LUCCA
di
Romano Zipolini
Romano Zipolini |
I lucchesi hanno un
carattere chiuso: chiuso, ma con garbo. Per i lucchesi vale una sorta di ancestrale
jus solis. Se non sei nato a Lucca,
poco importa il colore della tua pelle. Puoi venire da oltre mare, o anche da
Marte: non sei dei nostri e tanto basta. Ma se sai fare qualche cosa, se di te
la collettività ha bisogno, allora cambia tutto. Anche a me è successo così.
Quando, giovanissimo, ho aperto lo studio a Lucca, ho ricevuto i primi clienti,
garbatamente sospettosi: “Caro avvocato, mi hanno detto che lei si
occupa di questo e quest’altro: è vero?”. “Sì è vero”. “Allora
mi risolva la questione, e così vediamo”. Gli esperti lo
chiamano ascensore sociale: maledetti quattrini! Se si trattasse, invece, di un
ascensore della conoscenza, Lucca potrebbe sembrare la ‘Città del Sole’.
I lucchesi sono chiusi, come lo è la città dalla cerchia delle mura di quattro chilometri e duecento metri. Attenzione però! Non dovete farvi confondere da quelle vostre belle città dove le case guardano dal basso in alto la cinta delle mura dei loro castelli, o delle loro abbazie, e gli abitanti ci vivono attorno, prima di andarsene per il mondo.
Lucca non la si guarda da fuori. Da fuori, Lucca non la vedete. Lucca è dentro le mura ed è dall’alto delle mura, sormontate dal viale corredato dai tigli, e percorso dalle biciclette, o dal di dentro delle strade senza autovetture, che potete conoscerla.
Dentro le mura, i supermercati sono banditi: che se ne restino fuori, quei commercianti senz’arte!
Mentre le banche, il tribunale, gli uffici pubblici, le botteghe degli artigiani, i forni del pane e della schiacciata, gli antiquari e gli alimentari, e i negozi di ogni sorta, per generazioni, debbono restare sempre dentro.
Perché Lucca deve essere viva e senza i commercianti si muore.
È con il commercio che Lucca si è sempre salvata da qualsiasi sventura. Persino gli imperatori, che si presentavano, con i loro eserciti, fuori dalle mura, capivano quale fatica sarebbe stata doverle prendere. Ed i lucchesi, che se ne intendevano di costi e di spese, trattavano il prezzo e pagavano, consigliandoli di andare a Pisa. Per forza che quelli, che non sono neppure toscani veri, non ci vogliono bene!
I lucchesi hanno fatto così persino con gli Alleati. Quando si sparse la notizia che, prima di liberare la città, questi avrebbero bombardato a dovere quelle belle mura, quattro partigiani si affrettarono sul Serra – il monte pisano dove era acquartierato il colonnello J.R. Sherman – e, sfidando i tedeschi, portarono il messaggio del CLN: “fermi fermi, che ci abbiamo pensato da soli a liberare Lucca”. Felici di avercela fatta, quei ‘maledetti toscani’, poveri e affamati, ma giovani ed entusiasti, provarono, forse, anche a schernirli, con quel tipo di espressioni care agli scrittori ed ai registi di questa regione: “se avevate tanta fretta, potevate arrivare anche prima!”.
E dentro le mura ci sono le cento chiese. Sì, perché Lucca è un’isola bianca nella toscana rossa. Ma, se non è rossa, è perché i preti non sono mai stati del tutto neri. Ci si provasse chiunque a parlare male di Don Aldo Mei! Anche i comunisti lucchesi (parlo di quelli che una volta c’erano), hanno sempre amato quel martire della Resistenza, così come tutti quei preti che nascosero gli ebrei. E hanno amato quei santi che si immolarono nella strage di Farneta.
A Lucca c’è stato il più alto numero di prelati e frati trucidati dai nazi-fascisti, perché i partigiani li proteggevano, li ospitavano e ne condividevano la scelta di stare dalla parte giusta e dalla parte degli oppressi.
E Lucca è bella per le sue chiese e i suoi negozi, per gli scorci delle sue vie, per i tanti luoghi in cui si possono organizzare incontri.
Il nome delle banche e delle chiese è formato da un vero e proprio calendario di santi. E dove c’era un teatro romano, dove i cristiani venivano fatti sbranare, oggi c’è la più bella piazza ovale – quella troppe volte edulcorata dalla pubblicità – che, naturalmente, si è poi chiamata: ‘Piazza delle Erbe’, perché è lì che si è sempre fatto mercato.
Sono tutte belle le chiese di Lucca. San Frediano, con il campanile, la sua piazza ed i suoi locali pubblici; San Michele, con il campanile, la sua piazza e le sue banche, i suoi notai, e la loggia di Matteo Civitali. Tutte le chiese sono in stile romanico lucchese e, ahimè, pisano.
Ho sempre un po’ snobbato, invece, la Chiesa dei Santi Giovanni e Reparata, con il suo campanile e la sua piazza e i suoi uffici, anche se è stata la più antica sede vescovile. Tuttavia, nel sottosuolo, ci sono i reperti dell’insediamento romano, resuscitati non da un santo, ma da un archeologo.
Una volta, una cara amica scozzese, svoltando da via San Giovanni (sempre un santo, naturalmente), si trovò proprio davanti la sua facciata chiara e le sfuggì un: beautiful. Io me ne vergognai un poco, ed allora la invitai a scostarsi di lato, verso via del Duomo. “Per migliorarne il prospetto”, le dissi “vedi lì in fondo? Hanno voluto edificarci quella”.
E ‘quella’ era la Cattedrale di San Martino, un edificio realizzato, in origine, da un architetto maldestro, ma arricchito poi da sculture e bassorilievi incantevoli, attraverso la ‘campagna acquisti’ promossa nei confronti dei maestri di Santa Maria del Fiore.
Un tempo, il suo porticato era occupato dai banchi dei cambiavalute, che trafficavano con i pellegrini. Un’iscrizione monumentale li ammonisce di non frodare i clienti, così come invita i pellegrini a fidarsi di loro. Mica quel cinismo teutonico del: “pecca fortiter, sed crede fortius”.
E c’è pure un labirinto simile a quello della Cattedrale di Chartres e ci sono degli affreschi dei Cavalieri del Tau.
La splendida scultura di San Martino, che divide il mantello con il povero, ricorda a tutti ciò che non debbono giammai fare i banchieri.
E poi la Madonna del Ghirlandaio e l’Ultima cena del Tintoretto.
Ma, ai Lucchesi interessano soprattutto due cose: il Volto Santo, che ogni anno portano in processione, in una fantasmagorica celebrazione di autorità in ghingheri e di popolo, e il monumento di Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia.
Veduta delle mura |
I lucchesi sono chiusi, come lo è la città dalla cerchia delle mura di quattro chilometri e duecento metri. Attenzione però! Non dovete farvi confondere da quelle vostre belle città dove le case guardano dal basso in alto la cinta delle mura dei loro castelli, o delle loro abbazie, e gli abitanti ci vivono attorno, prima di andarsene per il mondo.
Lucca non la si guarda da fuori. Da fuori, Lucca non la vedete. Lucca è dentro le mura ed è dall’alto delle mura, sormontate dal viale corredato dai tigli, e percorso dalle biciclette, o dal di dentro delle strade senza autovetture, che potete conoscerla.
Dentro le mura, i supermercati sono banditi: che se ne restino fuori, quei commercianti senz’arte!
Mentre le banche, il tribunale, gli uffici pubblici, le botteghe degli artigiani, i forni del pane e della schiacciata, gli antiquari e gli alimentari, e i negozi di ogni sorta, per generazioni, debbono restare sempre dentro.
Perché Lucca deve essere viva e senza i commercianti si muore.
È con il commercio che Lucca si è sempre salvata da qualsiasi sventura. Persino gli imperatori, che si presentavano, con i loro eserciti, fuori dalle mura, capivano quale fatica sarebbe stata doverle prendere. Ed i lucchesi, che se ne intendevano di costi e di spese, trattavano il prezzo e pagavano, consigliandoli di andare a Pisa. Per forza che quelli, che non sono neppure toscani veri, non ci vogliono bene!
Palazzo Pretorio |
I lucchesi hanno fatto così persino con gli Alleati. Quando si sparse la notizia che, prima di liberare la città, questi avrebbero bombardato a dovere quelle belle mura, quattro partigiani si affrettarono sul Serra – il monte pisano dove era acquartierato il colonnello J.R. Sherman – e, sfidando i tedeschi, portarono il messaggio del CLN: “fermi fermi, che ci abbiamo pensato da soli a liberare Lucca”. Felici di avercela fatta, quei ‘maledetti toscani’, poveri e affamati, ma giovani ed entusiasti, provarono, forse, anche a schernirli, con quel tipo di espressioni care agli scrittori ed ai registi di questa regione: “se avevate tanta fretta, potevate arrivare anche prima!”.
don Aldo Mei |
E dentro le mura ci sono le cento chiese. Sì, perché Lucca è un’isola bianca nella toscana rossa. Ma, se non è rossa, è perché i preti non sono mai stati del tutto neri. Ci si provasse chiunque a parlare male di Don Aldo Mei! Anche i comunisti lucchesi (parlo di quelli che una volta c’erano), hanno sempre amato quel martire della Resistenza, così come tutti quei preti che nascosero gli ebrei. E hanno amato quei santi che si immolarono nella strage di Farneta.
A Lucca c’è stato il più alto numero di prelati e frati trucidati dai nazi-fascisti, perché i partigiani li proteggevano, li ospitavano e ne condividevano la scelta di stare dalla parte giusta e dalla parte degli oppressi.
E Lucca è bella per le sue chiese e i suoi negozi, per gli scorci delle sue vie, per i tanti luoghi in cui si possono organizzare incontri.
Il nome delle banche e delle chiese è formato da un vero e proprio calendario di santi. E dove c’era un teatro romano, dove i cristiani venivano fatti sbranare, oggi c’è la più bella piazza ovale – quella troppe volte edulcorata dalla pubblicità – che, naturalmente, si è poi chiamata: ‘Piazza delle Erbe’, perché è lì che si è sempre fatto mercato.
San Frediano |
Sono tutte belle le chiese di Lucca. San Frediano, con il campanile, la sua piazza ed i suoi locali pubblici; San Michele, con il campanile, la sua piazza e le sue banche, i suoi notai, e la loggia di Matteo Civitali. Tutte le chiese sono in stile romanico lucchese e, ahimè, pisano.
Ho sempre un po’ snobbato, invece, la Chiesa dei Santi Giovanni e Reparata, con il suo campanile e la sua piazza e i suoi uffici, anche se è stata la più antica sede vescovile. Tuttavia, nel sottosuolo, ci sono i reperti dell’insediamento romano, resuscitati non da un santo, ma da un archeologo.
Una volta, una cara amica scozzese, svoltando da via San Giovanni (sempre un santo, naturalmente), si trovò proprio davanti la sua facciata chiara e le sfuggì un: beautiful. Io me ne vergognai un poco, ed allora la invitai a scostarsi di lato, verso via del Duomo. “Per migliorarne il prospetto”, le dissi “vedi lì in fondo? Hanno voluto edificarci quella”.
San Michele |
E ‘quella’ era la Cattedrale di San Martino, un edificio realizzato, in origine, da un architetto maldestro, ma arricchito poi da sculture e bassorilievi incantevoli, attraverso la ‘campagna acquisti’ promossa nei confronti dei maestri di Santa Maria del Fiore.
Un tempo, il suo porticato era occupato dai banchi dei cambiavalute, che trafficavano con i pellegrini. Un’iscrizione monumentale li ammonisce di non frodare i clienti, così come invita i pellegrini a fidarsi di loro. Mica quel cinismo teutonico del: “pecca fortiter, sed crede fortius”.
E c’è pure un labirinto simile a quello della Cattedrale di Chartres e ci sono degli affreschi dei Cavalieri del Tau.
San Martino |
La splendida scultura di San Martino, che divide il mantello con il povero, ricorda a tutti ciò che non debbono giammai fare i banchieri.
E poi la Madonna del Ghirlandaio e l’Ultima cena del Tintoretto.
Ma, ai Lucchesi interessano soprattutto due cose: il Volto Santo, che ogni anno portano in processione, in una fantasmagorica celebrazione di autorità in ghingheri e di popolo, e il monumento di Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia.