento
del pregiudizio? Un tema di grande attualità se osserviamo
attentamente ciò che accade.
Il
nazionalismo che rimane la matrice diretta del fascismo di allora e
di oggi, rimane prodotto dell’organizzazione totale della società,
che può essere mutato soltanto mutando la società. In
precedenza alle riforme sociali e/o rivoluzioni serve, come già
accennato in precedenza. l’aumento nella capacità culturale della
gente
E’
necessario lavorare per attuare quella presa di coscienza che
permetta agli individui di riconoscere che il fascismo è qualcosa di
imposto e contrario ai loro interessi.