TRUMP E I TROMBETTIERI
di Cataldo Russo
Cari
Americani, Trump ve la regalerà la guerra, non disperate.
Mister Bretelle, da imbonitore qual è, potrà anche
farci credere di conoscere l’America come i suoi calzini, potrà dirci che solo
lui pronuncia correttamente il cognome dell’attuale presidente americano dai
capelli di granturco, essendosi esercitato a lungo a pronunciare il “tru” di
Trump alla siciliana e alla calabrese (trjamp); può anche farci credere di
essere un tuttologo, ma non potrà continuare a spacciare le sue panzane e le
sue strampalate idee per verità assolute. Ieri trombettista democratico e oggi strizza
l’occhio ai repubblicani. In vista del salto della quaglia che si accinge a
fare, il buon Rampini si spreme le meningi come meglio può per far emergere
tutto il buono che c’è in Trump ora che è arrivato al potere per la seconda
volta.
Rampini e tutta la pletora di
giornalisti filoamericani potranno arrampicarsi sugli specchi per dimostrarci
che l’America con Trump non corre alcun pericolo perché quello che farà altro
non sarà che quello che hanno iniziato altri governi, anche democratici, prima
di lui. E noi ci crediamo, perché siamo consci che in America in politica
estera non c’è discontinuità fra quello che fanno i democratici e quello che
fanno i repubblicani.
Rampini
Io non so quanto l’America e il mondo
siano più in pericolo con Trump di quanto non lo siano stati con altri
presidenti, ma so che è un paese in crisi, soprattutto economica, anche perché
di valori lo è sempre stata, e questo mi preoccupa perché so che gli USA,
quando si sentono in crisi economica, si comportano come quei drogati in crisi
di astinenza che devono procurarsi la dose ad ogni costo, anche ricorrendo al
furto e al crimine.
Nei confronti dell’America noi abbiamo
assunto sempre l’atteggiamento di benevolenza e di comprensione che si ha verso
quei bambini capricciosi e bisbetici che ne combinano una dopo l’altra.
Gli USA hanno buttato le bombe atomiche
su Hiroshima e Nagasaki? Sì, no, oh Dio, ma eravamo in guerra! E se certe
porcate non si fanno quando si è in guerra, quando si possono fare? È persino
inutile ribattere che le bombe furono gettare il 6 e 9 agosto del 1945 a guerra
finita, tanto i filoamericani a prescindere diranno che è stato solo un regalo.
Non c’è presidente americano dal 1945
ad oggi che non abbia coronato il suo sogno presidenziale scatenando una guerra
con la motivazione di difendere gli interessi americani.
Harry Truman, presidente democratico dal
1945 al 1953, è stato il presidente della guerra alla Corea del Nord con la
motivazione che bisognava difendere la libertà e l’autonomia dell’alleato Corea
del Sud, minacciata dagli altri coreani, i comunisti del Nord.
Al Repubblicano Dwight D. Eisenhower,
presidente dal 1953 al 1961, toccò l’onere o l’onore di siglare l’armistizio
con la Corea del Nord, ma intensificò la cosiddetta Guerra Fredda contro il
pericolo comunista rappresentato dalla Russia e dalla Cina.
Kennedy e la moglie
Il democratico John Fitzgerald Kennedy,
salito al potere nel 1961 e i cui sogni di fare grande l’America si infransero
a Dallas nel 1963 con il suo assassinio, portò in pochi mesi i consiglieri
militari statunitensi in Vietnam da qualche centinaio a 16.000 e, di fatto, fu
l'iniziatore del conflitto che avrebbe segnato l'America per generazioni. Fu
anche il presidente della Baia dei Porci, cioè del tentativo, fallito, di
invadere Cuba di Fidel Castro che era finita nell’orbita comunista.
Lyndon Johnson, democratico, succeduto
a Kennedy, che fu presidente dal 1963 al 1969 intensificò l'escalation della
Guerra del Vietnam. Come se non bastasse, nel 1965 Johnson ordinò anche
l'invasione della Repubblica Domenicana per rovesciare il governo socialista di
Juan Bosch Gavino.
Richard Nixon, repubblicano, presidente
dal 1969 al 1974, chiuse la guerra in Vietnam dopo un'escalation di
bombardamenti a tappeto sulle città e le campagne del Nord e, segretamente, in
Cambogia e Laos.
A Gerald Ford, presidente repubblicano
dal1974 al1977, rimase il cruccio di non aver potuto fare la sua bella guerra
contro il Vietnam del Nord perché il Congresso non gli diede il permesso.
Il democratico Jimmy Carter, presidente
dal 1977al 1981, mandò aiuti militari segreti ai mujaheddin afghani, attraverso
i sauditi e i pachistani, quando l'unione sovietica invase l'Afghanistan.
Mary Shelley, autrice di Frankenstein,
ci insegna che, quando si crea il mostro questi finisce con il distruggere il
suo ideatore. E così fu, perché il passaggio dai mujaheddin alla jihad di Osama
Bin Laden il passo fu breve. Carter è anche ricordato per aver fallito il blitz
militare per liberare gli ostaggi dell'ambasciata americana a Teheran.
Ronald Reagan, l’attore repubblicano, è
stato presidente dal 1981al1989. Lo statuario Reagan fu protagonista di due
azioni militari: l'invasione di Grenada nel 1983, decisa perché un regime filomarxista
non si affiancasse a quello cubano in quell'area; il bombardamento di Tripoli
nel 1986 con l'obiettivo di colpire Gheddafi.
Obama e Bush
George H. W. Bush senior, presidente
repubblicano dal1989 al 1993 combatté e vinse la prima guerra del Golfo, dopo
l'invasione da parte di Saddam Hussein del Kuwait. Nel dicembre del 1989 invase
Panama inviandovi 24.000 soldati allo scopo di abbattere il dittatore Manuel
Noriega.
Il democratico Bill Clinton che fu
presidente dal 1993 al 2000, ricordato fra le altre cose per i suoi tradimenti
extraconiugali, inviò e poi ritirò le truppe americane dalla Somalia. Due anni
dopo, ordinò i raid aerei contro i serbi di Bosnia per costringerli a trattare
e, dopo gli accordi di Dayton, dispiegò una forza di pace nei Balcani. Nel
1998, in risposta agli attentati di Al Qaeda, per ritorsione fece bombardare
obiettivi in Afghanistan e in Sudan. Un anno dopo, il teatro di guerra tornò ad
essere i Balcani. Ancora una volta, gli Usa furono protagonisti della Guerra
del Kosovo e della caduta di Milosevic.
Il repubblicano George W. Bush Junior è
stato presidente dal 2001 al 2009. Bush è passato alla storia come il
presidente delle due ultime guerre americane in grande stile: Afghanistan e
Iraq come risposta all'attacco delle Torri Gemelle. Se la prima ebbe l'appoggio
di quasi tutti gli americani, la seconda invece venne largamente contestata
dall'opinione pubblica statunitense e mondiale. Tant’è che per trovare una
giustificazione ai suoi propositi bellicisti dovette inventarsi la patacca
della fiala all’antrace.
Barack Obama, presidente democratico
dal 2009 al 2017, gioca la carta del ritiro delle truppe da Kabul. Mossa
azzeccata che gli valse il premio Nobel per la Pace. Anche lui, però, non sa
resistere alle tentazioni belliciste con i noti interventi in Siria, Libia,
Iraq e Afghanistan. Ha inoltre fatto bombardare anche lo Yemen, la Somalia e il
Pakistan. Secondo alcuni analisti è stato il presidente americano che ha tenuto
in guerra gli Stati Uniti per più tempo. Alla faccia del Premio Nobel per la
Pace!
Il lupo perde il pelo ma non il vizio,
e così il repubblicano Trump, presidente dal 2017 al 2021, non manca
l’occasione per la sua prova di forza, bombardando, nella notte del 6 e 7
aprile del 2017, la Siria.
Per il democratico Biden la
rappresaglia israeliana contro i palestinesi e la guerra in Ucraina sono una vera
manna dal cielo perché senza guerra non avrebbe saputo cosa fare e dire.
Ginsberg
Allen Ginsberg, poeta ribelle della
beat generation, nel su poema America, si chiede: “America quando
finiremo la guerra umana”.
L’America ha due grandi ossessioni: il
comunismo e la guerra. Hai voglia di dire che la Russia non è più un paese
comunista, che è un paese capitalista in mano a una oligarchia di capitalisti della
peggior specie e che il comunismo con Putin e la Russia attuale c’entra come i
cavoli a merenda. Gli Usa hanno bisogno dello spettro del comunismo per
alimentare la paura. A proposito dell’ossessione del comunismo Ginsberg
scriveva ancora ironicamente nel poema: “La Russia vuole mangiarci vivi. La
Russia è pazza di potere. Vuole portarci via le automobili dai garages. Vuole
impadronirsi di Chicago. Ha bisogno di un Readers’ Digest Rosso. Vuole le
nostre fabbriche di automobili in Siberia. Che la sua grossa burocrazia diriga
le nostre stazioni di rifornimento”.
Ginsberg |
Trump e Netanyahu
L’altra fisima è la guerra. Ma perché
l’America ha questa ossessione per la guerra? Il motivo a mio avviso è
prevalentemente religioso. Gli stati Uniti sono per lo più calvinisti, cioè
seguaci di Giovanni Calvino, nato a Noyon in Francia il 10 luglio 1509 e morto
a Ginevra il 27/5/1564, che è stato il massimo riformatore del cristianesimo,
insieme a Lutero. Secondo il pensiero del grande teologo francese, tutto ciò
che accade sulla terra avviene per volontà di Dio, che è il sovrano di tutto e
di tutti. Secondo la sua dottrina ci sono persone predestinate alla perdizione
e altri, gli eletti, predestinati alla salvezza e alla felicità.
Pensare di mettere in discussione o
semplicemente di criticare la sovranità divina è di per sé un atto blasfemo. Calvino
proponeva un principio formale, rappresentato dalla predominanza della Bibbia,
un principio materiale, incarnato dalla sovranità della divinità, un principio
etico contenuto nella responsabilità di servire Dio e un “principio ultimo” che
è la gloria di Dio. A questi principi tutti gli uomini devono contribuire
perché c’è di mezzo la loro salvezza. Inoltre, il lavoro per i calvinisti
diventa quasi una vocazione religiosa: è Dio che ci chiama a esso. Il successo
che ne consegue perciò è la garanzia che «Dio è con noi» e che siamo gli eletti.
Il Calvinismo fu portato in America dai
102 padri pellegrini, un gruppo di cristiani protestanti, definiti puritani
dagli altri cristiani per la rigorosa condotta morale della loro vita, che si
videro costretti ad abbandonare l’Inghilterra, così l’11 Nov. 1620 sbarcarono
sulle coste del Massachusetts. Se per un cattolico il passaporto per il Paradiso
si conquista con le opere buone e una morigerata condotta di vita, per il
calvinista la certezza della salvezza eterna e del Paradiso si ha attraverso la
ricchezza. In America i poveri sono sfigati due volte. Una volta perché sono
costretti a vivere negli stenti e nelle privazioni la loro parentesi sulla
terra, una seconda volta perché le porte del Paradiso per loro rimangono
serrate.
La guerra è stata sempre vista dagli
americani come un’opportunità per produrre ricchezza e per dimostrare al mondo,
con la vittoria finale, che l’America è la nazione eletta per antonomasia. La
tentazione dei presidenti americani di fare la loro bella guerra per
guadagnarsi i galloni per il Paradiso è forte, anzi fortissima.
Tutto ciò è meglio sintetizzato dal
farneticante pensiero di Trump, secondo il quale, essendosela cavata con un
leggero foro all’orecchio destro nell’attentato del 13 luglio 2024, mentre
teneva un comizio elettorale in una fiera agricola a Meridian, in Pennsylvania,
questo è un segno chiaro e inequivocabile della sua predestinazione a fare ancora grande
l’America, costi quel che costi. “I’ll make America great again” è lo slogan
che l’ha accompagnato durante la sua campagna elettorale. Trump è certamente un
invasato che pensa di ascendere in paradiso seminando il suo cammino di
torturati, discriminati, perseguitati e morti, ma ce n’è un altro in questo
momento che in quanto a pericolo non è secondo a nessuno: Benjamin Netanyahu, che
ha un unico obiettivo annientare i palestinesi, cancellarli dalla faccia della
terra e prendersi le loro terre. Tutta la solidarietà che il mondo ha
dimostrato nei confronti dell’olocausto si infrange contro la protervia
criminale di Netanyahu, sempre più convinto che il suo popolo è il popolo
eletto e ha pieno diritto di sfrattare chiunque dalla Palestina.
La religione è stata troppo spesso all’origine
delle guerre, ma mai come in questi tempi essa risulta essere l’elemento più
divisivo dei popoli.