LABIRINTI
di Angelo Gaccione
Chissà perché mi attraggono così tanto i labirinti. “Perché sei un uomo complicato”, dice mia moglie. Non so se sono complicato, di sicuro sono un uomo non facile, su questo devo convenire. Sono intransigente con me stesso e lo sono molto spesso con gli altri. Sui sentimenti profondi non scherzo, e non scherzo sulle idee che sono costate sangue galera e morte a uomini e donne di ogni tempo, e una vita difficile anche a me. Ma torniamo ai labirinti. Mi attraggono perché sono una metafora dell’esistenza? Perché in fondo ogni vita nasconde un mistero indecifrabile e segreto? Perché essa altro non è se non un errare contorto e insensato alla ricerca di una via d’uscita? Non lo so con certezza. Eppure ogni volta che me li sono trovato davanti, fosse nel giardino di una villa nobiliare, all’interno di un parco, sul pavimento di una chiesa, dentro la pagina di un libro dove è stato graficamente riprodotto, ne sono sempre rimasto affascinato e rapito. Non ha importanza il materiale con cui sono stati realizzati, anche se devo riconoscere che i labirinti vegetali hanno avuto su di me una presa visiva e psicologica più intensa di quelli realizzati con canne, cartoni, legni, mattoni, specchi, pietre, acque, sabbie e quant’altro.
È la geometria che mi seduce, la forma che essi possono assumere attraverso la visionarietà dei creatori e delle loro abili mani; creatori che io considero dei veri e propri artisti. Circolari, a spirale, quadrati, ottagonali, a stella, a piramide, ovoidali… e così all’infinito, in una mescolanza di linee, di volute, di intrecci dalle mille possibilità. Nessun riferimento al mito classico, nessuno alla visione mistica, nessuno ai contorcimenti della dialettica filosofica, nessuno al mistero di tanta bassa letteratura in circolazione; non è più tempo ai nostri giorni per tutto questo. Solo alla forma, alla forma che è la loro sostanza. A quella primordiale che ha permesso, evolvendosi, di realizzarle tutte: la forma del cervello umano.
Osservatelo attentamente il cervello umano;
ha la forma del labirinto più complesso e intricato in assoluto, il più
misterioso e imponderabile, il più imprevedibile. È così aggrovigliato che non
sono ingiustificati i timori di smarrire la rotta. Nel mito, a Teseo è bastato
un filo, il filo solidale di Arianna, per venire fuori dal labirinto e salvarsi.
A noi non sono bastati oltre duemila anni di cultura, di tragedie, di ammonimenti.
Siamo rimasti prigionieri del nostro tremendo spietato labirinto, un labirinto
sbarrato alla ragione e senza alcuna via d’uscita. E sarà il labirinto della
nostra protervia che ci inghiottirà.