LA SALA CAPITOLARE
In Santa Maria Della Passione
In Santa Maria Della Passione
di Angelo Gaccione
Veduta della Sala Capitolare |
Chissà se Edith Wharton avesse visto
la Sala Capitolare del Bergognone quando ebbe a scrivere entusiasta che “Neppure a un’occhiata veloce Milano può
sembrare poco interessante”. Forse
non l’aveva vista neppure Piovene che ci parla di Milano con un affetto
singolare e senza mezze misure scrive che “Milano
è bella”; e se lo dice lui che era nato nella bellissima Vicenza, possiamo
credergli. Ma si sa, i veri innamorati di Milano sono i non-milanesi. Non
sappiamo se la Wharton fosse entrata nella basilica di Santa Maria della
Passione in via Conservatorio, la seconda chiesa più grande di Milano dopo il
Duomo. Per anni ero stato convinto che fosse San Marco, la chiesa del quartiere
di Brera, quella più grande dopo il Duomo: non si finisce mai di imparare.
Wharton era statunitense e se non vi è entrata è scusabile; imperdonabili sono
i milanesi che ignorano questo gioiello: speriamo che la finanza non abbia
corrotto definitivamente l’anima dei suoi abitanti. Io che la giro in lungo e
in largo potrei raccontarvi delle incurie più scandalose e del più assurdo degrado,
così come delle sue celate meraviglie e dei suoi tesori più stupefacenti.
Uno
di questi tesori è la Sala Capitolare. Se stiamo al nome che la connota vi si
doveva riunire il Collegio dei canonici, il Capitolo. Un gruppo di uomini di
chiesa selezionati e di robuste capacità dottrinali. Dei veri privilegiati sul
piano dell’autorità morale, ed erano loro ad avere “voce in Capitolo” su
questioni complesse. Ma pare che questa Sala funzionasse anche come luogo di
lettura, e che i meravigliosi affreschi e dipinti che la adornano, con la
figura del Cristo al centro della scena che regge un cartiglio su cui si legge
il motto Diligite invicem e con
quelle degli apostoli disposte ai suoi due lati, costituissero indubbiamente
una presenza forte, una guida sicura, per la fede e le opere. Bellissime le
grottesche presenti nelle vele e bella la volta dove splende un cielo stellato.
Sia la
figura del Cristo, che quelle degli apostoli, sono riprodotte ad altezza
naturale; i colori sono vivaci e luminosi, i corpi ed i volti realizzati con
intenso realismo. E se anche l’atteggiamento privilegia una postura
introspettiva e ieratica, non c’è dubbio che ci troviamo oramai al di là di
quella soglia espressiva e stilistica che trova nel realismo lombardo e nel
rinascimento, la sua compiuta maturità.
A chi si deve questo capolavoro
pittorico che come gli splendidi affreschi di San Maurizio al Monastero
Maggiore rappresentano una delle eccellenze della nostra città? Le fonti ne
assegnano il merito ad Ambrogio da Fossano e alla sua bottega. E allora sia
lode al Bergognone, con questo curioso nomignolo è più noto nella storia
dell’arte. Bergognonis si era firmato
lui stesso in occasione di alcuni lavori eseguiti a Milano e a Lodi, se lo era
dunque auto-attribuito, facendo scervellare gli studiosi. E sia lode a quanti
giungeranno in via Bellini, accanto al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, e
entrando in Santa Maria della Passione, dopo essersi lasciati incantare dall’Ultima
Cena di Gaudenzio Ferrari e dalla Deposizione
di Bernardino Luini, andranno a sostare nella quattrocentesca Sala Capitolare del
Bergognone, davanti al Cristo, ai suoi apostoli, ai suoi santi.