TESTAMENTO
di Nicolino Longo
In vista del capolinea
della vita: che più sole e suole
ai miei passi non dava. E
già a calci preso
persin da me stesso,
io mi recai alla discarica
del tempo
per avere in resto qualche
scampolo d’anni
del rottamato mio
presente.
Ma nulla ottenni se non in
resto altri calci.
Ma pur se in resto altri
calci, e ormai cane
al guinzaglio di se
stesso, e abbaiantesi dentro,
io per te salirò, finché
cielo avrò su di me.
Traccerò strade, su cui
con passi andrai sempre
di carta ed inchiostro. E
un dì,
quando mi chiederai se un
domani fummo insieme,
io ti risponderò, che già
lo fummo fra cent’anni.
E che il futuro, sempre
spunta dal passato.
Seguiterò a guardare, con
lacrime e non occhi,
scheletri fuggire innanzi
a vivi che ne bevvero
il sangue. E che mangiarne
anche, ora vorrebbero l’ossa.
E,
poiché, esser guardato in
faccia dopo morto,
è cosa ch’io da vivo non
sopporto,
seguiterò anche a sperare
di poter morire un giorno
innanzi alla mia tomba,
da cui scenderò a
prendermi
per infin seppellirmi
accanto a me stesso
(quel me stesso già in
loculo da tempo
che ucciso fu dalla vita e
non già dalla morte).
A te solo l’incombenza, di
starmi vicina da lontano.
E quando, a volte, a bordo
del treno dei tuoi pensieri
(di cui pur da morto sarò
binario e pantografo),
tu mi passerai davanti, ti
prego, non bloccarti,
(potresti deragliare e
finirmi addosso). Prosegui pure.
Fa come se io fossi una
stazione disabilitata
(e, che la tua
bellezza
mi straripi ancora, e per
sempre
negli occhi, all’altezza
del cuore).
Penserò io, a com’esserti
poi accanto.
A com’essere motrice, in
testa ancora ai tuoi vagoni.
Per l’attraversamento al
buio d’ogni galleria.
Per il rispetto
d’ogni semaforo rosso. L’elusione d’ogni binario
morto.