RICORDANDO
LUKÁCS
di Giorgio
Riolo
György Lukács, intellettuale,
filosofo, marxista grande, ancora oggi fondamentale a cinquant’anni dalla
scomparsa (4 giugno 1971), ricordava a ogni pie’ sospinto la centralità delle
categorie marxiane per comprendere il mondo. Storicità, socialità,
processualità. Tre categorie ineludibili, che ci danno la grammatica mentale
per agire nella realtà, nella vita quotidiana e nella vita sociale e politica.
Il libro in
questione, di divulgazione e non specialistico, è una sintesi molto compressa,
ma molto ambiziosa. Una sintesi della storia globale dell’umanità, di tutti i
continenti, di tutte le culture e di tutte le civiltà. Una storia veramente
mondiale, a partire da una ferma riconsiderazione e da una ferma critica dell’eurocentrismo
e dell’occidentalocentrismo. Visioni granitiche queste, difficili da sradicare.
Essendo così ormai oggettivate in tutti gli strati sociali, non solo nelle
classi dominanti e nei gruppi dirigenti in Europa, in Usa, nell’Occidente. Il
retroterra di queste visioni è sempre e comunque il pregiudizio della “superiorità
bianca”, così perniciosa, allora e oggi.
È una precisa visione
della storia dell’umanità a partire dall’assidua frequentazione, da parte degli
autori, oltre che di Marx, di Samir Amin, di Immanuel Wallerstein, di Fernand
Braudel ecc.
Il colonialismo
ha operato una vera e propria mutazione antropologica nei centri capitalistici.
La “decolonizzazione”, il potente processo di risveglio, prima, e di
emancipazione dei popoli coloniali, poi, ha un corrispettivo sempre difficile
da conseguire nel Nord Globale. “Decolonizzare la mente”, questo il compito in
questa parte del pianeta. Allora e oggi. Alle prese con il fenomeno decisivo
dei migranti, alle prese con la vergognosa divisione mondiale, nella odierna
crisi epidemiologica, tra chi ha diritto e mezzi per vaccinarsi e chi non ha
diritto e mezzi per vaccinarsi. Sempre la frattura tra Nord e Sud, tra Centro e
Periferia.
In tal senso, con
questo libro, gli autori hanno inteso contribuire a una vera e propria
operazione culturale. Nel senso della decolonizzazione, di cui sopra, e nel
senso del contrastare le culture e le subculture dominanti oggi. Le quali
tendono a “destoricizzare”, tendono a cancellare la coscienza storica, a
espungere e neutralizzare la dimensione storica dei fenomeni, dei problemi, dei
conflitti anche, delle emergenze nella nostra vita contemporanea. Si vive la
superficie di un eterno presente e così si elude la possibilità della capacità
critica di analizzare e di considerare, potenzialmente pericolosa,
destabilizzante questa capacità critica. Il dato, il fatto, il risultato
nascondono il processo attraverso il quale si è giunti a tale dato o fatto.
Sempre Lukács, con Marx, la forma-merce, il risultato, che cancella il processo
produttivo alle spalle, il lavoro, la fatica, lo sfruttamento, ma anche la
creatività umana. E sempre Lukács, “l’essere in quanto essere non esiste”.
“L’essere è il processo”. Potremmo aggiungere, senza cadere nella facile
retorica, “l’essere è la storia”. Verità così semplice, ma al medesimo tempo
così potente. I greci, Hegel, Marx, il marxismo critico ecc. assommati, riuniti
in una sola definizione.
Cultura
significa avere visione globale, significa trovare nessi e relazioni tra i
fenomeni, andare oltre la superficie e cercare di ricostruire i processi, non
visibili immediatamente, ma che sono altrettanto reali del dato reale stesso.
La storia è sempre storia contemporanea, diceva Benedetto
Croce, o come diceva Marx, “l'anatomia dell'uomo è una chiave per l'anatomia
della scimmia”. Non è solo alla luce del passato che noi comprendiamo il
presente, ma, al contrario, è spesso dal presente, dagli interrogativi nostri,
dai conflitti in cui siamo coinvolti, dalla intelligenza nostra delle dinamiche
storiche, sociali, politiche, culturali della contemporaneità che noi possiamo
interpretare e cogliere le dinamiche della storia passata. E di progettare,
porsi dei fini, prefigurare il futuro. Passato, presente e futuro non sono così
rigidamente separati. Sono in efficace comunicazione.
La copertina del libro
di Riolo e Lepratti
In breve. La globalizzazione non è solo delle merci e dei
capitali, non è solo a vantaggio dei gruppi dominanti nel mondo, non è solo
omologazione e omogeneizzazione eurocentrica e occidentalocentrica, ma è anche
la possibilità della costruzione di una cultura veramente democratica,
multiforme, ricca, rispettosa dell’ambiente e della giustizia sociale,
dell’eguaglianza tra le persone, dell’eguaglianza uomo-donna. Il compianto
padre Ernesto Balducci parlava di “uomo planetario”, intendendo la persona,
uomo e donna, fornita di questa cultura. La storia e la coscienza storica
svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di questa cultura.
Il testo
abbraccia l'intera avventura del genere umano nei cinque continenti lungo gli
ultimi 70.000 anni e privilegia in particolare alcuni grandi temi o principi
ordinatori. I principali, il “ricambio organico dell’uomo con la natura”, quindi
il lavoro e le relazioni sociali e di dominio-subordinazione corrispondenti, il
rapporto dei gruppi umani con i cambiamenti climatici, la nascita e lo sviluppo
delle disuguaglianze economiche, sociali e di genere, la storia dei processi
migratori e delle progressive interconnessioni tra i popoli, tra le diverse
culture del pianeta, il pensiero e la storia reale dei tentativi di trasformare
il mondo.
Il principio
ordinatore in ultima istanza secondo il quale la storia è sicuramente ricca e
complessa, non racchiudibile in poche definizioni, ma che alcune categorie ci
aiutano a muoverci in questa infinita ricchezza. “Nel processo” della
conoscenza e non “nell’essere” della presunzione secondo cui “c’è stata storia,
ma adesso non più”. Il sogno di sempre dei dominanti, anche dei dominanti
attuali della globalizzazione neoliberista, del capitalismo su scala mondiale.
György Lukács e
Samir Amin, ognuno nel suo ambito e nel molto differente contesto storico di
vita e di attività, sono accomunati qui. Nella mia/nostra generazione e nella
mia/nostra formazione culturale e politica. Una stagione grande e irripetibile.
Anche negli errori di prospettiva, ma sempre e comunque nella direzione
dell’emancipazione umana, dei subalterni e delle subalterne in primo luogo.
Entrambi
appartenenti alla grande corrente dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese
all’Ottocento e al Novecento dello “ottimismo storico”. Per noi più
problematica la visione di questo ottimismo. Tuttavia un viatico, un impulso,
una indicazione e un bagaglio etico, culturale e politico così elevati, di
incommensurabile valore.
Un’eredità. Per
chi è suscettibile di accogliere e di rivendicare questa eredità.
di Riolo e Lepratti