di Maddalena Caspani
Consideriamo questi uomini, Arkhipov, Basset et
Petrov, come degli eroi perché, anche a distanza di tempo, siamo consapevoli
dell’impatto che le loro scelte responsabili hanno avuto sul destino
dell’umanità.
A partire da qui, vorrei condividere alcune riflessioni
sull’illusione della sicurezza che l’arma nucleare conferisce a chi la possiede
(o vuole possederla) e sull’adattabilità di certi comportamenti umani.
Lo stato di dipendenza e di vulnerabilità che
caratterizza l’inizio della vita, implica che protezione e sicurezza poggiano
interamente sull’entourage dell’infans.
Crescendo, ognuno di noi diventa sempre più responsabile della propria
sicurezza, ma sempre in relazione all’ambiente, perché la dimensione personale
è strettamente legata a quella sociale. Il bisogno di protezione si prolunga in
età adulta e una delle protezioni che i cittadini chiedono allo Stato è
designata con il termine di ‘sicurezza nazionale’. Uno Stato nucleare,
attraverso i suoi responsabili politici e militari, promette di assicurarla, ma
di fronte ad un aumento di una minaccia esterna si ritrova vulnerabile e in
risposta è tentato di aumentare/modernizzare (e di fatto lo fa) il suo
arsenale, che gli crea una sorta di dipendenza di proporzioni gigantesche.
Il ‘nuclearismo’ è un termine apparso negli anni
1960 nel mondo anglosassone per indicare una dottrina che difende l’arma
nucleare come mezzo per assicurare la pace e la sicurezza nazionale che,
lasciato nelle mani dei politici e degli esperti, allontana la nostra
responsabilità personale. Il nuclearismo ha le caratteristiche di una
dipendenza psicologica dalla quale è particolarmente difficile liberarsi.
Ma vi è un grande divario tra il bisogno psicologico
di sicurezza e la minaccia reale. Viene ora da chiedersi: come possono dei
soggetti adattarsi ed aderire attivamente o passivamente a una situazione
inquietante e pericolosa per la loro vita e per quella delle generazioni
future, e fare come se la minaccia di distruzione dell’umanità non esistesse? Il
fenomeno adattativo, presente in ognuno di noi, si basa sul bisogno di
sicurezza che ci protegge dalle angosce arcaiche di frammentazione e di
annientamento.
Chi è obbligato ad adattarsi a ciò che trova è il
neonato. Non ha scelta. Come abbiamo visto, dipende totalmente dall’Altro e da
un ambiente che favorisce la sicurezza di base indispensabile al suo sviluppo e
alla sua sopravvivenza. Il cammino è lungo tra il ‘non avere scelta’ e il poter
scegliere, e resterà sempre nell’inconscio di ognuno di noi un residuo più o
meno importante di questo nucleo di dipendenza totale che spingerà a ricercare
un legame simbiotico e a «depositare» nel mondo esterno (persona, istituzione,
ideologia) la propria sicurezza (ogni riferimento a certe situazioni politiche non
è casuale).
Questa situazione si caratterizza per un’assenza di
conflitto interno che conferisce al soggetto in cerca di sicurezza, di
riconoscimento e di appartenenza, un’adattabilità nei confronti del mondo
esterno. Questa è alla base di certi comportamenti a-critici e conformisti che
consentono, in un contesto di gruppo, di adattarsi a tutto, fino ad accettare come
qualcosa di scontato e di ovvio, l’inaccettabile.
Si annulla così la capacità di pensare, di
simbolizzare, di fare delle scelte responsabili, aprendo la strada alla manipolazione
da parte di chi detiene il potere. In questo modo, una situazione esterna, da
inquietante finisce per diventare familiare. I sentimenti di vergogna, di
indignazione, di rivolta… sono in un certo modo confiscati, ridotti al
silenzio. Ed è proprio una cappa di silenzio che avvolge il pericolo che fanno
correre all’umanità le armi nucleari.
Il pericolo del silenzio è in agguato per tutti noi.
Oltre che muti, rischiamo di diventare anche sordi e ciechi? - secondo
l’espressione del filosofo Günther Anders, un pensatore di riferimento sulla
questione nucleare. Più nessuno dovrebbe poter dire: ‘non lo sapevo’.
La testimonianza di questi eroi è proprio di
non essersi ‘adattati’ all’inaccettabile ma di essere disposti a pagare di
persona, e non a far pagare ad altri le conseguenze di scelte irrevocabili e irresponsabili.