IL TRENO DA MOSCA
Conversazione con Maurizio Lo Re
di Mila Fiorentini
Un romanzo classico per alcuni aspetti con tutti gli ingredienti, di
avventura, intesa nell’accezione esistenziale, non tradizionale, dove l’avventura non è fine a se stessa quanto
funzionale ad una riflessione sull’inquietudine del vivere. Siamo di fronte a
un romanzo nel romanzo, libro nel libro, con un lato da spy thriller al quale non vorrei ridurlo, anche se lo spionaggio industriale entra nella vicenda pienamente
e ad un certo momento ne costituisce l’asse portante. Il tema più interessante,
al di là dell’intreccio ben costruito con una scrittura ritmica che tiene viva
l’attenzione, nei rivoli delle pagine dense, dove c’è anche molto spazio alla
descrizione - altra caratteristica del romanzo classico - è l’affresco storico
che ne emerge. Sullo sfondo infatti l’URSS tra la fine degli anni Settanta e
l’inizio degli anni Ottanta, il rapporto con il mondo “italiano”, nonché gli
echi della seconda guerra mondiale e della resistenza ancora vivi in alcuni
personaggi. Tra l’altro l’ispirazione è a fatti reali e il testo è stato
scritto con un lavoro di documentazione attenta oltre che da una penna ben
informata dei fatti. L’autore infatti è un ex ambasciatore italiano a Riga, in
Lettonia, tra il 2000 e il 2004, che, dopo una lunga carriera diplomatica,
traendo spunto dalla sua lunga esperienza, ha scritto una serie di romanzi
storici, La linea della memoria
(2002), Filippo Paolucci, l’italiano che
governò a Riga (2006), Gli amici di
Leuwen (2009) e Domani a Guadalajara
(2013), l’ultimo dei quali appunto Il
treno da Mosca, appena uscito per i tipi della Oltre Edizioni.
Per saperne di più lo abbiamo incontrato l’autore.
Qual è la prima immagine, parola, emozione
da cui è nata la scrittura del libro?
«Faccio
fatica a individuare una sola immagine, parola o emozione da cui è nata la
scrittura del romanzo. All’inizio non avevo nemmeno l’idea di scrivere questo
tipo di libro. Negli ultimi sei anni ho scritto altre cose, particolarmente
saggistica, ma non un romanzo. Però avevo voglia di continuare a scavare nella
storia della seconda guerra mondiale. Tra l’altro, nel romanzo, accanto ai
personaggi immaginari compare anche Michele Lanza, limpida figura che ha
onorato la diplomazia italiana e ha lasciato un prezioso diario, sotto lo
pseudonimo di Leonardo Simoni, Berlino, Ambasciata d’Italia (1939-43), Roma
1946. Anche se la sua figura non è centrale nel romanzo, la sua vicenda è
paradigmatica dell'orientamento della maggioranza dei diplomatici italiani dopo
l'8 settembre 1943, abbandonati a loro stessi, come i militari su tutti i
fronti di guerra. Su quella base poggiano storicamente le vicende dei decenni
successivi e, nella trama romanzesca, le vicende dell’io narrante. Volevo
raccontare gli anni Settanta e Ottanta del ‘’900, avevo in mente i personaggi,
ma non avevo una storia pronta. Allora, ho cominciato a scarabocchiare
annotazioni e, a poco a poco, la storia è venuta fuori da sola, con i
personaggi che vivevano di vita propria. Comunque, se proprio vogliamo
individuare la prima parola, immagine o emozione da cui è scaturito tutto,
direi proprio che si tratta del treno, che figura fin dal titolo. Il treno
riassume in sé il mezzo per viaggiare, il simbolo delle scelte di vita (ognuna
di esse comporta uno spostamento), il ricongiungimento di persone e destini
diversi, senza contare che questo particolare viaggio da Mosca a Venezia prende
le mosse da un altro viaggio in treno, tre anni prima, da Torino a Roma, quando
l’io narrante aveva trovato l’occasione per uscire dalla sua crisi esistenziale
e professionale, dando l’avvio a un nuovo ciclo della sua storia. Comunque, il
viaggio in treno sembra fatto apposta per raccontare le persone e persino dare
forma letteraria al paesaggio.»
Il
treno d’altronde è una ‘figura’ centrale della letteratura russa e qualche
critico ha detto che senza i treni il romanzo russo sarebbe diverso. Il romanzo
è un intreccio tra il mondo russo e quello italiano, un confronto tra due
realtà molto diverse, per certi versi a distanze siderali, eppure intrecciate:
la sottrazione di un segreto industriale da parte italiana, il supporto per la
fuga di un cittadino sovietico e la richiesta di asilo nel nostro Paese sono
gli ingredienti essenziali della trama.
Qual è per quello che lei conosce la
situazione dei rapporti tra Italia e Russia oggi rispetto agli anni di cui
parla?
«Cercherò
di dare una risposta semplice e necessariamente incompleta a una domanda molto
complessa. Negli anni Settanta e Ottanta del ‘900 i rapporti internazionali
erano chiari, la cortina di ferro divideva l’Europa in due parti e per l’Italia
i riferimenti costanti erano la Comunità Europea e la Nato. Ciascun Paese
sapeva quali erano le regole del gioco e come muoversi. L’Italia, pur
muovendosi sui binari prefissati, sapeva ritagliarsi un importante ruolo
economico nei rapporti con l’URSS; basta guardare agli affari di Fiat e
Olivetti. Oggi il quadro internazionale è confuso. In particolare, la Russia si
oppone all’ordine internazionale sorto alla fine della Guerra fredda, dominato
dagli Stati Uniti e basato sulla diffusione dei valori occidentali, mentre la
politica estera di Trump mostra fastidio per un ordine internazionale fondato
su regole condivise e su istituzioni internazionali efficaci e riconosciute.
Con il grave deterioramento delle relazioni tra Occidente e Russia seguito alla
crisi in Ucraina del 2014, l’Italia ha avuto maggiori difficoltà a bilanciare i
suoi interessi euro-atlantici con il desiderio di tenere la Russia ‘agganciata’
alle strutture di cooperazione occidentali. L’Italia ha condannato l’annessione
della Crimea e il sostegno ai ribelli nel Donbass da parte della Russia, reagendo
congiuntamente all’Unione Europea e alla Nato attraverso l’adozione di sanzioni
economiche, il rafforzamento del fianco orientale della Nato e l’attivazione di
iniziative nel campo della sicurezza cibernetica. L’Italia è il sesto paese per
volumi di scambi con la Russia e il secondo più grande importatore di gas russo
in Europa. E’ pertanto vitale attutire l’impatto delle sanzioni sulle nostre
esportazioni verso la Russia. D’altra parte, oggi ci troviamo di fronte ad un
attacco senza precedenti al progetto europeo, che è vitale per gli interessi
italiani, in parte motivato dall’azione di forze politiche interne, che
rivendicano una presunta necessità di recuperare spazio per l’esercizio di
poteri nazionali, in parte proveniente dalle potenze (USA e Russia) interessate
per motivi geostrategici a indebolire l’Unione Europea. Per l’Italia,
paradossalmente, oggi è più difficile muoversi nei rapporti con la Russia di
quanto lo fosse nei rapporti con l’Unione Sovietica.»
Oggi potrebbe scrivere lo stesso libro o
quella stessa storia avrebbe un esito diverso? I visti non sono sempre facili e
non possiamo illuderci che la sottrazione di segreti industriali sia finita,
immagino.
«Non
potrei scrivere lo stesso libro ambientandolo nella realtà odierna. Psicologia
dei personaggi e vicende potrebbero essere le stesse o analoghe, il
trafugamento di segreti militari e industriali è ancora attuale, ma non c’è più
l’Unione Sovietica, con l’impossibilità dei cittadini sovietici di lasciare il
loro paese: mancherebbe quindi la chiave di volta su cui si sorregge la
narrazione.»
Questo libro pensa che avrà un seguito in
qualche modo?
«Al
momento non prevedo nessun seguito. I principali personaggi di questo libro
sono gli stessi che compaiono nel mio romanzo Gli amici di Leuwen (2009) e uno, Roberto Renzi, era comparso
addirittura nella parte finale del mio primo romanzo La linea della memoria (2002). Tuttavia, Il treno da Mosca non è inteso come una continuazione delle vicende
precedentemente narrate. Diciamo che sono affezionato a quei personaggi, quindi
non si può escludere che compaiano ancora.»
Un
altro elemento di continuità è certamente il ritrovamento del libro e dello
stesso libro che compare appunto anche nel titolo di uno dei due romanzi che ha
citato, motore scatenante della vicenda e pungolo della rivoluzione interiore,
del riscatto della voce narrante.
Com’è nata questa scelta?
«Stendhal è uno dei miei autori cult. Il mio riferimento al Lucien Leuwen, in particolare, riguarda
il tema delle persone che resistono al proprio destino, cercando di cambiarlo,
o meglio di conquistarlo. Destino individuale e libera scelta sono i due poli
delle vicende dei vari personaggi, che li accomunano in una specialissima
famiglia, quella degli amici di Leuwen.» In ogni personaggio del libro ma forse
in ogni vita esiste un intreccio e una dialettica fra destino e capacità di
scelta e l’io narrante sembra riscattarsi proprio dall’appiattimento sul
destino, come in qualche modo ciascuno dei personaggi della vicenda, nel momento
in cui è pronto a rischiare di nuotare contro corrente prendendo in mano la
propria esistenza, che per il protagonista alla fine del libro diventa
addirittura ‘completa’.