UN PAESE STANCO
di Franco Astengo
Un’Italia stanca in un’Europa stanca, dove non si ravvede più la competizione (anche aspra) tra classi e gruppi sociali. Sembrano tutti adagiati sullo “status quo” e sulla voglia di “legge e ordine”. Un’Italia ancor più che un’Europa nella quale non si riesce più a seguire il flusso ascensionale dei diversi settori sociali posti in rapporto diretto con l’esercizio della politica: con la “politica” intesa come politics che diventerebbe inutile quale attività intellettuale. Basterà il “problem solving” quotidiano limitato a soddisfare l’egoismo di ciascuno. addirittura in una visione ridotta del “corporativo”. Ne deriva un esercizio dell’azione politica ormai quasi definitivamente ridotta a lotta per il potere. Abbiamo trascorso stagioni nel corso delle quali l’azione politica si era allineata al concetto di “fine della storia” limitando la propria esistenza all’idea di “sbloccare il sistema” e in seguito di torcere la formula elettorale in direzione plebiscitaria eliminando la possibilità di scegliere la rappresentanza e imponendo il personalismo ormai ridotto all’apparire mediatico. Una riduzione di senso dei valori fondativi anche della stessa democrazia liberale portata ad un appuntamento con una trasformazione in “democratura” dove alla fine dovrebbero sempre vincere i fautori della conservazione delle vecchie leggi del “Dio, Patria e Famiglia”.
In sostanza emergerebbero ancora
le vecchie leggi del “familismo amorale” che propugnano un rovesciamento culturale
proponendo una nuova “egemonia”. Una presunta egemonia che alla fine non
rappresenterebbe altro che l’antico rovesciamento delle classi in favore di una
borghesia rinchiusa nei propri fortini della ricchezza materiale. Proprio la
ricchezza come accumulazione del potere intesa quale unico fattore di
valutazione sociale e di accesso nella formazione dei gruppi dirigenti in
economia, in politica, nella cultura. Un’Italia ancor più che un’Europa che
segue il flusso che viene dall’alto capace di proporre tecnologie socialmente
anestetizzanti e fautrici di un individualismo ormai più che
"proprietario" addirittura "feroce": un individualismo
"feroce" su cui si base l'ottimismo dell'apparenza che la destra
propaga quale fallace narrazione di un eterno presente. Un'Italia nella quale
non si riesce più a trasformare battaglie che dovrebbero essere di grande
spessore collettivo in fattori mobilitanti di proposta dell'agenda politica: ad esempio mi riferisco
alla vicenda di Ramy, a quella delle pacifiste portate in questura a Brescia,
allo sciopero dei metalmeccanici per il contratto nazionale ormai ridotto a
episodio quasi di "nicchia" come del resto lotte sindacali come
quella della GKN o al disinteresse generale che circonda l' ulteriore
privatizzazione del settore siderurgico di cui i media si occupano soltanto
stando dalla parte del "padrone" e ancora allo scivolamento verso una
sorta di egemonia del militare nella produzione industriale oltre alla costante
ricerca della sottomissione della magistratura nelle sue diversa articolazioni.
Penso al tentativo chiaramente in atto di introdurre elementi anti-costituzionali da stato di polizia, in un quadro di dispregio non solo della legalità ma anche delle basi di convivenza civile (pensiamo al ddl sicurezza): non è la prima volta che questo accade nella storia del dopoguerra. Ci provò già la Democrazia Cristiana negli anni '40- '50 propugnando un "mondo libero" versus "l'impero del male" e avendo come bersaglio la classe operaia, i contadini e il Partito Comunista ma la reazione fu ben più ampia rispetto ai soggetti colpiti e fu sostenuta dagli intellettuali più moderni, da uno spostamento del ceto medio dall'ancora delle posizioni reazionarie, da fermenti ecclesiali fino al Concilio giovanneo: fu la reazione di un'intera generazione successiva a quella che aveva fatto la Resistenza mettendo in campo (luglio '60) i ragazzi con le "magliette a strisce". Il cammino verso il centro-sinistra fu poi costellato di insidie e dal "tintinnar di sciabole" facendo capire a Pietro Nenni che forse "non era arrivato il momento di una maggiore libertà". Il Berlinguer del compromesso storico e il Moro della "terza fase" si videro di fronte il rapimento e l'uccisione del politico democristiano in un momento in cui proprio quell'episodio evidenziò una faglia nel sistema dei partiti che ne avrebbe concorso alla fine con la trasformazione del sistema all'insegna dell'idea luhmanniana del "taglio del rapporto tra politica e società", una frattura di cui questa destra rappresenta l'esemplificazione ben oltre i suoi nostalgici. e rivendicati pregressi. Non è sufficiente il costante richiamo esercitato dalla massima magistratura della Repubblica.
La CGIL ha recentemente invocato una "rivolta sociale" spiegandone coerentemente i termini di riferimento ma l'impressione (anzi più di una impressione) è che l'appello sia rimasto sostanzialmente isolato perché è diversa ormai la concezione del rapporto tra agire politico e agire sociale anche nelle stesse forze che si definiscono ancora come progressiste e costituzionali. L'Italia è stanca perché l'azione politica pare impossibile, riservata esclusivamente al gioco del potere e la percezione della disuguaglianza e dell'ingiustizia sembra dar luogo soltanto alle due estremità della protesta o della ricerca delle ragioni di accomodamento personale (di cui si colgono segnali nell'intellettualità e nel mondo dei "media"): di mezzo a questi due poli non ci stanno più l'organizzazione, la militanza, e quella che un tempo si chiamava "vigilanza democratica". Soprattutto non esiste più la capacità di mediazione e di strutturazione dell'opinione pubblica in consenso progettuale un tempo esercitata dal complesso dei corpi intermedi (che - appunto - su quella base fornivano il personale della classe dirigente complessivamente intesa). Mi sia consentita un'annotazione finale riferita al piano politico immediato: se davvero la Corte Costituzionale darà via libera ai referendum sull'autonomia differenziata e sul lavoro forse sarà l'ultima occasione per dare forma politica a una visione di disagio sociale con una proposta di alternativa posta sul piano istituzionale. Sarebbe bene che le forze politiche curassero di non sprecarla.