di Franco Astengo
Savona ha vissuto
giornate di vero e proprio dispregio della memoria di un Città medaglia d’oro
della Resistenza, la cui ricorrenza quarantennale è stata tra l’altro
bellamente ignorata dall’Amministrazione Comunale di destra. Sabato 6 ottobre scorso
è accaduto un fatto grave, al limite dell’indicibile: la Signora Sindaco e il
Signor Prefetto hanno candidamente assistito senza battere ciglio a una
cerimonia svoltasi nel cimitero cittadino di Zinola per lo scoprimento di una
lapide in memoria dei soldati savonesi caduti nel corso della seconda guerra
mondiale: da un lato della lapide sono indicati i corpi combattenti da onorare
nella memoria e tra gli alpini, gli artiglieri, i fanti, hanno trovato
inopinatamente posto le “camicie nere”.
Signora
Sindaco e Signor Prefetto rimasti imperterriti al loro posto durante la
cerimonia, nonostante che visti i contenuti della lapide i rappresentanti
dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza se ne fossero immediatamente
allontanati. Alla reazione delle associazioni e delle forze politiche
democratiche e antifasciste la risposta della Signora Sindaco è stata di “non
conoscenza dei contenuti della lapide” e, per il futuro, della necessità di
confrontarsi con l’associazione che ha promosso la lapide (una non meglio
identificata Associazione “Caduti senza croce”). Potrà apparire superfluo ma
invece è assolutamente necessario chiarire un punto preliminare: anche perché,
da parte dei rappresentanti dell’Associazione in questione si sostiene la piena
integrazione, all’epoca, delle Camicie Nere nell’esercito regolare.
Integrazione da cui deriverebbe di conseguenza la loro assimilazione ,anche nel
ricordo, ai reparti combattenti. Va ricordato con grande chiarezza e disegno di
verità storica che la Camicia Nera è stata la divisa del fascismo e che il
fascismo rimane la più grande disgrazia capitata al nostro Paese nella sua
storia.
La
Camicia Nera fu adottata quasi subito dal fascismo come suo emblema, del resto
il nero era considerato come il colore della morte e la bandiera degli Arditi
lo accompagnava con il teschio con il pugnale tra i denti. La camicia nera fu
adottata da Italo Balbo fin dalla marcia su Ravenna e poi, naturalmente, nella
marcia su Roma. Gli squadristi che nel biennio 1920-1922 avevano insanguinato
il Paese uccidendo, devastando, incendiando e rappresentando la leva attraverso
la quale il fascismo aveva raggiunto il potere. Attraverso lo squadrismo delle
Camicie nere, gli agrari e gli industriali erano riusciti a piegare la
resistenza dei contadini e gli operai. Gli squadristi in Camicia Nera furono
poi inquadrati nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale: un corpo armato
parallelo a quelli dello Stato posto al servizio di una parte politica, così
come il “Gran Consiglio del Fascismo” rappresentò un organo parallelo a quelli
istituzionali previsti dallo Statuto. Tutto questo avvenne molto prima del varo
delle leggi cosiddette “fascistissime” (1925) attraverso le quali il fascismo
assunse compiutamente le vesti di una dittatura.
In
questo modo le Camicie Nere parteciparono, inquadrate nell’esercito, alle
guerre fasciste in Etiopia, in Spagna per combattere la Repubblica
democraticamente eletta, nella Seconda Guerra Mondiale.
Fin
qui tutto ovvio: deve essere però ribadito ancora una volta che la Seconda
Guerra Mondiale non può che essere considerata, per quello che riguarda
l’Italia, come una guerra fascista combattuta (fino alla fine per quel che
riguarda le truppe della RSI, anch’esse provviste di camicia nera) al fianco
del mostro più sanguinario che il mondo abbia mai espresso: il nazismo.
E’
bene tenere queste distinzioni, non farci travolgere dal “alla fine tutti
eguali”.
L’Italia
ha ritrovato, il 25 aprile 1945, la propria capacità di governarsi e amministrarsi
autonomamente e non come colonia degli Alleati soltanto grazie alla Resistenza
che ne ha riscattato l’onore e la presenza nel mondo. La Resistenza ha
rappresentato l’atto fondativo del nostro Paese dopo il Risorgimento e dopo che
la Casa Regnante aveva trascinato l’Italia in due insensate e tragiche guerre
mondiali.
Accanto
alla Resistenza, naturalmente, vanno ricordate le sofferenze delle popolazioni
civili, i 600.000 militari italiani abbandonati dalla fellonia dell’8 settembre
all’estero e internati in Germania essendosi rifiutati di aderire alla
Repubblica Sociale, i combattenti dell’esercito schieratisi a fianco degli
Alleati nel corso della loro faticosa risalita delle penisola. Faticosa
risalita della penisola al punto che, è bene ricordarlo ancora, le grandi città
del Nord furono liberate dai Partigiani in anticipo sull’arrivo delle truppe
anglo-americane. Questo riassunto , forse inutile ma non è detto che lo sia
stato, per dire che le “Camicie Nere” sono state il simbolo del fascismo e che
questo fatto non può essere dimenticato o deviato nella costruzione di una
memoria storica che deve essere continuamente alimentata per non restare
colpevolmente smarrita. Si ricorda ancora che Savona è la città di Sandro
Pertini, senza aggiunte o richiami a un nome che da solo spicca nel firmamento
della parte migliore della storia di questa Nazione. La
città distrutta dai bombardamenti fu poi ricostruita grazie all’operato di una
giunta formata in buona parte da operai delle sue grandi fabbriche, l’Ilva e la
Scarpa e Magnano, rappresentanti dei grandi partiti di massa della sinistra
italiana. Una città ricostruita dalle macerie della guerra in un periodo di
grande lotta per la difesa delle sue fabbriche, la cui presenza - nel corso di
quei drammatici anni ’40- ’50- era stata messa in discussione a causa della
riconversione dell’industria bellica portata avanti dal governo democristiano
che certo non nutriva grande simpatia per la classe operaia “rossa” della nostra Città. Quella
classe operaia che l’aveva liberata dalla tirannia del fascismo in Camicia
Nera.