di Franco Astengo
Un articolo di Chiara
Saraceno è titolato da "la Repubblica": “Una certa idea di povertà”. Titolo
accompagnato da un catenaccio: “Dietro il veto sulle spese immorali c’è il
pensiero che i più bisognosi siano inaffidabili”. Una
lettura che mi ha riportato alla mente il ricordo di una vecchia abitudine;
quando non si faceva l’elemosina ai mendicanti perché i benpensanti
sostenevano: “tanto poi se li va a bere”.
Così
come la si va impostando questa storia del cosiddetto “reddito di cittadinanza”
sta rappresentando una logica analoga. Così come la si legge l’idea del
sussidio rappresenta uno dei tanti segnali del vuoto di arretramento etico e
culturale che sta imponendosi nel nostro Paese. Un vuoto frutto di un meccanismo
perverso che risale all’irruzione delle logiche individualistiche di consumo
risalenti almeno agli anni ’80 del XX secolo, delle quali non faccio la storia
in quest’occasione.
Non
la faccio lunga perché intendo essere sintetico e brutale.
Il
populismo di cui si stanno dilettando i signori del governo ha un’origine ben
precisa: quella di un’immaginata “autobiografia della nazione” (Gobetti ne
scriveva però realisticamente al riguardo del fascismo) per cui il consenso si
può aggregare soltanto adeguando la risposta ai desiderata più diffusi e
apparentemente più facili da interpretare. Un’immaginaria “Autobiografia della
Nazione” composta da due elementi: al Nord l’idiosincrasia per le tasse (e
quindi la legittimità dell’evasione: Berlusconi la teorizzò come meccanismo di
autodifesa); al Sud la vocazione per l’assistenzialismo (di conseguenza il
reddito di cittadinanza pensato però in una forma molto diversa da quella che,
in effetti, poi sarà realizzata: ad esempio il REI può essere convertito al 50%
in contanti, ben diverso dalla distinzione tra “spese morali” e “spese
immorali”). Nord e Sud uniti soltanto dalla “paura del diverso”.
Stereotipi
si dirà, come quella degli “italiani maccheronì” dell’emigrazione del primo
‘900 ma stereotipi sui quali si è basata la grande bolla di mistificazione
nella quale stiamo vivendo pericolosamente (“vivere pericolosamente” altra
citazione da non dimenticare).
In
realtà ci troviamo in un vuoto prima di tutto etico poi culturale e ancora di
consapevolezza sociale: un vuoto che sembra comprendere larga parte della
società italiana e al quale questa “politica” sta alimenta dolo cercando di
corrispondere ai puri fini di mantenimento del potere.
Si
scrive e si parla di opposizione: il primo dato con il quale, sotto quest’aspetto,
sarebbe necessario fare i conti riguarderebbe un vero e proprio processo di
ricostruzione culturale.
Troppo
facile è stato adagiarsi sulla tecnologia e sui processi che l’utilizzo della
tecnologia ha introdotto nella vita quotidiana. Il filone di continuità in
questo vuoto è rappresentato dalla riduzione dell’individuo in consumatore
forzato privandolo di una prospettiva generale di visione della società. Sarà
stata cattiva l’ideologia ma almeno per adeguarsi a essa si era costretti a
pensare. La
confusione di oggi deriva proprio dall’assenza di pensiero e di conseguenza di
visione: ben oltre gli schieramenti politici dati e/o futuribili.