di Giorgio Colombo
Luigi Gonzaga |
Raccolte d’arte aperte al
pubblico sono il vanto di ogni città che abbia una storia sufficientemente
lunga. All’origine si tratta di storie di ricchi signori, anche regnanti, e
illustri prelati, anche pontefici, che abbelliscono i propri palazzi e chiese
con quadri, affreschi, sculture, antichità. L’Italia del 1400-500 è ricca di
litigiose famiglie che si contendono, tramite sposalizi ben combinati, luoghi e centri abitati, dove si assumono
responsabilità di pace e di guerra. Una di queste è il gruppo dei Gonzaga.
1328:
con una fastosa cerimonia in piazza San Pietro (ora piazza Sordello) Luigi
Gonzaga riceve la bacchetta di Capitano di Mantova. Senza scrupoli ha eliminato
i precedenti Signori, i Bonaccolsi, e altrettanto ha fatto con figli e parenti.
Una piccola ‘marca’ e una famiglia numerosa, ricca di intrighi, trionfi e
disastri, abile nel destreggiarsi tra le
ben più potenti Venezia e Milano.
Consolidare
il comando significa concentrare il potere e coltivare buoni rapporti con i
poteri diffusi della Chiesa e dell’Impero. La corte non è più isolata su di una
altura, difesa da mura e da armati, ma parte dell’abitato cittadino e insieme
separata. Tutte le decisioni importanti si devono svolgere al suo interno, con
molte “bocche” da mantenere, dalle 700 alle 1000 persone. Gli introiti
dipendono dai dazi sul sale, il grano macinato, le uve, il pesce… le offerte
obbligatorie degli ebrei. Gli intrattenimenti festosi, le musiche, gli
affreschi, le rappresentazioni teatrali, le collezioni d’arte sono tutti eventi
che si realizzano all’interno.
Il primo ciclo di pitture è affidato nel 1425 al
Pisanello che riprende glorie antiche, il ciclo cavalleresco ‘cortese’. Il
lavoro, non finito, viene interrotto e imbiancato.
Verrà riscoperto alla metà del ‘900. Con il marchese Ludovico lavorano per la reggia e le rocche circostanti
architetti come il Laurana e Luca Fancelli, e con gli interventi nella
cattedrale di S. Andrea, Leon Battista Alberti, ammirato non solo per la sua
conoscenza dei ‘classici’. Ma la presenza più impegnativa e prolungata, 47anni,
è quella del Mantegna di cui si conserva la sua ben nota “Camera degli sposi”: il marchese, attorniato da cortigiani e
familiari, si mostra nelle vesti classiche dell’imperatore (Nella stessa
‘Camera’ sono ritratti otto imperatori romani).
Altra
figura centrale è quella di Isabella d’Este. La decisione del matrimonio con
Francesco Gonzaga viene firmata quando lei ha 6 anni e il futuro marito,
Francesco Gonzaga, 15. Giochi di alleanza. Dieci anni dopo si celebrano le
nozze. Nella natia Ferrara Isabella aveva già frequentato Ercole de’ Roberti,
Lorenzo Costa, Roger Van der Weiden e letterati come il Guarino e il Boiardo.
Ludovico Ariosto gli regala una copia della prima edizione dell’Orlando Furioso.
La giovane collezione libri rari con l’aiuto di Aldo Manuzio, ama la
musica, suona il liuto, scrive versi. Nella nuova reggia Isabella occupa un
ampio ‘Studiolo’: vi ordina la corrispondenza, gli scritti, dediche e poesie.
Al piano di sotto, la ‘Grotta’ - cosiddetta per la sua volta a Botte - raccoglie pitture, antichità, monete e
gioielli. In un inventario del XVII sec. si legge di una “collezione di tutte
le cose più meravigliose mai viste, che per descriverle adeguatamente ci
vorrebbe un libro a parte” (‘La scienza a corte’ Bulzoni 1979). Isabella non
gradisce il suo ritratto dipinto dal Mantegna, così che quando il pittore
esegue la ‘Madonna della Vittoria’ (ora
al Louvre) per esaltare la ‘presunta’ vittoria del marito Francesco a Fornovo
contro Carlo VIII e i francesi, da una parte della Madonna benedicente s’inginocchia
il marito corazzato e dall’altra, in posizione abbassata e in età matura (è
madre del S. Giovannino dipinto in piedi dietro di lei), sant’Elisabetta,
versione italiana della ‘Isabella’ spagnola. Un bel trucco non si sa quanto
gradito. Diversa l’ammirazione per Leonardo, che in fuga da Milano si fermerà a
Mantova per un breve periodo, facendole un paio di schizzi del profilo a
matita, lasciandole uno a lei e tenendosene il secondo con sé, col il proposito
di farne in seguito un ritratto che mai dipingerà.
Continuerà
però a servirsi del Mantegna (per esempio con affreschi nel suo Studiolo) anche
dopo la morte del marito e alla nomina del figlio Francesco al quale trasmette
la sua passione per l’arte e gli artisti. E’ lui a dirigere con Giulio Romano
la costruzione della ‘villa suburbana’ di “Palazzo Te” e a formulare il
progetto di una “Galleria di quadri”, seguendo i suggerimenti della madre e
arricchendo la collezione con opere di Tiziano, del Veronese e di Botticelli.
Con la morte di Isabella nel 1553 la presenza dei grandi pittori a corte si
riduce. La Galleria della Grotta si trasforma in una “collezione di tutte le cose
più meravigliose mai viste” (da un inventario del XVII sec.). La cura della collezione
riprende con Vincenzo I che affida
al giovane Rubens, dal 1601 al 1608, l’incarico dell’acquisto di nuovi
quadri. Aiutato dalla seconda moglie Eleonora de’ Medici, la nuova ‘Galaria’ raggiunge il suo massimo splendore. Il fratello
che gli succede, cardinale Ferdinando, è
uno spendaccione, predilige gli
scolari di Guido Reni, acquista in blocco manoscritti miniati e disegni, si
sposa segretamente cercando poi invano
di cancellarne il fatto. A corto di finanze comincia a coltivare il progetto
di alienare parte della Galleria. Con il successore Vincenzo II i debiti
aumentano tanto da interessare per una eventuale vendita un noto mercante,
Daniele Nys, che avvicina il monarca inglese Carlo I Stuart, ben conosciuto
come amante d’arte. La trattativa, andata in porto, dovrebbe rimanere segreta.
Un primo elenco del 1627 indica 1800 dipinti. Le vendite mantovane di un
patrimonio ormai molto ridotto, continuano e si esauriscono con la successione dei Gonzaga-Nevers. A sua volta
il nucleo inglese più importante si disperde definitivamente con la
decapitazione di Carlo I nel 1649. Ne
guadagneranno nel tempo i musei inglesi e degli USA.
I Gonzaga nella Camera Picta di Castel S. Giorgio dipinta dal Mantegna |
Triste
fine di una delle principali collezioni d’Europa.
Contrattazioni
e vendite di oggetti d’arte e di antiquariato continueranno vivacemente anche
in tutto il Settecento concentrandosi prevalentemente nella città i Roma. Ma
questa è un’altra storia.