UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

venerdì 31 gennaio 2025

TRUMP E I TROMBETTIERI
di Cataldo Russo
 

Cari Americani, Trump ve la regalerà la guerra, non disperate.


Mister Bretelle, da imbonitore qual è, potrà anche farci credere di conoscere l’America come i suoi calzini, potrà dirci che solo lui pronuncia correttamente il cognome dell’attuale presidente americano dai capelli di granturco, essendosi esercitato a lungo a pronunciare il “tru” di Trump alla siciliana e alla calabrese (trjamp); può anche farci credere di essere un tuttologo, ma non potrà continuare a spacciare le sue panzane e le sue strampalate idee per verità assolute. Ieri trombettista democratico e oggi strizza l’occhio ai repubblicani. In vista del salto della quaglia che si accinge a fare, il buon Rampini si spreme le meningi come meglio può per far emergere tutto il buono che c’è in Trump ora che è arrivato al potere per la seconda volta.
Rampini e tutta la pletora di giornalisti filoamericani potranno arrampicarsi sugli specchi per dimostrarci che l’America con Trump non corre alcun pericolo perché quello che farà altro non sarà che quello che hanno iniziato altri governi, anche democratici, prima di lui. E noi ci crediamo, perché siamo consci che in America in politica estera non c’è discontinuità fra quello che fanno i democratici e quello che fanno i repubblicani.


Rampini

Io non so quanto l’America e il mondo siano più in pericolo con Trump di quanto non lo siano stati con altri presidenti, ma so che è un paese in crisi, soprattutto economica, anche perché di valori lo è sempre stata, e questo mi preoccupa perché so che gli USA, quando si sentono in crisi economica, si comportano come quei drogati in crisi di astinenza che devono procurarsi la dose ad ogni costo, anche ricorrendo al furto e al crimine.
Nei confronti dell’America noi abbiamo assunto sempre l’atteggiamento di benevolenza e di comprensione che si ha verso quei bambini capricciosi e bisbetici che ne combinano una dopo l’altra.
Gli USA hanno buttato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki? Sì, no, oh Dio, ma eravamo in guerra! E se certe porcate non si fanno quando si è in guerra, quando si possono fare? È persino inutile ribattere che le bombe furono gettare il 6 e 9 agosto del 1945 a guerra finita, tanto i filoamericani a prescindere diranno che è stato solo un regalo.
Non c’è presidente americano dal 1945 ad oggi che non abbia coronato il suo sogno presidenziale scatenando una guerra con la motivazione di difendere gli interessi americani.
Harry Truman, presidente democratico dal 1945 al 1953, è stato il presidente della guerra alla Corea del Nord con la motivazione che bisognava difendere la libertà e l’autonomia dell’alleato Corea del Sud, minacciata dagli altri coreani, i comunisti del Nord.
Al Repubblicano Dwight D. Eisenhower, presidente dal 1953 al 1961, toccò l’onere o l’onore di siglare l’armistizio con la Corea del Nord, ma intensificò la cosiddetta Guerra Fredda contro il pericolo comunista rappresentato dalla Russia e dalla Cina.


Kennedy e la moglie

Il democratico John Fitzgerald Kennedy, salito al potere nel 1961 e i cui sogni di fare grande l’America si infransero a Dallas nel 1963 con il suo assassinio, portò in pochi mesi i consiglieri militari statunitensi in Vietnam da qualche centinaio a 16.000 e, di fatto, fu l'iniziatore del conflitto che avrebbe segnato l'America per generazioni. Fu anche il presidente della Baia dei Porci, cioè del tentativo, fallito, di invadere Cuba di Fidel Castro che era finita nell’orbita comunista.
Lyndon Johnson, democratico, succeduto a Kennedy, che fu presidente dal 1963 al 1969 intensificò l'escalation della Guerra del Vietnam. Come se non bastasse, nel 1965 Johnson ordinò anche l'invasione della Repubblica Domenicana per rovesciare il governo socialista di Juan Bosch Gavino.
Richard Nixon, repubblicano, presidente dal 1969 al 1974, chiuse la guerra in Vietnam dopo un'escalation di bombardamenti a tappeto sulle città e le campagne del Nord e, segretamente, in Cambogia e Laos.
A Gerald Ford, presidente repubblicano dal1974 al1977, rimase il cruccio di non aver potuto fare la sua bella guerra contro il Vietnam del Nord perché il Congresso non gli diede il permesso.
Il democratico Jimmy Carter, presidente dal 1977al 1981, mandò aiuti militari segreti ai mujaheddin afghani, attraverso i sauditi e i pachistani, quando l'unione sovietica invase l'Afghanistan.
Mary Shelley, autrice di Frankenstein, ci insegna che, quando si crea il mostro questi finisce con il distruggere il suo ideatore. E così fu, perché il passaggio dai mujaheddin alla jihad di Osama Bin Laden il passo fu breve. Carter è anche ricordato per aver fallito il blitz militare per liberare gli ostaggi dell'ambasciata americana a Teheran.
Ronald Reagan, l’attore repubblicano, è stato presidente dal 1981al1989. Lo statuario Reagan fu protagonista di due azioni militari: l'invasione di Grenada nel 1983, decisa perché un regime filomarxista non si affiancasse a quello cubano in quell'area; il bombardamento di Tripoli nel 1986 con l'obiettivo di colpire Gheddafi.


Obama e Bush

George H. W. Bush senior, presidente repubblicano dal1989 al 1993 combatté e vinse la prima guerra del Golfo, dopo l'invasione da parte di Saddam Hussein del Kuwait. Nel dicembre del 1989 invase Panama inviandovi 24.000 soldati allo scopo di abbattere il dittatore Manuel Noriega.
Il democratico Bill Clinton che fu presidente dal 1993 al 2000, ricordato fra le altre cose per i suoi tradimenti extraconiugali, inviò e poi ritirò le truppe americane dalla Somalia. Due anni dopo, ordinò i raid aerei contro i serbi di Bosnia per costringerli a trattare e, dopo gli accordi di Dayton, dispiegò una forza di pace nei Balcani. Nel 1998, in risposta agli attentati di Al Qaeda, per ritorsione fece bombardare obiettivi in Afghanistan e in Sudan. Un anno dopo, il teatro di guerra tornò ad essere i Balcani. Ancora una volta, gli Usa furono protagonisti della Guerra del Kosovo e della caduta di Milosevic.
Il repubblicano George W. Bush Junior è stato presidente dal 2001 al 2009. Bush è passato alla storia come il presidente delle due ultime guerre americane in grande stile: Afghanistan e Iraq come risposta all'attacco delle Torri Gemelle. Se la prima ebbe l'appoggio di quasi tutti gli americani, la seconda invece venne largamente contestata dall'opinione pubblica statunitense e mondiale. Tant’è che per trovare una giustificazione ai suoi propositi bellicisti dovette inventarsi la patacca della fiala all’antrace.
Barack Obama, presidente democratico dal 2009 al 2017, gioca la carta del ritiro delle truppe da Kabul. Mossa azzeccata che gli valse il premio Nobel per la Pace. Anche lui, però, non sa resistere alle tentazioni belliciste con i noti interventi in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan. Ha inoltre fatto bombardare anche lo Yemen, la Somalia e il Pakistan. Secondo alcuni analisti è stato il presidente americano che ha tenuto in guerra gli Stati Uniti per più tempo. Alla faccia del Premio Nobel per la Pace!
Il lupo perde il pelo ma non il vizio, e così il repubblicano Trump, presidente dal 2017 al 2021, non manca l’occasione per la sua prova di forza, bombardando, nella notte del 6 e 7 aprile del 2017, la Siria.
Per il democratico Biden la rappresaglia israeliana contro i palestinesi e la guerra in Ucraina sono una vera manna dal cielo perché senza guerra non avrebbe saputo cosa fare e dire.  
 


Ginsberg

Allen Ginsberg, poeta ribelle della beat generation, nel su poema America, si chiede: “America quando finiremo la guerra umana”.
L’America ha due grandi ossessioni: il comunismo e la guerra. Hai voglia di dire che la Russia non è più un paese comunista, che è un paese capitalista in mano a una oligarchia di capitalisti della peggior specie e che il comunismo con Putin e la Russia attuale c’entra come i cavoli a merenda. Gli Usa hanno bisogno dello spettro del comunismo per alimentare la paura. A proposito dell’ossessione del comunismo Ginsberg scriveva ancora ironicamente nel poema: “La Russia vuole mangiarci vivi. La Russia è pazza di potere. Vuole portarci via le automobili dai garages. Vuole impadronirsi di Chicago. Ha bisogno di un Readers’ Digest Rosso. Vuole le nostre fabbriche di automobili in Siberia. Che la sua grossa burocrazia diriga le nostre stazioni di rifornimento”.


Trump e Netanyahu

L’altra fisima è la guerra. Ma perché l’America ha questa ossessione per la guerra? Il motivo a mio avviso è prevalentemente religioso. Gli stati Uniti sono per lo più calvinisti, cioè seguaci di Giovanni Calvino, nato a Noyon in Francia il 10 luglio 1509 e morto a Ginevra il 27/5/1564, che è stato il massimo riformatore del cristianesimo, insieme a Lutero. Secondo il pensiero del grande teologo francese, tutto ciò che accade sulla terra avviene per volontà di Dio, che è il sovrano di tutto e di tutti. Secondo la sua dottrina ci sono persone predestinate alla perdizione e altri, gli eletti, predestinati alla salvezza e alla felicità.
Pensare di mettere in discussione o semplicemente di criticare la sovranità divina è di per sé un atto blasfemo. Calvino proponeva un principio formale, rappresentato dalla predominanza della Bibbia, un principio materiale, incarnato dalla sovranità della divinità, un principio etico contenuto nella responsabilità di servire Dio e un “principio ultimo” che è la gloria di Dio. A questi principi tutti gli uomini devono contribuire perché c’è di mezzo la loro salvezza. Inoltre, il lavoro per i calvinisti diventa quasi una vocazione religiosa: è Dio che ci chiama a esso. Il successo che ne consegue perciò è la garanzia che «Dio è con noi» e che siamo gli eletti.
Il Calvinismo fu portato in America dai 102 padri pellegrini, un gruppo di cristiani protestanti, definiti puritani dagli altri cristiani per la rigorosa condotta morale della loro vita, che si videro costretti ad abbandonare l’Inghilterra, così l’11 Nov. 1620 sbarcarono sulle coste del Massachusetts. Se per un cattolico il passaporto per il Paradiso si conquista con le opere buone e una morigerata condotta di vita, per il calvinista la certezza della salvezza eterna e del Paradiso si ha attraverso la ricchezza. In America i poveri sono sfigati due volte. Una volta perché sono costretti a vivere negli stenti e nelle privazioni la loro parentesi sulla terra, una seconda volta perché le porte del Paradiso per loro rimangono serrate.



La guerra è stata sempre vista dagli americani come un’opportunità per produrre ricchezza e per dimostrare al mondo, con la vittoria finale, che l’America è la nazione eletta per antonomasia. La tentazione dei presidenti americani di fare la loro bella guerra per guadagnarsi i galloni per il Paradiso è forte, anzi fortissima.
Tutto ciò è meglio sintetizzato dal farneticante pensiero di Trump, secondo il quale, essendosela cavata con un leggero foro all’orecchio destro nell’attentato del 13 luglio 2024, mentre teneva un comizio elettorale in una fiera agricola a Meridian, in Pennsylvania, questo è un segno chiaro e inequivocabile  della sua predestinazione a fare ancora grande l’America, costi quel che costi. “I’ll make America great again” è lo slogan che l’ha accompagnato durante la sua campagna elettorale. Trump è certamente un invasato che pensa di ascendere in paradiso seminando il suo cammino di torturati, discriminati, perseguitati e morti, ma ce n’è un altro in questo momento che in quanto a pericolo non è secondo a nessuno: Benjamin Netanyahu, che ha un unico obiettivo annientare i palestinesi, cancellarli dalla faccia della terra e prendersi le loro terre. Tutta la solidarietà che il mondo ha dimostrato nei confronti dell’olocausto si infrange contro la protervia criminale di Netanyahu, sempre più convinto che il suo popolo è il popolo eletto e ha pieno diritto di sfrattare chiunque dalla Palestina.
La religione è stata troppo spesso all’origine delle guerre, ma mai come in questi tempi essa risulta essere l’elemento più divisivo dei popoli.

 

 

 

 

LA POLITICA OCCIDENTALE CAMBIERÀ PELLE?  
di Luigi Mazzella


 
Il cinema indipendente americano e alcune produzioni televisive in streaming ci hanno dato tessere utili per comporre il complesso mosaico della localizzazione attuale del potere politico negli United States (e quindi, per propagazione in tutto l’Occidente). Film e serial coraggiosi hanno denunciato l’esistenza di equivoci e diretti rapporti tra la lobby finanziaria di Wall Street e il principale organo dell’intelligence statunitense nonché di fonti di finanziamento di quest’ultimo provenienti dal traffico di droga sudamericana.
Una visione soddisfacente della degenerazione profondamente antidemocratica in atto nel Paese d’oltre Oceano, però, è possibile averla solo ricavando aliunde altri elementi atti a completare il quadro. Dalla cronaca degli ultimi momenti del primo mandato presidenziale di Donald Trump, si può ricavare che il Pentagono può tranquillamente disattendere un ordine del Presidente, da cui formalmente dipende come suo braccio armato, e rifiutarsi di eseguirlo. Ciò è avvenuto concretamente, infatti, quando il Presidente Trump aveva disposto il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan e i generali si erano sostanzialmente opposti, lasciando cadere nel nulla il comando e sul posto molti giovani ragazzi attesi, da tempo, dalle loro famiglie. Le notizie circa le difficoltà da sempre incontrate dallo stesso Presidente Trump con i vertici della CIA e dell’FBI hanno riempito, a loro tempo, intere pagine di giornali. L’ordine di “desecratazione” degli atti relativi all’omicidio dei due fratelli Kennedy (JF e Robert) e di Martin Luther King rappresenta la riprova che il Presidente, rieletto, voglia come suol dirsi “riaprire i conti”, “scoprire gli altarini” ed “eliminare qualche sepolcro imbiancato” (segno evidente che voci circolate negli ambienti politici, non solo americani, su responsabilità precise e gravi potrebbero avere qualche fondamento e risultare utili per  detronizzare o contenere uno strapotere esplicato anche a livello internazionale attraverso la rete spionistica e militare). Si è solo, invece, a livello di voci tanto insistenti quanto incontrollate relativamente alla ventilata l’esistenza di una coalizione, formatasi negli anni, soprattutto del secondo dopoguerra mondiale, tra la lobby finanziaria di Wall Street (e, a rimorchio, della City) e il Partito Democratico Statunitense (e quello, allo stesso titolo, laburista alla Tony Blair), comprendente la CIA (e, quindi, l’MI6) l’FBI, il Pentagono.



Un tale “accrocco” sarebbe divenuto addirittura “transnazionale”, in quanto esteso, con il sostegno dei servizi segreti “deviati” dalle spie americane in tutti i Paesi dell’Occidente, a tutti i partiti della Sinistra Occidentale, quelli ufficiali e quelli di rincalzo (con il ruolo di critici “agenti provocatori”).
Presumibilmente, chi nel corso di decenni ha costruito una tale “piramide” di potere non mollerà, con facilità, il ruolo conquistato nel governo dell’Occidente. E ciò, grazie a una serie di accorgimenti anche costituzionali, tra i quali primeggia, secondo un punto di vista sempre più diffuso, il ruolo assegnato all’ordine giudiziario sotto il falso mantello dell’autonomia e dell’indipendenza dalla “politica”. Il “popolo bue” in tutto l’Occidente, egemonizzato dalle potenze anglosassoni, secondo gli “architettati” orientamenti politici della suddetta coalizione, dovrebbe essere tenuto a bada dal “pauperismo” caritatevole e peloso, mutuato dal catto-comunismo mondiale, elevato a sistema di governo comune, con la concessione di sussidi, di bonus, di redditi di varia denominazione, di flat-tax per poveri et similia.
Questo nei propositi della vecchia e collaudata politica dei finti sinistrorsi del “buonismo” Occidentale.



Domanda: che succederà ora con l’avvento di Trump, Musk e altri giganti dell’Hi-tech che puntano a stravolgere tutti i canoni della vecchia politica del Partito Democratico Transnazionale e della vecchia Finanza del Dollaro imperniata soprattutto sui proventi dell’industria delle armi, resa fiorente da tutti i Presidenti Democratici (con la palma della vittoria spettante a Barack Obama, iniziatore di ben tre guerre e insignito dagli Svedesi del Premio Nobel per la Pace)? C’è chi risponde nulla di buono, perché la cultura dell’Occidente resta pur sempre quella dei cinque assolutismi incrociati. Un credo religioso dei tre presenti garantirà la persistenza di usanze e costumanze, pubbliche e private, del focoso Medio-Oriente garantendo un ricco futuro emotivo ai popoli e agli individui che si vantano di essere considerati “passionali”; cadendo in disgrazia i buonisti della carità sinistrorsa, la “fiaccola” della popolarità a buon mercato sarà raccolta dall’ala destrorsa del teutonico hegelismo. È ancora presto per azzardare previsioni, ma i segnali ci sono e sono inequivocabili. L’antenna del girellismo italico, tutt’altro che distratto, li ha già colti tutti e sembra voler capeggiare una seconda “rivoluzione fascista”, sempre sotto il segno di una M, ma questa volta di una “figlia del secolo”. Gli eredi “ideali” di Scurati e di Joe Wright avranno di che scrivere e filmare.
Resteranno, con gli occhi sbarrati, i pochi sognatori di un ritorno alla “razionalità” dei tempi aurei della civiltà mediterranea, sempre che la razza non si estingua.
 

 

 

 

UNA VOCE PALESTINESE
di Pierpaolo Calonaci


Tayeed Debie

A partire da questo numero Tayeed Debie inizia la sua collaborazione con “Odissea”. Pierpaolo Calonaci la presenta ai nostri lettori con questo scritto. Per evitare una eccessiva lunghezza abbiamo deciso di pubblicare a parte il contributo di Debie, che troverete appena sotto qui in prima pagina.
  
Con emozione e profonda gioia vorrei introdurre ai lettori e alle lettrici di “Odissea”, Tayeed Debie. Ho conosciuto Tayeed grazie all'amico Marco Zinno, fondatore del canale pubblico Nuova Resistenza. Qualche mese quest'ultimo organizzò una videochiamata con Tayeed e questa fu l’occasione per me di conoscerla. Il loro sodalizio iniziò negli anni 2014/2015 quando curarono per Nuova Resistenza alcune trasmissioni radio (web radio Nuova Resistenza) dalla Palestina occupata in cui Tayeed raccontava in diretta la situazione di allora (oltre a lei intervenivano altre persone). Poi la collaborazione s’interruppe ma non l’amicizia. Durante quella videochiamata Tayeed mi ha parlato del suo impegno intellettuale e sociale con cui raccontare il suo popolo e dunque mi era nata l’idea di presentare le sue riflessioni a Odissea. Grazie alla sensibilità e all’attenzione sconfinate del direttore Gaccione, troverete di seguito un articolo del gennaio 2024 di Tayeed che viene pubblicato per la prima volta in italiano. Tayeed è fondamentale perché rappresenta una testimonianza da dentro la condizione del popolo palestinese, il cui coraggio non smette di stupire non solo come resistenza sine die contro l’oppressione dello Stato israeliano ma anche come voce che chiede instancabilmente al mondo di rompere con tutte quelle immagini idolatriche - frutto dell’indottrinamento religioso associato alla propaganda ideologica sionista del governo israeliano - che raffigurano il tipo palestinese tanto incapace di cultura, di pensiero, di umanità (la cui sola rappresentazione è associata al cammello donde il palestinese degradato a animale è degno solo di essere sfruttato) quanto sinonimo di terrorista ossia carne da sterminio.
Gli articoli di Tayeed sono ovviamente in arabo per cui devo usare Google traduttore. Personalmente, dopo la traduzione in automatico, ho riguardato tutto il testo per vedere se il filo del discorso in italiano possa tenere. La traduzione automatica cambia in peggio la forma estetica del testo originario. Lo so, questa è un grosso inconveniente che vale la pena accettare se vogliamo prestare attenzione alla voce di una palestinese che guarda alla dignità umana con gli occhi dei palestinesi. Invito quindi a cogliere il senso del contenuto.
Infine, ho chiesto a Tayeed di presentarsi e ha scelto di farlo con alcune note che descrivono il suo ricco percorso accademico.



Il mio nome è Tayeed Debie. Sono nata a Gerusalemme. Ho conseguito una laurea in Psicologia presso l’Università nazionale An-Najah di Nablus. Laurea triennale in Giurisprudenza presso il Modern University College di Ramallah. Studente magistrale in Nonviolenza e Diritti Umani presso l’University College for Nonviolence and Human Rights di Aunohr, Libano. Studente magistrale in Diritto penale e Criminologia presso l’Università di Tunisi El Manar in Tunisia. Lavoro come ricercatrice giuridica. Vivo tra le città di Nablus, dove vive la mia famiglia, e Ramallah, dove lavoro. Entrambe le città si trovano nella parte di ciò che restava della Palestina che Israele occupò nel 1967, che è nota come Cisgiordania. Sono una scrittrice che crede nella nonviolenza come mezzo per liberare il mio popolo dall’ingiustizia dell’occupazione.

 

 

 

UNA LEZIONE DALLA STORIA PER GAZA 
di Tayeed Debie


Dal 7 ottobre scorso, il treno della morte israeliano si è precipitato in avanti in modo più criminale e violento che mai, e continua a divorare tutto ciò che incontra sul suo cammino con la benedizione ufficiale dell’America, dell’Europa e di altri paesi che pensavamo fossero fratelli o amici del popolo palestinese. Non c’è alcuna sorpresa nella posizione dell’America e dell’Europa nei confronti di Israele, poiché la loro relazione è come quella di nonno, figlio e nipote. La nonna Europa, guidata dalla Gran Bretagna, ha una lunga storia. Da tempo sradica i popoli, saccheggia le ricchezze e distorce i fatti e la storia. L’Europa, che ha invaso il cosiddetto Nuovo Mondo, e ha trovato terre, ricchezze e, soprattutto, grandi popoli e civiltà, non ha fatto altro che sterminare questi popoli indigeni, che erano più di 100 milioni, distribuiti in più di 400 popoli e tribù, chiamandoli “Indiani Rossi”. Questo sterminio fu l’elemento più importante su cui si basa l’idea di America. Questo genocidio si basava su un’ideologia razzista e suprematista fortemente influenzata dall'Antico Testamento, al punto che gli invasori europei chiamarono il Nuovo Mondo, la terra di Nuova Canaan, e ispirati dall'idea dell'Israele storico, iniziarono operazioni brutali di sterminio degli indigeni uccidendoli in vari modi, arrivando al punto di consegnare loro oggetti contaminati dal vaiolo e da altre epidemie che portarono alla cancellazione di interi popoli e tribù. Gli invasori ingannarono oltretutto gli indigeni con centinaia di “accordi di pace” per far loro credere di essere al sicuro, al punto da creare quella che chiamarono l’Autorità Nazionale Indiana! Non solo gli indigeni soffrirono a causa delle pratiche genocidiarie dei governi, al quale i coloni bianchi parteciparono. Cacciare gli indigeni e mutilare i loro cadaveri era uno degli sport preferiti.

Per gli americani, scalpare gli indigeni divenne la via più breve verso la ricchezza poiché ricevevano ricche ricompense per ogni scalpo. Questi massacri continuarono per decenni e secoli e continuano ancora oggi, poiché la popolazione indigena è diventata minoranza nella propria terra d’origine, vivendo in “riserve” frammentate e isolate. Non meno pericoloso di tutto questo è il modo con cui i popoli indigeni attraverso la distorsione della propria storia e civiltà sono stati degradati. La potente macchina mediatica americana ha lavorato per invertire i fatti e trasformare la vittima in carnefice, dipingendo gli indigeni come semplici mostri con piume che crescono sulla testa che attaccano i bianchi, uccidendoli senza pietà, e che non sanno nulla della “civiltà” dell’uomo bianco. Tutti questi crimini commessi dagli invasori europei furono considerati nient’altro che “danni marginali” per il progresso della civiltà (per un riferimento bibliografico rinvio ai libri di Munir Al-Akkash, Il diritto di sacrificare l’altro, America e genocidi, Uno stato palestinese per i pellerossa, Il Talmud dello zio Sam, America e genocidi culturali).

Dopo il figlio venne il nipote, “Israele”, che fu creato nello stesso stile di suo padre, “America”, il cui nonno “Gran Bretagna”, lo creò sulle stesse basi su cui furono fondate l’America e altri paesi del Nuovo Mondo, ossia sanguinosa violenza, massacri e cancellazione della verità. Il nipote è stato piantato su una terra che non era la sua terra. Il processo di trapianto di questo corpo estraneo non avrebbe avuto successo se non fosse stato accompagnato da una brutale operazione di sradicamento che ha portato allo sfollamento della popolazione autoctona palestinese e alla sua sostituzione con immigrati provenienti da tutto il mondo. Chiunque creda che il processo di pulizia etnica sia semplicemente un evento che si è concluso nel 1948 si sbaglia. Israele non ha mai smesso di perseguitare i palestinesi rimasti nella loro patria, uccidendoli, sfollandoli, arrestandoli e opprimendoli con leggi razziste che rendono loro la vita difficile affinché abbandonino la loro terra. Ciò che sta accadendo oggi nella Striscia di Gaza è un genocidio che continua per il quarto mese consecutivo. Israele ha affermato che il suo obiettivo nella guerra era quello di eliminare il movimento di Hamas, ma i fatti e la storia dimostrano che Israele non prende di mira il movimento di Hamas o altre organizzazioni nella Striscia di Gaza. Il vero obiettivo di Israele è porre fine alla presenza palestinese a Gaza o ridurla al minimo livello possibile, e tutto ciò che sta accadendo è un nuovo anello nella catena del trasferimento, che mira a sfollare gli abitanti della Striscia di Gaza e a rioccuparla nuovamente: questo è il suo scopo ultimo.

Il fondamento sacro del progetto sionista è più terra e meno arabi. Nonostante tutto questo pericolo esistenziale che ci circonda, tutte le leadership palestinesi, senza eccezione, così come i paesi arabi e islamici, sembrano non sapere nulla della natura del progetto sionista o della storia del padre “America” e dei suoi antenati “Europa”, oppure lo sanno ma lo ignorano e continuano a fare appello all’America e all’Europa affinché ci proteggano da Israele! Come possiamo aspettarci che colui che ha creato e nutrito la bestia d’Israele venga un giorno a salvarci da essa? Se il progetto sionista riuscisse a sfollare gli abitanti della Striscia di Gaza, non si tratterebbe che di una nuova catastrofe, seguita da catastrofi successive, le cui vittime sarebbero i palestinesi della Cisgiordania, della regione costiera, della Galilea e del Negev, perché la pulizia etnica nella mentalità sionista è una struttura in continua e crescente crescita. Se il popolo palestinese verrà liquidato, il progetto sionista inizierà a espandersi verso Egitto, Giordania, Libano e altri paesi arabi, perché il desiderio di espandersi, di impadronirsi di più terra, di saccheggiare più ricchezze ed espellere più persone da Israele non si fermerà mai. 

[Trad. di Pierpaolo Calonaci]

 

 

 

 

LA DIFESA DELLA POLONIA
di Romano Rinaldi


 
A fronte dell’ampiamente dimostrata aggressività della Russia nei confronti dei Paesi confinanti, non so quale baluardo potrebbe rappresentare, contro un eventuale (e assai probabile) tentativo di rientrare nel “possesso” del territorio polacco da parte del nuovo impero russo, la presenza di paletti segna-confine tra la Polonia e la Bielorussia, come sembrano rimpiangere Beda Romano e Franco Cotinolo nell’articolo “Ossessione Sicurezza” di Giovedì 30 Gennaio su “Odissea”. Il fatto che la Polonia sia reminiscente della lunga occupazione Russo-Sovietica tra la fine del Settecento e la fine (non l’inizio) del Novecento, a me sembra un terribile sì ma più che buon motivo per costruire nuove fortificazioni ed erigere una cortina di ferro, questa volta ai confini orientali del Paese piuttosto di quella che imprigionava il Paese all’interno di quel “paradiso socialista” di cui il popolo polacco non sembra avere alcuna nostalgia. Certo, si capisce bene il ragionamento: come la linea Maginot fu travolta dall’onda Nazista, anche questa barriera ha poca probabilità di resistere ad un più “moderno” urto russo. Ma la stessa sorte toccò all’esercito Nazista sulle linee Gotica e Gustav quando fu la volta del contrattacco degli Alleati in territorio Italiano a partire dal 1943. A proposito di quest’ultima linea, ne faceva parte l’Abbazia di Montecassino. Vorrei invitare gli autori dell’articolo a fare visita al Cimitero polacco nei pressi dell’Abbazia e soffermarsi in raccoglimento di fronte a quella distesa di croci che segnano la sepoltura di oltre mille ragazzi polacchi con questa iscrizione: «Per la nostra e la vostra libertà noi soldati polacchi demmo l’anima a Dio, i corpi alla terra d’Italia, alla Polonia i cuori». Ed ora pretendiamo che non cerchino di difendere la loro stessa terra? Suvvia!
 

MEMORIA
di Valeria Raimondi



Non come seme spinto via
piuttosto come cenere
germini terre oltre i tuoi confini
duri prima e dopo il corso delle genti.
 
Segni sorvegli
le braccia al cielo spingi
e ali di alluci contorti giù
più giù
tra le radici e l’humus
nella pietà del buio
dove pane ottengono i vermi
ossigeno i bronchi atrofizzati.
 
Rumori di gusci rotti
cadenze
sono le memorie
che ostinate durano
oltre le gesta senza narratori
oltre le cronache senza testimoni
ferite aperte che non chiedono
di liberarsi in pianto
di “riparare”.
 
Così tutto si disperde
eppure chiede di essere difeso
dal doloso, distratto
nostro “incustodire”.

 

 

Innocenza violata
di Laura Margherita Volante 


 
Ero innocente 
eppure
l’anziana maestra 
mi diede in pasto al ludibrio 
per la vivace spontanea 
verità di esistere.
Nell’ultimo banco da sola 
con le compagne 
dal bianco grembiule. 
Eppure il mio era il più 
bianco e inamidato.
Non capivo e allora
saltavo dal posto vuoto
al mio:
“Il banco dell’asino”, eppure 
non avevo fatto 
niente, non davo calci.
Sorridevo e quando la
maestra arrivava,
e puzzava di un
odore strano, le portavo 
la borsa seguendola dietro.
Quella puzza maleodorante 
la sento ancora.
La direttrice veniva in aula 
a correggermi i quaderni.
La maestra mi ignorava.
Ero invisibile!
A mia madre disse in 
mia presenza
“Come sono stata bene 
per l’assenza di sua figlia...” 
Mia madre si mise contro 
tutti ed ebbe tutti contro.
La direttrice si scusava per 
non poter far niente, 
la maestra che puzzava era 
direttrice come lei.
L’esclusione da ogni attività e 
L’ostilità delle compagne 
mi abituarono alla 
fantasia della solitudine, 
che ancora m’accompagna...
Ho portato tante borse 
per compiacere e 
piacere.
Non capivo e 
ancora ho da capire 
So che se qualcuno è 
solo 
nell’ultimo banco gli devo 
amore.
Lo devo a me stessa
In quell’ultimo banco ci sono 
ancora io.

 

CASARSA DELLA DELIZIA
Pasolini e l’America 




TRIESTE SI MOBILITA  





PISA. DOMUS MAZZINIANA
Con Umberto Mugnaini. Libertà, democrazia e religione.




giovedì 30 gennaio 2025

OSSESSIONE SICUREZZA  
di Beda Romano


 
Per documentare la nuova Europa guerrafondaia a trazione Nord-Est, Beda Romano ha fatto come i giornalisti di una volta: ha preso valigia e zainetto, e da Bruxelles è volato in Polonia, dove ha scoperto che il governo di Varsavia sta costruendo al confine con la Bielorussia un’impressionante Linea Maginot. Il mio commento all’interessantissimo reportage di Romano è il seguente: l’opera è il prodotto della cronica insicurezza dei polacchi, e non avrà altro effetto che di aumentare l’insicurezza, che è il vero scopo della NATO. Naturalmente, più aumenta il senso di insicurezza, più ci si arma, e più cresce il rischio di guerra: è la super-idiozia stupida. [Franco Continolo]
 
Połowce. Pensavamo che la Linea Maginot, come il Vallo di Adriano, fossero ricordi del passato, che i bunker fossero diventati mete turistiche, che la paura della guerra fosse una reminiscenza della Storia. In molti paesi dell’Est Europa il riarmo sulla scia della guerra russa in Ucraina va ben oltre l’acquisto di armi. Fortificazioni e casematte, muri, sentinelle e rifugi sono tornati ad essere i testimoni visibili del presente. In Polonia orientale, il conflitto è freddo, ma ben reale. E così in altri paesi della regione. C’era un tempo quando tra la Polonia e la Bielorussia i posti di frontiera erano innumerevoli. A segnare il confine erano semplici pali piantati nel terreno. Nel giro di tre anni, il governo polacco ha costruito 200 chilometri di barriera metallica di cinque metri di altezza, sormontata da filo spinato. «In un primo momento l’obiettivo era di bloccare l’arrivo di migranti irregolari, strumentalizzati da Minsk per destabilizzare il nostro paese, spiega il generale dell’esercito polacco Arkadiusz Szkutnik. Poi è scattato il timore di una invasione russa». Siamo a Połowce, 200 chilometri a Est di Varsavia, nel Voivodato della Podlachia, una zona amministrativa nata nel 1999, riprendendo l’antico nome della regione quando la Polonia e la Lituania appartenevano alla stessa confederazione (1569-1795). Rispetto ai paesi dell’Europa occidentale domina un clima diverso. «Si vis pacem, para bellum», se vuoi la pace, prepara la guerra, ripetono militari e politici, quasi a giustificare il forte aumento della spesa in difesa (4,7% del Pil nel 2025), non tanto con la loro pubblica opinione ma con i partner europei, spesso più cauti.
In Europa dell’Est il rapporto con Mosca è complesso. La storia dei paesi baltici è nota. Ma anche a Varsavia rimane viva la memoria dell’occupazione russa tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento, e a Stoccolma nessuno ha dimenticato il lungo conflitto tra Pietro il Grande e Carlo XII di Svezia. L’Eastern Shield richiama alla memoria la Linea Maginot, costruita in Francia tra il 1928 e il 1938 per tentare di contrastare una invasione tedesca. Da allora la tecnologia ha fatto straordinari progressi, ma gli istinti umani paiono terribilmente simili.

DISSENSO E GIUSTIZIALISMO
di Franco Astengo



L’attualità della vicenda legata alla “liberazione con aereo di Stato” del libico Almansri suggerisce due considerazioni diverse tra loro ma egualmente coerenti:

1) “L’atto dovuto” di trasmissione al Tribunale dei Ministri della denuncia avanzata dall’avv. Li Gotti nel merito della vicenda riguardante la già citata fuoriuscita dall’Italia del libico Almansri (firmato con ottocenteschi “ossequi” dal Procuratore di Roma) ha consentito alla presidente del Consiglio di alzare ancora una volta il tiro al riguardo della presunzione di “passività complottistica” che anima le sue giornate. Sarà uno schema abusato ma deve essere ricordato ancora una volta che lo scontro Magistratura-Governo (o ceto politico) può anche risultare utile allo scopo di ottundere e coprire la realtà di un modo di governare allineato alle peggiori destre mondiali, supino di fronte alla nuova frontiera del dominio tecnocratico, incapace di fronteggiare letante questioni critiche che via via si sollevano nella vita quotidiana del Paese (sanità, lavoro, ecc.).
Attenzione a non lasciare la percezione pubblica dell’azione del dissenso posta al di fuori dell’azione del Parlamento, dei Partiti, dei corpi sociali e considerato soltanto alla stregua di uno scontro istituzionale posto al di fuori della condizione materiale delle classi. Chi intende cercare di costruire un’alternativa cerchi di non rifugiarsi negli anfratti della contesa tra il corpus dei giudici e inquirenti e questo Governo: non proviamo a cercare sostitutivi che già in passato hanno fornito esiti negativi alimentando tifoserie dell’anti politica che poi hanno abbandonato il campo alle prime difficoltà lasciandoci scoperti con un 50% di astenuti e gli esiti di incerti di governi giallo-qualcosa.


 
2) Le origini politico-culturali di questo avv. Li Gotti che ha presentato la denuncia oggi oggetto del contendere dello scontro in atto consentono una considerazione che riguarda anche la storia della parte predominante nel governo, cioè Fratelli d’Italia. L’avv. Li Gotti ha militato nel MSI all’epoca in cui questo partito (nelle cui fila muoveva i primi passi l’attuale presidente del Consiglio) aveva costruito sul giustizialismo la propria presenza in particolare nella fase di “Tangentopoli”. Successivamente lo stesso avv. Li Gotti è passato all’Italia dei Valori: anticamera del M5S e di quell’anti politica già richiamata poco sopra. Ricordo due episodi: se può risultare incerta e comunque frammista la partecipazione di militanti missini al famoso “lancio delle monetine” rivolto a Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael (punto di massima drammatizzazione politica della vicenda “Mani Pulite”) è sicuramente attribuibile al MSI (organizzatore Teodoro Buontempo) e al Fronte della Gioventù la manifestazione del 2 aprile 1993 davanti a Montecitorio e ricordata per lo slogan “Siete circondati” rivolto verso i parlamentari. Ci troviamo quindi nel pieno del filone giustizialista (ed anche forcaiolo) che ha caratterizzato in quel periodo il MSI che ne trasse grandi benefici politici al punto da essere sdoganato da Berlusconi e incluso (con l’etichetta di AN, usata pre-Fiuggi) nella doppia alleanza (Lega al Nord, MSI al Sud) che portò al primo governo di destra nel 1994. Dobbiamo quindi ricordare che Fratelli d’Italia conserva la fiamma del MSI nel suo simbolo a testimonianza di un arretramento storico rispetto alla stessa Alleanza Nazionale attraverso cui il ceto dirigente missino pensava di evolvere la propria storia. Fratelli d’Italia invece è nata come richiamo diretto alla realtà del MSI che, anche questo punto è bene ricordarlo, nacque come progenie immediata del Partito Fascista Repubblicano complice dell’invasione nazista dopo l’8 settembre con il corollario di morti, deportazioni, violenze che hanno segnato in modo indelebile la storia d’Italia.


 
Il punto vero di questa situazione è che si rende necessario il recupero della politica in funzione di “visione della società” e di “pedagogia etica”: l’agire politico appare avvolto in una nebbia di vero e proprio smarrimento di senso e di restringimento d’ottica in un eterno presente simboleggiato dalle destre al potere in molte parti del mondo che stanno applicando con forza lo schema della riduzione nel rapporto “politica e società” unito all’idea della decisionalità personalistica in funzione di una “democrazia del pubblico” che si sta trasformando nella piattaforma per l’espansione del modello autocratico a Est come a Ovest.

Privacy Policy