di Claudio Zanini
Phlebas II
Inatteso monile pare affiori dall’onda,
faville di luce oscillano sull’opaco riflesso
dall’abisso appena offuscate.
Relitto deterso nel profondo dal limo,
pare cingesse il polso di Phlebas, il fenicio.
Phlebas, ossa smussate nell’onda dei flutti
dalla capigliatura nera d’alghe flessuose,
e mai dimenticato tra gli esuli erranti,
sommersi tutti nell’oscura urna del mare.
Phlebas III
Cosa riflette lo specchio nero del mare
quando lo sguardo appena lo sfiora?
Della luce, subitanea oscillazione
vivida nell’inquieto suo tremare, poi
oltre cresta sottile di spuma,
altra luce ci avvolge luttuosa
come il dorso nero dell’orca.
Chiudiamo gli occhi, sotto le palpebre
oscuro peso ci preme, ci chiama
al torbido sonno d’un oblio abissale.
Equoreo oblio dell’insonne sepolcro
di Phlebas, nel mare morto annegato.
Ulisse ignoto
L‘irridente organigramma
delle cantine, diuturno abisso
di falene e ratti, ti sommerge
entro arcane gerarchie
Ulisse ignoto, esiliato naufrago.
Itaca, il cencio scompaginato
d‘una donna insonne,
e lo straziante viaggio favoloso
su precari scafi clandestini
bruciano nella memoria esausta,
consumati in lingue incomprensibili
negli stanchi alterchi sotterranei
di lavapiatti e sguatteri stranieri,
ombre del sottosuolo occidentale.
Ma noi, a livello stradale e diurno
ad altri clamori esposti più attutiti
ostili a graffi minimi e scalfitture,
cauti e sospettosi nell’incedere
mai sapremo dei lacerti sublimi
d‘un costante naufragio sotterraneo
il cui strazio neppur ci sfiora.