ATOMI
di
Angelo Gaccione
Tra i settemila e quattrocento versi dei sei libri del De
rerum natura di Lucrezio giunti fino a noi, molti sono quelli che si
possono estrapolare e stare a sé come veri e propri aforismi. Tanti ribadiscono
l’evidenza empirica di fenomeni naturali che i nostri sensi direttamente
percepiscono. La stragrande maggioranza è costituita da postulati scientifici
inconfutabili. Altri hanno una articolazione speculativa più complessa, perché
tesi a ricercare le cause fisiche e materialistiche delle cose e dei fenomeni.
Questi ultimi si presentano come pensieri e di conseguenza non possono non
avere, nell’economia dei versi, una lunghezza maggiore rispetto a quelli dal
carattere più perentorio e asseverativo. Coerente con la sua concezione
epicurea, in queste riflessioni più elaborate gli atomi sono al centro di tutto
– nulla al di fuori di essi – e nulla è concesso alle varie teorie teologiche e
provvidenzialistiche. Ma l’epicureismo è anche una filosofia morale, e il
poema, che è insieme filosofico e poetico, non poteva non concentrare la sua
attenzione sull’esistenza dell’uomo, sul suo agire e sulle sue aspirazioni. E
dunque, non potevano mancare le esortazioni pedagogiche e le massime di
ammaestramento morale secche e ultimative . Vi si possono trovare
suggerimenti: “Sono grandi ricchezze all’uomo il vivere parcamente e con animo
sereno, perché egli non avrà mai penuria del poco”. Ammonimenti: “L’ingiustizia
e l’offesa son simili a rete, che avvolge l’uomo: su chi le commette il danno
sovente ritorna”. Constatazioni dal sapore amaro: “La vita a nessuno è
data in possesso, a tutti in prestito”. E senza illusioni metafisiche, dal
momento che l’anima muore col corpo e si converte anch’essa in atomi di
polvere. Un verso del libro quinto, e precisamente il 1140, mi ha molto colpito
per la sua straordinaria intemporalità. Era vero nella più lontana antichità,
lo era al tempo di Lucrezio e lo è a maggior ragione ai giorni nostri. Eccolo
nell’originale latino: nam cupide conculcatur nimis ante metutum, ed
eccolo nella traduzione: “infatti con cupidigia si calpesta ciò che si è
troppo temuto prima”. Le vicende dei potenti caduti in disgrazia, e
la goduria con cui il popolo mostra loro il suo disprezzo, ne sono la prova.