di Fulvio Papi
La copertina del libro |
Discutendo il nuovo
libro di Salvatore Natoli, Papi mette in luce una serie di aspetti che
riteniamo utili per un dibattito più articolato e a più voci. Queste pagine
sono a disposizione.
Salvatore
Natoli è un ottimo filosofo, se non sbaglio di ascendenza cristiana,
frequentatore assiduo e intelligente dei nodi fondamentali della filosofia
contemporanea che lo hanno condotto a uno stile intellettuale che ha affrontato
le più importanti verità della vita contemporanea, senza cadere in manierismi
che sembrano preziosi, ma sono artifici verbali non privi di una loro
abilità. L’ultimo suo libro è Il fine della politica. Dalla “teologia
del regno” al “governo della contingenza” (Ed. Bollati Boringhieri,
pagg. 128, € 15,00). La sua conoscenza delle tradizioni più antiche è
invidiabile, ma ora le lascerò in ombra. La “teologia del regno” in sintesi,
nella mia formazione teoretica, è consegnata al celebre libro di Loewit che a
suo tempo mostrava come l’escatologia ebraico-cristiana rinascesse in un
umanesimo dialettico proiettato all’avvenire come avveniva nello stesso Marx.
Alla ripresa di questo tema farei notare che il pensatore di Treviri non ha mai
disegnato la società dell’avvenire se non in quella ben nota paginetta della Ideologia
tedesca che oggi la filologia attribuisce a Engels più aperto alle
suggestioni dei temi fantasiosi di Fourier.
Salvatore Natoli |
Ora discuterò liberamente con
l’amico Natoli. Il tema della contingenza, detta così, mi sembra troppo generico.
Con la parola “contingenza” si cade ancora in una prigionia filosofica, dato
che in concreto può essere adoperata per indicare processi storici molto
differenti: le nazionalizzazioni del governo laburista inglese dopo il 1945, lo
sterminio di Stalin dei “contadini ricchi” o la contestata riforma keynesiana
del New Deal negli Stati Uniti. Il problema dell’intellezione è sempre dato
dalle contingenze che costituiscono ogni volta una trama che apre, senza alcuna
pregiudiziale certezza, verso le possibilità dell’avvenire. Ora tanto per non
nascondermi sotto le generalizzazioni filosofiche (talora educative), dirò che
la nostra contingenza globalizzata nell’intrico economico-finanziario,
tecnologico, ecologico, demografico e politico, ha in sé la possibilità di una
catastrofe antropologica senza precedenti.
Ed ora, nei
miei limiti, discuterò alcune tesi di Natoli. “D’altra parte - egli scrive-
cosa mai sarebbe il potere se non governare la vita?”. Direi che esso governa
la vita nel modo utile per riprodurre se stesso, il che mostra la necessaria
violenza della “ideologizzazione” come dice perfettamente Natoli. Quanto alla
(metaforica) dimenticanza del peccato originale (Baudelaire) credo che la
dimenticanza fosse del Papa come dell’Imperatore nel Medio Evo. È una brillante
metafora per individuare a rovescio la famosa immensa torre parigina Eiffel
(che Proust ignora) in concomitanza con la parallela euforica e borghese
condizione di vita. Natoli ci dice: “l’uomo moderno ha sottovalutato la sua fallibilità
e si è detto signore della storia”. Mi domando quale uomo e quale storia: per
esempio la storia genocida degli USA, quella orrenda del nazismo, l’incremento
del famoso PIL ecc. ecc.
Natoli: “il
marxismo svela il segreto della storia, vede nel capitalismo il male assoluto”;
questa è la visione del famoso libretto del ’47, poi Marx (Il Capitale voll.
I, II, III) studia la struttura del capitale (addio Hegel) e Lenin instaura
la “nuova politica economica”.
Natoli: “I
media oggi sono epidermici e di qui una facile sollecitazione del desiderio e
una altrettanto facile manipolazione delle rabbie sociali”. Perfetto: ma anche
un compiacimento della propria identità nei ludi sociali. Ha ragione Foucault
nel parlare di una “microfisica del potere”: è la caratteristica di una società
complessa, il contadino della società idraulica e imperiale cinese incarna da
solo il potere. La “biopolitica” è una metafora meno felice: pensate al
contadino europeo della modernità, e la società castale indiana che cosa è? Natoli:
“È ormai noto e studiato che la digitalizzazione, la Rete […] abbiano
modificato gli schemi cognitivi”. Perfetto. Tuttavia aggiungo: hanno provocato
un volgare individualismo che ha reso “formale” le regole di una democrazia
compiuta, alla cui ombra è possibile qualsiasi demagogia.
Natoli:
“state attenti ai robot”. Perfetto. Tuttavia il problema va visto nel rapporto
tra capitale fisso e variabile. Tutto il lavoro diviene capitale fisso. A chi
spetta il salario? E dal punto di vista demografico? E l’investimento della
ricchezza? E l’occupazione?
Natoli: “La
scienza non può prevedere”. Quale pratica scientifica? In quale contesto? Con
quali poteri? La scienza “aristotelica” si occupa di Marte, quella sociale (con
eccezioni) è inserita nell’apparato produttivo. “Il bene comune” diventa sempre
più piccolo ed è, per lo più, la pubblicità del potere o, meglio, dei poteri.
Natoli:
“l’antinomia tra pensiero ingenuo e complesso”. “Pensiero” nasce come
“racconto”. Il modello classico della democrazia richiedeva, anche nella sua
semplicità, un pensiero complesso. Oggi i poteri richiedono (!) un pensiero
puerile che è la trama della politica.
Natoli: “La
politica ha oggi, davanti a sé, un tempo senza fine”. Perfetto: poiché il tempo
senza fine è l’assoluto presente. Avremo (se va bene) gli uomini dell’assoluto
presente: bambini tecnologici. Direi anch’io molto volentieri: libera nos a
malo. Ma non so a chi mi rivolgo. Nel nostro caso forse è così. Agli altri
la risposta è il silenzio, magari noi un poco impauriti per le nuvole
all’orizzonte.