LA NEMESI DEL CACCIATORE
di
Paolo Vincenti
Una
morte più letteraria non poteva fare, Scott Van Zyl, cacciatore professionista
del Kenia che organizzava spettacolari e costose battute di caccia in alcuni
stati dell’Africa del sud a vantaggio di ricchi e annoiati occidentali in para
con armi e safari. A soli 44 anni, l’abile professionista è stato ucciso da un
coccodrillo nella provincia di Limpopo e, oltre ai suoi sconsolati clienti,
lascia moglie e figli. La sua stessa vita sembra un romanzo di Ernest
Hemingway, e fare l’accostamento ai racconti hemingwaiani è quanto di più
naturale sia venuto in mente alla stampa nel dare la notizia della sua morte.
Van Zyl organizzava le battute di caccia ad elefanti, zebre, leopardi, ma anche
a specie molto rare come lo gnu, l’alcefalo, il cudù, il damalisco, fra le
scontate proteste delle associazioni animaliste, che lo accusavano di essere
uno sporco assassino, poco più che un bracconiere, un mercenario, e le
altrettanto stucchevoli difese d’ufficio delle associazioni venatorie che la
menano sul fatto che i cacciatori siano i migliori amici dell’ambiente,
rispettosi delle regole e dei limiti di legge. Fatto sta che Van Zyl cacciava
anche i coccodrilli, in particolare il coccodrillo del Nilo, che è la più grande
specie di rettile dell’Africa, lungo ben 6 metri e pesante 700 chili, e questo
coccodrillo lo ha divorato. È la legge della giungla, subito ci viene in mente
Tarzan, con il suo insegnamento universale. Nella natura, il più forte mangia
il più debole, ma si può andare ancora più indietro nel tempo, rispetto a
Burroughs e al suo “uomo scimmia”, risalire alle origini della nostra civiltà.
“Nemesi” era nella mitologia greca la dea della giustizia riparatrice, figlia
di Fortuna (con la quale i latini la identificavano) e di Giove, interveniva a
vendicare un torto o punire un’intemperanza. Questo aspetto fornì alla fertile fantasia dei greci spunto per
elaborare una efficace teoria che è molto simile alla legge del taglione della
Bibbia (“occhio per occhio, dente per dente”). “Nemesi” infatti significa castigo, punizione, vendetta. Chi compiva un
atto di insubordinazione, di estrema arroganza, si macchiava di tracotanza,
superbia, e questo veniva punito dagli dèi, gelosi (il significato di νέμεσις
in greco è proprio “gelosia” oltre che “vendetta”) del fatto che un umano
volesse ergersi a dio. E l’esecuzione della vendetta era demandata a questa
divinità: Nemesi, appunto, come giustizia, che distribuisce equamente premi e
castighi. Il concetto di nemesi ha dato spunto a migliaia di storie raccontate
in letteratura oppure ancora nel cinema e in televisione. La nemesi è anche il
titolo di una serie di puntate di fumetti dell’Uomo Ragno oltre che la
definizione che viene data dalla Marvel ai principali nemici dei suoi super
eroi, i vari villain che rappresentano il loro doppio opposto. E come non riconoscere nella triste avventura
del grande cacciatore Van Zyl una nemesi e finanche un monito, un insegnamento
universale? I Greci parlavano di ubris e tisis: a fronte della superbia umana
vi era sempre una punizione divina, delitto e castigo, per dirla con
Dostoevskij. E Van Zyl ha trovato la morte proprio sbranato dal coccodrillo
nilotico che lo ha avvolto fra le sue spire aggiungendo il cacciatore alla sua
lunga collezione di trofei, ossia persone ingollate, prima di essere abbattuto
dalle forze dell’ordine (doppia vendetta, quindi). “Breve la vita felice di Francis Macomber”:
questo titolo del racconto di Hemingway potrebbe applicarsi al cacciatore
bianco passato da carnefice a vittima.