UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 16 gennaio 2025

UN PAESE STANCO
di Franco Astengo



Un’Italia stanca in un’Europa stanca, dove non si ravvede più la competizione (anche aspra) tra classi e gruppi sociali. Sembrano tutti adagiati sullo “status quo” e sulla voglia di “legge e ordine”. Un’Italia ancor più che un’Europa nella quale non si riesce più a seguire il flusso ascensionale dei diversi settori sociali posti in rapporto diretto con l’esercizio della politica: con la “politica” intesa come politics che diventerebbe inutile quale attività intellettuale. Basterà il “problem solving” quotidiano limitato a soddisfare l’egoismo di ciascuno. addirittura in una visione ridotta del “corporativo”. Ne deriva un esercizio dell’azione politica ormai quasi definitivamente ridotta a lotta per il potere. Abbiamo trascorso stagioni nel corso delle quali l’azione politica si era allineata al concetto di “fine della storia” limitando la propria esistenza all’idea di “sbloccare il sistema” e in seguito di torcere la formula elettorale in direzione plebiscitaria eliminando la possibilità di scegliere la rappresentanza e imponendo il personalismo ormai ridotto all’apparire mediatico. Una riduzione di senso dei valori fondativi anche della stessa democrazia liberale portata ad un appuntamento con una trasformazione in “democratura” dove alla fine dovrebbero sempre vincere i fautori della conservazione delle vecchie leggi del “Dio, Patria e Famiglia”.



In sostanza emergerebbero ancora le vecchie leggi del “familismo amorale” che propugnano un rovesciamento culturale proponendo una nuova “egemonia”. Una presunta egemonia che alla fine non rappresenterebbe altro che l’antico rovesciamento delle classi in favore di una borghesia rinchiusa nei propri fortini della ricchezza materiale. Proprio la ricchezza come accumulazione del potere intesa quale unico fattore di valutazione sociale e di accesso nella formazione dei gruppi dirigenti in economia, in politica, nella cultura. Un’Italia ancor più che un’Europa che segue il flusso che viene dall’alto capace di proporre tecnologie socialmente anestetizzanti e fautrici di un individualismo ormai più che "proprietario" addirittura "feroce": un individualismo "feroce" su cui si base l'ottimismo dell'apparenza che la destra propaga quale fallace narrazione di un eterno presente. Un'Italia nella quale non si riesce più a trasformare battaglie che dovrebbero essere di grande spessore collettivo in fattori mobilitanti di proposta  dell'agenda politica: ad esempio mi riferisco alla vicenda di Ramy, a quella delle pacifiste portate in questura a Brescia, allo sciopero dei metalmeccanici per il contratto nazionale ormai ridotto a episodio quasi di "nicchia" come del resto lotte sindacali come quella della GKN o al disinteresse generale che circonda l' ulteriore privatizzazione del settore siderurgico di cui i media si occupano soltanto stando dalla parte del "padrone" e ancora allo scivolamento verso una sorta di egemonia del militare nella produzione industriale oltre alla costante ricerca della sottomissione della magistratura nelle sue diversa articolazioni.



Penso al tentativo chiaramente in atto di introdurre elementi anti-costituzionali da stato di polizia, in un quadro di dispregio non solo della legalità ma anche delle basi di convivenza civile (pensiamo al ddl sicurezza): non è la prima volta che questo accade nella storia del dopoguerra. Ci provò già la Democrazia Cristiana negli anni '40- '50 propugnando un "mondo libero" versus "l'impero del male" e avendo come bersaglio la classe operaia, i contadini e il Partito Comunista ma la reazione fu ben più ampia rispetto ai soggetti colpiti e fu sostenuta dagli intellettuali più moderni, da uno spostamento del ceto medio dall'ancora delle posizioni reazionarie, da fermenti ecclesiali fino al Concilio giovanneo: fu la reazione di un'intera generazione successiva a quella che aveva fatto la Resistenza mettendo in campo (luglio '60) i ragazzi con le "magliette a strisce". Il cammino verso il centro-sinistra fu poi costellato di insidie e dal "tintinnar di sciabole" facendo capire a Pietro Nenni che forse "non era arrivato il momento di una maggiore libertà". Il Berlinguer del compromesso storico e il Moro della "terza fase" si videro di fronte il rapimento e l'uccisione del politico democristiano in un momento in cui proprio quell'episodio evidenziò una faglia nel sistema dei partiti che ne avrebbe concorso alla fine con la trasformazione del sistema all'insegna dell'idea luhmanniana del "taglio del rapporto tra politica e società", una frattura di cui questa destra rappresenta l'esemplificazione ben oltre i suoi nostalgici. e rivendicati pregressi. Non è sufficiente il costante richiamo esercitato dalla massima magistratura della Repubblica.


La CGIL ha recentemente invocato una "rivolta sociale" spiegandone coerentemente i termini di riferimento ma l'impressione (anzi più di una impressione) è che l'appello sia rimasto sostanzialmente isolato perché è diversa ormai la concezione del rapporto tra agire politico e agire sociale anche nelle stesse forze che si definiscono ancora come progressiste e costituzionali. L'Italia è stanca perché l'azione politica pare impossibile, riservata esclusivamente al gioco del potere e la percezione della disuguaglianza e dell'ingiustizia sembra dar luogo soltanto alle due estremità della protesta o della ricerca delle ragioni di accomodamento personale (di cui si colgono segnali nell'intellettualità e nel mondo dei "media"): di mezzo a questi due poli non ci stanno più l'organizzazione, la militanza, e quella che un tempo si chiamava "vigilanza democratica". Soprattutto non esiste più la capacità di mediazione e di strutturazione dell'opinione pubblica in consenso progettuale un tempo esercitata dal complesso dei corpi intermedi (che - appunto - su quella base fornivano il personale della classe dirigente complessivamente intesa). Mi sia consentita un'annotazione finale riferita al piano politico immediato: se davvero la Corte Costituzionale darà via libera ai referendum sull'autonomia differenziata e sul lavoro forse sarà l'ultima occasione per dare forma politica a una visione di disagio sociale con una proposta di alternativa posta sul piano istituzionale. Sarebbe bene che le forze politiche curassero di non sprecarla.

 

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